Questa settimana il presidente della Federal Reserve Bank (Fed) di Minneapolis Neel Kashkari si è attirato la luce dei riflettori. La reputazione che si è guadagnato Kashkari è quella di un pensatore indipendente, trasparente quanto il suo ruolo glielo consente. Infatti sta mettendo in dubbio, senza farne un gran mistero, la possibilità che quest’anno la Fed abbasserà i tassi. Al momento Kashkari non è un membro votante del Comitato a cui spettano le decisioni finali, ma vale comunque la pena approfondire l’argomento.
Alcune delle argomentazioni di Kashkari sono già conosciute.
Secondo gli ultimi dati ufficiali, l’inflazione negli Stati Uniti è risultata più alta del previsto. Per alcuni si tratta solo di un effetto collaterale del trend di discesa verso il target del 2 per cento. Altri si chiedono se sia un segno, ancora una volta, che la battaglia contro l’inflazione negli Stati Uniti non sia ancora stata vinta secondo i parametri della Fed. Entrambe le posizioni sono legittime, ma bisogna tenere conto che i banchieri centrali tendono ad avere un approccio prudente.
Nella scorsa settimana, i dati hanno dato un po’ di conforto ad entrambe le fazioni. Il Deflatore del Consumo Personale (un altro indicatore dell’inflazione) è risultato piuttosto in linea con le aspettative – se non leggermente più basso. Si tratta quindi di una buona notizia.
Il secondo grafico mostra una componente minore dello stesso sondaggio. Proprio come è risultato dal sondaggio principale, nel mese passato l’andamento dei prezzi è stato più robusto del previsto.
Il grafico qui sotto spiega perché questi dati sono di nostro interesse. I dati sui prezzi pagati sono messi a confronto con quelli sull’inflazione negli Stati Uniti. Il grafico suggerisce che i prezzi pagati del sondaggio ISM potrebbero essere indicatori dell’inflazione futura negli Stati Uniti (con un ritardo di circa nove mesi secondo il grafico). Di questo, i banchieri centrali dovrebbero essere perlomeno consapevoli.
Pur essendoci molta attenzione sulla determinazione dei prezzi di vendita, sotto alcuni aspetti è il risultato headline che risulta più interessante. Negli ultimi due anni, la situazione del settore manifatturiero nei mercati sviluppati è stata debole, mentre i servizi sono rimasti forti. Gli ultimi dati, però, sembrano contrastare questa tendenza.
Parte di questa analisi potrebbe riferirsi principalmente agli Stati Uniti, dove è avvenuto un cambio di rotta verso l’aumento degli investimenti interni. Questo è accaduto in parte come conseguenza delle carenze di approvvigionamento durante la pandemia e in parte come risposta alle crescenti tensioni geopolitiche con la Cina. Il grafico qui sotto ne illustra l’impatto, mostrando la spesa per l’implementazione dell’industria manifatturiera del settore privato. Si potrebbe supporre che parte del vertiginoso aumento degli ultimi due anni sia avvenuto grazie agli incentivi governativi, molto invidiati da coloro che nel Regno Unito, ad esempio, si lamentano della mancanza di investimenti interni.
Tornando ai prezzi: il punto di Kashkari è valido. Attualmente, l’ambiente macroeconomico negli Stati Uniti non richiede un urgente taglio dei tassi. Molto dipenderà da ciò che accadrà nei prossimi mesi, ma vale la pena notare che il mercato ha inglobato nelle aspettative meno tagli rispetto a quanto indicato dalla Fed nelle sue proiezioni più recenti. Come abbiamo già menzionato, si tratta di un netto cambiamento rispetto a sei mesi fa.
Infine, facciamo un confronto tra gli Stati Uniti e l’Eurozona. Come abbiamo già osservato, l’economia europea rimane piuttosto debole, con la Germania ad agire da insolito freno. Sul fronte dell’inflazione, abbiamo visto dati che risultano più bassi del previsto, a differenza degli Stati Uniti. Il grafico qui sotto mostra il quadro aggregato, tracciando le sorprese inflazionistiche negli Stati Uniti e in Europa. Le sorprese inflazionistiche negli Stati Uniti stanno aumentando, mentre in Europa i prezzi stanno sorprendendo al ribasso.
Sembra quindi sempre più probabile che avverrà un taglio dei tassi in Europa prima che negli Stati Uniti.
Richard Flax
Richard è il Direttore degli Investimenti di Moneyfarm. Si è unito all’azienda nel 2016. È responsabile di tutti gli aspetti della gestione del portafoglio e della sua costruzione. Prima di entrare a far parte di Moneyfarm, Richard ha lavorato a Londra come analista azionario e gestore del portafoglio presso PIMCO e Goldman Sachs Asset Management, e come analista obbligazionario presso Fleming Asset Management. Richard ha iniziato la sua carriera nel settore finanziario a metà degli anni ’90 nel team di economia globale di Morgan Stanley a New York. Ha conseguito una laurea in Storia presso l’Università di Cambridge, una laurea magistrale in Relazioni Internazionali ed Economia presso la Johns Hopkins University e un MBA presso la Columbia University Graduate School of Business.
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