Blue economy: cos’è e come funziona?

L’evoluzione di una società si misura anche con i modelli di business che mette in atto con l’obiettivo di migliorare il presente ma con uno sguardo sempre rivolto al domani: se dagli inizi degli anni Duemila la green economy ha indirizzato gli innovatori verso schemi economici che prendessero in considerazione anche gli impatti ambientali e sociali delle proprie scelte, la più recente blue economy rappresenta un passo ulteriore nel difficile percorso che ci porterà – speriamo in tempi molto brevi – verso lo sviluppo di un’economia sostenibile nel senso vero del termine. In questo senso, la lungimiranza di cui parliamo spesso su queste pagine non riguarda solo gli orizzonti temporali dell’investimento, ma anche la capacità di riconoscere i trend e i fenomeni che stanno plasmando il mondo (e che i più attenti avranno già intercettato sui mercati finanziari): in questo approfondimento cercheremo di analizzare il business model della blue economy per scoprire quali sono le opportunità più significative per gli investitori e le soluzioni più interessanti per creare valore non solo in termini di rendimento ma anche di impatto positivo per il pianeta. Se sei alla ricerca di un portafoglio diversificato ma che includa le aree di business più innovative e promettenti, compila senza impegno il form online e scopri gli investimenti tematici di Moneyfarm.

🤔Blue economy e green economy sono la stessa cosa? No, anche se sono entrambi modelli economici legati alla sostenibilità.
💰Conviene investire nella blue economy? Sì, a patto di inserire gli investimenti sostenibili in un portafoglio bilanciato e ben diversificato.
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Cos’è la blue economy? Significato e definizione

Per dare una prima definizione della blue economy dobbiamo partire dalla biomimesi, vale a dire quella disciplina che studia e imita i processi biologici e biomeccanici della natura e degli esseri viventi. Se prendiamo spunto dalla natura e la consideriamo una sorta di modello da imitare possiamo trovare delle soluzioni innovative da applicare a tutte le attività umane: questo è, in sostanza, il significato della blue economy, un termine introdotto per la prima volta da Gunter Pauli che, non a caso, è sia un economista sia un imprenditore. Si tratta di fatto di una nuova forma di economia che ha come obiettivo l’eliminazione di tutte le sostanze dannose per il pianeta attraverso una vera e propria rivoluzione dei sistemi produttivi.

Mari e oceani come risorsa alla base della blue economy

Se già ai suoi albori ha rappresentato un paradigma del tutto nuovo, la blue economy in senso ampio comprende tutte le attività e le industria legate all’acqua, ai mari e agli oceani, i quali sono sempre più in difficoltà non solo per la continua perdita di biodiversità marina ma anche per il cambiamento climatico che si trovano ad affrontare: un problema spesso sottovalutato, eppure dagli anni Settanta sono stati proprio gli oceani ad assorbire il 93% del calore in eccesso sulla Terra, aiutandoci a mettere un freno al riscaldamento dell’atmosfera. La stessa Banca Mondiale ha da tempo riconosciuto il ruolo fondamentale che mari e oceani hanno nella nostra vita quotidiana, e ha definito l’economia blu come un’economia che punta ad utilizzare in modo sostenibile le risorse oceaniche “per la crescita economica, per il miglioramento dei mezzi di sussistenza e dei posti di lavoro preservando la salute degli ecosistemi oceanici”. Si tratta certamente di obiettivi ambiziosi, ma non impossibili da raggiungere, anche grazie al Green Deal Europeo.

Blue economy e Green Deal

La centralità della blue economy nello sviluppo di un futuro sostenibile è testimoniata anche dal fatto che l’Unione Europea le ha assegnato un ruolo strategico per il raggiungimento degli obiettivi fissati nel Green Deal, il pacchetto di misure messe a punto per conseguire la tanto agognata neutralità climatica entro il 2050. Celebre è diventata la frase pronunciata dal commissario UE per l’Ambiente, gli affari marittimi e la pesca, che ha affermato “to be truly green we must also think blue” (“Per essere veramente verdi dobbiamo pensare blu”). La strategia delineata dal Green Deal è molto chiara: poiché è fondamentale tutelare lo stato di salute dei mari, tutti i settori dell’economia blu – che vanno dalla pesca al turismo passando per le attività portuali – devono ridurre drasticamente il loro impatto ambientale e climatico, e questo si può fare solo investendo in tecnologie innovative. Per questo l’Unione Europea ha posto un particolare accento sul connubio tra economia circolare e blue economy: una sinergia necessaria per ridurre l’inquinamento e ripensare, ad esempio, le modalità di smantellamento delle piattaforme offshore e la progettazione degli attrezzi da pesca, spesso responsabili della dispersione di plastiche e microplastiche negli oceani.

Quali sono le differenze tra blue economy e green economy?

Ad una prima osservazione può sembrare che gli obiettivi che si prefigge la blue economy siano di fato sovrapponibili a quelli della green economy, ma nonostante le diverse similitudini questi due modelli di business si basano su premesse diverse: se l’intento della green economy è quello di ridurre la quantità di emissioni e l’impatto delle attività dell’uomo sull’ambiente attraverso investimenti ad hoc, la blue economy punta a rivedere totalmente il paradigma, eliminando il concetto stesso di “scarto” per consideralo invece uno strumento in grado di produrre altro valore e che, in ultimo, si traduce in maggiori profitti. È lo stesso Gunter Pauli a spiegare questo concetto con un esempio molto semplice: È lo stesso meccanismo che avviene per una foglia su un albero, che non è in quel posto solo per raccogliere la clorofilla, ma anche per fare ombra, per produrre vapore, per stimolare il cervello umano: svolge diverse funzioni nello stesso tempo. Sarebbe penoso se considerassimo la foglia solo una produttrice di clorofilla.”

Qual è l’indotto della blue economy?

Come abbiamo visto, quello dell’economia blu è un business model estremamente interessante e innovativo, e – notizia che piacerà a chi ha già investito in progetti legati alla blue economy – potenzialmente molto redditizio. Su scala europea si stima che l’economia marittima produca circa 340 miliardi di euro di fatturato, e in Italia – grazie ai 7.500 km di coste e ai più di 600 comuni costieri – l’indotto si aggira attorno ai 130 miliardi di euro. Inoltre, nel nostro Paese la blue economy rappresenta il 9% del valore aggiunto nazionale: cifre che fanno comprendere come gli investimenti nella blue economy possano non solo promuovere la crescita sostenibile, ma anche contribuire allo sviluppo di settori chiave per la nostra economia nel suo complesso.

Quali sono i settori produttivi coinvolti nella blue economy?

Quando si parla di economia marittima in relazione alla blue economy spesso se ne sottovaluta la portata: accanto alle attività per così dire “tradizionali” come la pesca, il turismo costiero, l’industria navale o il trasporto marittimo, oggi figurano anche altri settori di grande rilievo come la robotica e le tecnologie come l’eolico offshore capaci di ricavare energia dal mare, ma anche le attività che progettano soluzioni innovative per la gestione dei rifiuti e o quelle che si occupano di ricerca nel campo delle biotecnologie. Questo, a cascata, si ripercuote sui flussi occupazionali, aumentando la domanda di figure professionali specifiche e dotate di competenze trasversali che spaziano dalla sostenibilità ambientale alle digital skills.

Blue Economy: esempi, progetti e case studies

Alcuni degli esempi più interessanti di come i dettami della blue economy possano essere applicati ad ogni industria arrivano proprio da Gunter Pauli, che li ha raccontati in un’intervista rilasciata pochi anni fa. Pensiamo all’industria di caffè, in una tazzina c’è solo lo 0.2% della materia che è stata raccolta, ma il restante 99,8% non può essere considerato uno scarto e deve essere utilizzato in altro modo: ad esempio, si può impiegare nella coltivazione dei funghi, nella produzione di tessuti sfruttando alcune delle proprietà più interessanti del caffè, come la sua capacità di assorbire gli odori o di proteggere contro i raggi ultravioletti. In questo modo si crea un sistema virtuoso e interconnesso che fa bene al pianeta e riduce i costi di produzione. E non si tratta solo di teoria: uno dei progetti di blue economy più interessanti in Italia riguarda proprio l’utilizzo del caffè nella coltivazione dei funghi, come ha fatto la startup italiana Funghi Espresso: dopo aver raccolto i fondi di caffè da bar e attività commerciali vicini alla loro sede, li uniscono ai semi dei funghi come substrato di coltivazione dando vita a nuovi prodotti con un impatto zero sull’ambiente.

Blue economy in Italia: a che punto siamo?

L’Italia è una delle quattro economie blu d’Europa insieme a Spagna, Francia e Germania, dunque può trarre grande vantaggio dall’attuazione di questi principi che, oltre a tutelare il nostro prezioso patrimonio marittimo, possono innescare un volano importante per l’economia nazionale e non solo. Il ruolo primario dell’Italia in questo processo di rinnovamento è testimoniato anche dal fatto che al nostro Ministero dell’Università e della Ricerca è stato affidato il coordinamento del progetto Sustainable Blue Economy Partnership voluto dalla Commissione Europea: si tratta di un paternariato internazionale dedicato alla tutela degli oceani, della biodiversità e delle risorse ambientali marini, e prevede un investimento di circa 500 milioni di euro in 7 anni.

Investire nell’economia sostenibile

Alla luce di quanto abbiamo visto, è facile intuire che quello degli investimenti sostenibili è un mercato che offre grandi possibilità a chi vuole destinare risorse alla transizione ecologica e alla riduzione del proprio impatto sul pianeta. Accanto ai tradizionali portafogli in ETF – che a nostro avviso rimangono lo strumento più vantaggioso grazie all’estrema liquidità e ai bassi costi di gestione – e agli ETF green economy, come Moneyfarm abbiamo sviluppato un ampio pacchetto di investimenti tematici, pensati per cogliere tutte le opportunità offerte dalle aree di business più promettenti del momento. I nostri esperti hanno infatti individuato quattro Megatrend che si concentrano su settori specifici ad alto potenziale di crescita:

  • Società del Futuro
  • Innovzione Tecnologica
  • Investimenti Sostenibili
  • Multi-trend

Il business della blue economy è naturalmente uno dei protagonisti dell’universo degli Investimenti Sostenibili con il fondo BNP ECPI Global ESG Blue Economy, un ETF che mira a replicare le performance dell’omonimo indice, costituito da una rigorosa selezione delle aziende più promettenti nell’utilizzo sostenibile delle risorse oceaniche. Il fondo, che è stato lanciato pochi anni fa, è inserito in una categoria di rischio medio-alta (5 su 7) e naturalmente esclude società che non rispettano gli standard individuati dai criteri ESG (ambientali, sociali e di governance).

Se vuoi approfittare delle opportunità offerte dalla blue economy o vuoi integrare prodotti specifici nel tuo portafoglio esistente, compila senza impegno il form online e affidati ai professionisti Moneyfarm, il servizio di consulenza finanziaria indipendente più apprezzato in Italia.

Domande frequenti (FAQ)

Quali sono i settori e le aree di business della blue economy?

L’economia blu coinvolge tutti i settori tradizionalmente legati al mare, dalla pesca ai trasporti, ai quali si aggiungono le tecnologie innovative che si possono applicare all’ecosistema marittimo.

Quale Megatrend devo scegliere per investire nella blue economy?

Gli investimenti nella blue economy rientrano nel Megatrend degli investimenti sostenibili e nei Multi-trend, a riprova del fatto che si tratta di un fenomento estremamente rilevante.

A che punto è l’Italia con la blue economy?

Insieme a Francia, Spagna e Germania l’Italia è una delle quattro economie blu d’Europa: per il nostro paese si tratta di un business il cui indotto si aggira attorno ai 130 miliardi di euro e che rappresenta il 9% del valore aggiunto nazionale.

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