ETF, innovazione e resilienza alla prova del tempo

⏳ Tempo di lettura: 6 minuti


Gli Exchange Traded Funds (ETF) compiono 25 anni in Europa. In solo un quarto di secolo, questi strumenti hanno rivoluzionato il mercato e sono diventati estremamente popolari tra gli investitori, contribuendo a democratizzare gli investimenti e a ridurre i costi dei fondi. Quali sono stati, dunque, i cambiamenti più significativi portati dagli ETF e quali sono, invece, le opportunità future? Ne ha parlato il nostro Global Head of Investment Advisory Andrea Rocchetti in un’analisi pubblicata da Il Sole 24 Ore in occasione di questo importante anniversario.

Con un mercato del valore di 2,3 trilioni di dollari, il settore degli ETF comprende decine di emittenti e migliaia di strumenti che coprono una vasta gamma di classi di attivo e aree geografiche. Attraverso un singolo strumento è così possibile ottenere un’esposizione ampia e diversificata ai principali mercati azionari globali, con costi di gestione annuali spesso inferiori ai 20 punti base (la media europea delle ongoing fees degli ETF è 0,23% secondo il rapporto ESMA di gennaio 2025).

Il mercato degli ETF in Europa si trova ancora in una fase relativamente iniziale di sviluppo: i primi ETF europei – LDRS DJ STOXX 50 e LDRS DJ EUROSTOXX 50, sponsorizzati da Merrill Lynch – sono stati quotati l’11 aprile del 2000 alla Deutsche Börse. A pochi giorni di distanza, il 28 aprile 2000, è stato quotato alla Borsa di Londra l’ETF iShares FTSE 100. Già in queste prime emissioni si potevano intravedere alcune delle caratteristiche che avrebbero guidato la trasformazione degli investimenti in Europa nei decenni successivi: acronimi legati ai principali indici azionari globali, come il FTSE 100 e lo STOXX 50, e ruolo centrale di istituzioni finanziarie come Merrill Lynch e iShares.

Gli ETF hanno avuto un impatto significativo non solo in termini di innovazione, ma anche per l’entità degli investimenti che hanno attratto: secondo ETFGI, nel marzo 2025 la raccolta netta in ETF in Europa ha raggiunto i 28,63 miliardi di dollari, portando il totale per il primo trimestre dell’anno a 99,04 miliardi e segnando il trentesimo mese consecutivo di flussi positivi. Alla fine di marzo, gli investimenti complessivi in ETF in Europa ammontavano a 2,27 trilioni di dollari, oltre 2,4 trilioni allargando l’analisi agli ETP (Exchange Traded Products), il cui mercato europeo comprende attualmente 3.176 prodotti, con 13.378 quotazioni, distribuiti tra 124 fornitori e negoziati su 29 Borse in 24 Paesi. Inoltre, il volume giornaliero degli scambi di ETF in Europa supera regolarmente i 5 miliardi di dollari.

Immagine che contiene testo, schermata, Carattere, linea

Il contenuto generato dall'IA potrebbe non essere corretto.
Fonte: ETFGI

Inizialmente, la diffusione degli ETF in Europa è stata lenta e complessa e ha cominciato a guadagnare slancio soltanto a partire dalla metà degli Anni 2000, spinta dal crescente scetticismo nei confronti delle performance dei gestori attivi e dalla maggiore consapevolezza dell’importanza dei costi nella determinazione dei rendimenti netti per gli investitori.

Se prima i principali fondi si concentravano sull’investimento in grandi indici azionari ben consolidati, come il FTSE 100 o lo STOXX 50, caratterizzati da una comprensione immediata e da una struttura relativamente semplice, oggi emerge una dinamica di mercato diversa rispetto al passato, con gli ETF a reddito fisso che si sono distinti per una raccolta netta di 93,07 milioni di dollari a marzo 2025, segnando una forte domanda da parte degli investitori. Anche gli ETC (Exchange Traded Commodities) offrono esposizione al comparto delle materie prime e hanno evidenziato un interesse rilevante, con afflussi pari a 1,2 miliardi di dollari. Parallelamente, un segmento in rapida crescita come quello degli ETF a gestione attiva ha registrato una raccolta netta di 3,6 miliardi di dollari.

Sia gli ETF attivi che gli ETC – che a differenza degli ETF non sono dei fondi – evidenziano come gli ETP si siano evoluti nel tempo: nel caso delle materie prime, per esempio l’oro, molti fondi ora replicano il prezzo a pronti e detengono effettivamente riserve fisiche. Allo stesso modo, gli ETF attivi si configurano come fondi, ad esempio azionari e obbligazionari gestiti attivamente, andando oltre i tradizionali modelli passivi di semplice replica di un indice, sia essa fisica o sintetica. D’altra parte, gli ETF sono veicoli all’interno dei quali può essere inserito un benchmark da replicare passivamente oppure da provare a battere attraverso un mandato a un gestore. Certamente gli ETF attivi introducono un livello di gestione più sofisticato, che può generare aspettative diverse in termini di obiettivi, performance e rischi.

La resilienza degli ETF

Uno dei motivi principali per cui gli ETF indicizzati a basso costo sono decollati inizialmente nella loro forma passiva è un principio ampiamente riconosciuto dagli economisti accademici: i mercati sono per lo più efficienti e risulta difficile per un gestore di fondi, anche il più talentuoso, ottenere costantemente risultati superiori. Ecosistemi complessi come i mercati azionari prosperano grazie al cambiamento, al caos e alle narrazioni. Il mercato si adatta costantemente alle nuove informazioni, un processo che può sembrare casuale se si osservano le fluttuazioni quotidiane dei prezzi delle azioni.

Tuttavia, esiste una verità fondamentale nel modo in cui i mercati prezzano le principali classi di attivo: la maggior parte delle volte il mercato ha ragione e prezza i titoli in modo efficiente. Ciò rende estremamente difficile per i gestori di fondi superare la casualità del mercato. Sebbene non sia impossibile “battere il mercato”, numerosi studi hanno dimostrato che la maggior parte dei selezionatori di titoli, ossia i gestori di fondi, finisce per ottenere performance inferiori rispetto al mercato di riferimento, specialmente al netto dei costi mediamente elevati che solitamente accompagnano i fondi comuni di investimento a gestione attiva. Inoltre, un’analisi di Morningstar del 2024 dimostra come anche su benchmark relativamente ampi e tradizionali come l’azionario globale large cap, la resilienza degli ETF alla “prova del tempo” sia superiore a quella dei fondi attivi tradizionali: solamente il 35% dei fondi è “sopravvissuto” (non è stato quindi liquidato o fuso) nell’orizzonte di 15 anni rispetto al 53% dei cugini ETF. 

Ciò non impedisce agli investitori, sia individuali che istituzionali, di cercare di “battere il mercato”, spesso speculando su singoli titoli. Sebbene questa pratica possa occasionalmente generare soddisfazioni, la realtà è che, se si desidera gestire correttamente sia il rischio che la perfomance, una strategia diversificata, come quella offerta da un fondo, risulta essere più sensata. Consideriamo, per esempio, Nvidia: sebbene sia un chiaro leader nel settore dell’Intelligenza Artificiale, scommettere esclusivamente su questa società potrebbe significare perdere il prossimo leader del settore. Un ETF che traccia il settore dell’IA, al contrario, potrebbe includere Nvidia, ma non si precluderebbe la possibilità di investire anche in altri potenziali campioni futuri grazie alla diversificazione.

Gli ETF al centro del dibattito

Nonostante i numerosi vantaggi competitivi, nel corso degli ultimi due decenni e mezzo, gli ETF sono stati oggetto di alcuni dibattiti che meritano di essere approfonditi. Per esempio, sebbene sia tecnicamente possibile tentare questa strada, la maggior parte degli osservatori del mercato concorda sul fatto che titoli meno liquidi, come le azioni a piccola capitalizzazione o addirittura a microcapitale, non siano facilmente replicabili (né acquistabili o vendibili) tramite un indice. In effetti, esistono diverse asset class, come il private equity o la finanza strutturata, per le quali molti esperti ritengono che gli ETF non siano un veicolo di investimento adeguato.

Inoltre, non tutti gli indici e non tutti gli ETF sono creati allo stesso modo. Pur avendo acronimi simili e una struttura apparentemente uniforme, esistono differenze significative. Per esempio, a differenza della maggior parte degli indici, che pesano i titoli in base alla loro capitalizzazione di mercato, alcuni indici utilizzano il prezzo delle azioni come criterio di ponderazione o equipesano i titoli sottostanti. 

Le commissioni applicate dagli ETF possono differire da un fondo all’altro, ed è fondamentale che gli investitori prestino attenzione anche al cosiddetto tracking error, ovvero lo scostamento tra il rendimento effettivo del fondo e quello dell’indice che intende replicare. Questo divario può essere rilevante e incidere in maniera significativa sulla performance complessiva dell’investimento.

Un altro punto riguarda la scelta dei singoli ETF. Spesso molti investitori optano per l’ETF più grande, economico e conosciuto, pensando che questa sia la soluzione più semplice per risolvere la questione dell’investimento. Con “più grande” si intende solitamente l’ETF con il maggior patrimonio gestito. È vero che un ETF di grandi dimensioni, in termini di patrimonio, offre maggiore liquidità nelle operazioni quotidiane e che una maggiore liquidità, a parità di condizioni, riduce i costi di negoziazione, come lo spread denaro-lettera. Tuttavia, come evidenziato precedentemente, l’ETF più grande e più liquido non è necessariamente il più economico né quello con il tracking error più basso.

Si crede inoltre che gli ETF consentano sempre agli investitori di allocare in modo intelligente, dinamico e differenziato le principali asset class. La previsione delle principali tendenze macroeconomiche e dei temi di investimento è però un’attività ardua. Nella maggior parte dei casi, ciò risulta più complesso di quanto sembri. È quindi consigliabile lasciare l’asset allocation top-down a professionisti del settore o, in alternativa, definire una strategia di asset allocation a lungo termine per il proprio portafoglio e attenersi a essa, evitando reazioni impulsive alle notizie di mercato.

Il futuro è degli ETF

Pur non mancando sfide ancora aperte, in soli 25 anni gli ETF hanno compiuto significativi progressi e ci sono buone probabilità che continuino a crescere al ritmo attuale, se non addirittura più rapidamente.

Pensiamo, per esempio, all’incremento del numero di investitori retail che scelgono di gestire il proprio futuro finanziario in maniera digitale, tramite app e piattaforme online: secondo un report di Blackrock, il 75% degli investitori in Europa accede agli ETF tramite piattaforme digitali. O ancora, pensiamo alla straordinaria versatilità degli ETF: che si tratti di costruire un portafoglio diversificato di azioni dell’area euro o ottenere esposizione ai Treasury Usa a 10 anni, questi strumenti rappresentano l’unica soluzione in grado di combinare accessibilità, ampiezza dell’offerta e facilità operativa.

Nessun altro veicolo di investimento tradizionale garantisce un simile livello di flessibilità ed efficienza. Questo permette il loro utilizzo all’interno di diversi wrapper (per esempio Gestioni Patrimoniali, polizze vita o fondi pensione) da parte di investitori professionali e istituzionali.

Gli analisti di JP Morgan prevedono che il patrimonio gestito tramite ETF in Europa toccherà i 6 trilioni di dollari entro la fine del 2030, un traguardo che, se raggiunto, rappresenterebbe un risultato straordinario in soli tre decenni. 

L’Europa, sebbene con tempistiche e intensità diversa, appare destinata a seguire la traiettoria tracciata dagli Stati Uniti, dove ETF e fondi comuni di investimento indicizzati rappresentano ormai una componente dominante nei portafogli degli investitori.

Hai trovato questo contenuto interessante?

Hai già votato, grazie!

*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.