Si definisce asset allocation il processo decisionale relativo all’allocazione del capitale (da investire) in differenti classi di investimento (es. titoli di capitale, titoli di debito, commodities come ad esempio i diamanti, ecc…), così da comporre un portafoglio diversificato, il più rispondente possibile alle esigenze dell’investitore da un punto di vista del trade-off rischio-rendimento.
Il processo consta di due importanti fasi, relative alla definizione delle caratteristiche e degli obiettivi dell’investitore e, conseguentemente, alla composizione del portafoglio vero e proprio.
A livello di composizione e gestione del portafoglio si possono distinguere due macro-categorie di asset allocation. Quella definita strategica (o passiva) e quella tattica (o attiva), la discussione intorno alle quali ha alimentato un corposo dibattito teorico.
L’obiettivo della prima è quello di replicare un indice di riferimento, assumendo come ipotesi che il mercato sia efficiente, caratterizzato quindi, da titoli o classi di titoli che in nessuna maniera risultano sopravvalutati o sottovalutati, poiché tutti gli operatori hanno a disposizione tutta l’informazione disponibile (e quindi anche assenza di asimmetrie informative).
I servizi di gestione del risparmio che si ispirano a questa ‘filosofia’ hanno “lo scopo di seguire il più vicino possibile il rendimento di un particolare mercato, o un particolare segmento di esso”, poiché si ritiene non proponibile il tentativo di realizzare una extra-performance.
In questa tipologia di approccio si punta tutto, per così dire, sulla diversificazione trascurando il market timing dell’investimento ma anche la tecnica dello stock picking. L’approccio allocativo fa (semplificando) ricorso, al contrario, all’adozione di un portafoglio all’interno del quale il peso dei diversi assets è esattamente il medesimo del particolare mercato o segmento di esso che si intende replicare.
Attraverso il criterio media-varianza vengono individuati tutti i portafogli che massimizzano il rendimento dato un certo livello di rischio per poi procedere ad individuare il portafoglio ottimale (che massimizza l’utilità) per l’investitore dato il proprio profilo (preferenze).
La bontà dell’allocazione passiva si valuta misurando lo scostamento (tracking error) del portafoglio replicato dal mercato di riferimento.
L’orizzonte temporale di siffatta politica di investimento non può che essere medio-lungo. I costi associati sono tipicamente inferiori a quelli dei prodotti a gestione attiva.
Quando l’attenzione si concentra, invece, su un tipo di asset allocation tattica, si fa implicitamente riferimento al tentativo dei “gestori” di “battere il benchmark” nel suo profilo di rischio-rendimento, contemplando quindi, implicitamente, la possibilità (si noti la differenza con quanto sopra) di realizzare una extra-performance.
Il tentativo di raggiungere questo risultato si fonda su tecniche di aggiustamento del portafoglio conseguenti ad analisi di mercato e di soggetti emittenti, che si ritiene possano condurre ad ottenere risultati migliori rispetto al mercato o segmento di mercato adottato come benchmark.
Il richiamo è al market timing (aggiustamento del portafoglio attraverso l’aumento/diminuzione dei pesi di determinati assets in portafoglio in previsione di rendimenti positivi/negativi degli stessi), allo stock picking (analisi e selezione sui fondamentali di bilancio degli assets ritenuti migliori) e perché no, all’utilizzo di tecniche miste di analisi tecnico-statistica.
Da quanto esposto, discende che, a differenza delle gestioni passive, quelle attive possono avere costi maggiori (il paradigma non è assoluto per varie ragioni legate anche ai costi di transazione che si assume chi ribilancia il portafoglio, strategicamente composto, affinché sia una replica sempre molto vicina all’indice di riferimento) che dovrebbero essere più che coperti dagli extra-rendimenti realizzati, per garantire all’investitore un vantaggio rispetto alle gestioni passive.
L’orizzonte temporale di riferimento per l’asset allocation tattica è inevitabilmente di breve termine, poiché è proprio nel breve che si possono sfruttare le eventuali asimmetrie o inefficienze temporanee che gli operatori ed il mercato possono scontare.
Un approccio strategico all’attività di allocazione delle risorse, tuttavia, è utile non solo per cercare di realizzare profitti maggiori, ma anche al fine di contenere, in talune fasi di mercato, le eventuali perdite entro limiti di accettabilità tali da essere rispondenti al profilo di rischio del cliente e sostenibili rispetto alle sue caratteristiche patrimoniale e psicologiche.
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