Le sfide economiche nel contesto dei cambiamenti demografici

Due report hanno catturato la nostra attenzione nei giorni scorsi. Il primo è un articolo sulla rivista scientifica The Lancet riguardante i tassi di fecondità globali. Il secondo è un report del CBO, l’ufficio di bilancio del Congresso (o Congressional Budget Office) degli Stati Uniti sulla prospettiva di lungo termine del bilancio USA, facendo una previsione dei prossimi trent’anni. I due argomenti sono in qualche modo correlati.

Per quanto riguarda la fecondità globale, il grafico qui sotto rappresenta il punto chiave della questione. Mostra i tassi di fecondità per regione geografica, sia storici che futuri. La linea orizzontale a 2.1 rappresenta il Tasso di Sostituzione Fecondità Totale – fondamentalmente il numero di figli necessari affinché la popolazione rimanga stabile. Parti del mondo sono già al di sotto del tasso di sostituzione e si prevede che altri Paesi vedranno una diminuzione dei tassi di fecondità nei prossimi anni.

Il punto chiave del CBO è riassunto nel grafico qui sotto. Mostra il debito del governo federale come percentuale del PIL nel tempo, oltre a una previsione piuttosto preoccupante.

Il CBO stima anche che nel 2040 negli Stati Uniti i decessi supereranno le nascite, quindi senza considerare l’immigrazione la popolazione inevitabilmente diminuirà.

Gli Stati Uniti non sono i soli. Il grafico qui sotto, che guarda agli ultimi vent’anni, confronta il rapporto del debito pubblico con il PIL di Stati Uniti,  Regno Unito, Germania e Italia. L’andamento per tre dei quattro Paesi è piuttosto prevedibile – la crisi finanziaria globale e il Covid sono stati un grave colpo. Solo la Germania, grazie a un’impresa impressionante di contenimento fiscale, è riuscita a sfuggire a questa tendenza.

Qual è il punto di tutto ciò? Il punto fondamentale, almeno per oggi, è che la spesa pubblica sembra destinata ad aumentare e il numero di persone in età lavorativa disponibili a sostenerla sembra destinato a diminuire.

Se così fosse, quali potrebbero essere le potenziali implicazioni?

Innanzitutto, prendiamo in considerazione la prospettiva dei mercati finanziari. In modo approssimativo, si sostiene che i rendimenti dei bond non dovrebbero scendere troppo, considerando la probabile crescente offerta. Nell’ultimo anno, ci si è focalizzati totalmente sulla politica delle banche centrali e sulla prospettiva di tassi di interesse più bassi. Questo può essere rilevante per un’orizzonte di breve termine, ma non è l’unico driver. Anche l’offerta e la domanda di bond giocano il loro ruolo. Da questo punto di vista, il regime di tassi di interesse bassi che abbiamo visto dopo il 2009 è probabilmente finito per sempre.

In secondo luogo, pensiamo all’inflazione. Si è discusso a lungo se una popolazione che invecchia sia inflazionistica o deflazionistica. Si può tornare a parlare di domanda e offerta: l’offerta di lavoro diminuisce (il numero di lavoratori cala), la domanda di lavoro rimane la stessa, quindi gli stipendi dovrebbero aumentare. Ovviamente non è così semplice. Che ne è dell’automazione dei processi? Avremo bisogno di meno lavoratori in futuro? Probabile. Le abitudini di consumo non cambiano con l’età? E poi c’è l’esempio del Giappone – dove il 10% della popolazione adesso ha più di 80 anni, anche se l’economia ha lottato con la deflazione per anni.

E da ultimo, come reagiranno gli stati? Il report del CBO è davvero un appello ad agire – soprattutto quando evidenzia la traiettoria potenziale del debito degli Stati Uniti. Forse la migliore soluzione è trovare modi per accelerare la crescita economica. Certo, è più facile a dirsi che a farsi, anche se non dovremmo scartare questa possibilità a priori. Oltre a ciò, si potrebbe presumere che i governi cercheranno di prendere di più e di dare di meno. Non è una previsione molto auspicabile. Evidenzia ancora una volta quanto sia importante per i singoli e le famiglie risparmiare il più possibile – e nel modo più efficiente possibile dal punto di vista fiscale – per il proprio futuro.

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