Capital gain: cos’è, come si calcola e tassazione

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Chiunque si approcci al mondo degli investimenti dovrebbe conoscere alcuni termini, tra cui il significato di capital gain. Si tratta, in particolare, del guadagno derivato dalla compravendita di un asset finanziario. In pratica, è la differenza, se positiva, tra il valore attuale di uno strumento finanziario (come può essere un’azione o un’obbligazione) e quanto si è pagato per acquistarlo.

Anche conosciuto come plusvalenza o guadagno in conto capitale, il capital gain costituisce la base imponibile per la tassazione sulle rendite finanziarie. In questo articolo cercheremo di spiegare cos’è il capital gain, approfondendo inoltre alcune tematiche chiave legate al calcolo e alla tassazione del capital gain.

Cosa vuol dire capital gain? Capital gain è la traduzione in inglese del termine “plusvalenza” o “guadagno in conto capitale”
Quindi? È la differenza sempre positiva tra quanto si è ottenuto dalle vendite e quanto si è pagato per comprare uno strumento finanziario
E se la differenza non è positiva? Allora si parla di perdita in conto capitale
Quanto si paga di tasse sul capital gain? In Italia l’aliquota per il capital gain è del 26%, salvo eccezioni.

Se sei alla ricerca di investimenti fiscalmente efficienti nella gestione della tassazione sul capital gain, in Moneyfarm offriamo ai nostri clienti la gestione patrimoniale, un servizio che rientra nel regime fiscale gestito. Questo tipo di regime ha il vantaggio che l’intermediario svolge il ruolo di sostituto d’imposta, liberando l’investitore dall’impellenza di compilare la dichiarazione dei redditi. Inoltre, è anche l’unico regime che permette di compensare le plusvalenze e le minusvalenze per quanto riguarda la compravendita di quote di fondi o ETF. Questo ci permette di ottenere questo beneficio sui nostri portafogli d’investimento costruiti in ETF, strumenti che offrono ampie garanzie di diversificazione ed efficienza. Secondo le nostre simulazioni, il regime gestito sembra essere il più vantaggioso per gli investitori su orizzonti temporali medio-lunghi.

Come si calcola il capital gain per la vendita di azioni o altri investimenti?

Vediamo innanzitutto come calcolare il capital gain, un’operazione piuttosto semplice che non presenta particolari complessità. Il capital gain, infatti, si ottiene calcolando la differenza tra il prezzo di vendita o corrente e il prezzo di acquisto (definito base) di un asset. Se questa differenza è positiva si ha un guadagno in conto capitale, mentre se questa differenza è negativa si ha invece una perdita in conto capitale. 

Per il calcolo del capital gain bisogna effettuare i seguenti passaggi:

  • Determinare la base: corrisponde generalmente al prezzo di acquisto. La base aumenta per effetto del reinvestimento di eventuali dividendi, oppure per investimenti aggiuntivi nel caso si contribuisca attraverso un piano di accumulo. Quando un asset viene acquistato in diverse fasi, invece, si considera un prezzo medio, ponderato per la quantità, per ogni tranche di acquisto.
  • Quando all’interno della medesima giornata di contrattazioni vengono effettuate molte operazioni di compravendita si considera la media, ponderata per la quantità, dei prezzi di ogni operazione. In questo caso vi è capital gain se la media dei valori finali di vendita è superiore alla media dei valori finali d’acquisto.
  • L’importo realizzato è il guadagno netto, ovvero il prezzo di vendita al netto di eventuali commissioni pagate e costi.
  • Per calcolare il capital gain bisogna sottrarre la base (ciò che si è pagato) dall’importo realizzato (il guadagno netto ottenuto dalla vendita).

Attraverso la semplice sottrazione si ottiene il capital gain assoluto, ma esso viene più spesso espresso in percentuale. Per calcolare il capital gain in percentuale il procedimento è abbastanza semplice, basta mettere in relazione il guadagno con la base. Matematicamente, bisogna soltanto dividere il guadagno per la base e moltiplicare per 100.

Capital gain: redditi da capitale e redditi diversi

Ai fini del calcolo dell’imposta sul capital gain è importante avere ben chiara la distinzione dei rendimenti ai fini di legge. Da un punto di vista fiscale, i rendimenti si dividono in due categorie. I rendimenti da capitale e i rendimenti diversi.

I redditi di capitale sono tutti quei redditi che sono caratterizzati dalla certezza e dalla prevedibilità (come per esempio gli interessi pagati dalle obbligazioni), o comunque sono legati alla gestione diretta del capitale. Questo tipo di rendimenti, a differenza degli “altri rendimenti” sono per propria natura positivi. Alcuni esempi di questi rendimenti sono per esempio gli interessi sul conto corrente e i dividendi pagati dalle azioni. Ma anche i proventi distribuiti e plusvalenze derivate dalle vendita di fondi comuni e Sicav, oppure i proventi di polizze assicurative.

Ai fini dei calcoli della base imponibile per l’imposta sul capital gain, questi rendimenti, essendo per propria natura positivi, non possono essere compensati da minusvalenze di simile natura. La tassazione di questi rendimenti segue il principio di cassa, ovvero vengono tassati al momento del realizzo e del pagamento si occupa il sostituto d’imposta.

La tassazione del capital gain in Italia

Da un punto di vista fiscale, il guadagno in conto capitale, o capital gain, viene invece categorizzato tra redditi diversi, quando si parla di persone fisiche o investitori. In particolare, in Italia l’aliquota per il capital gain è del 26%. La stessa tassazione del capital gain viene applicata anche ai dividendi che vengono staccati da azioni, così come alle plusvalenze generate dalla vendita di quote in Fondi Comuni d’investimento o ETF.

Un’eccezione si applica alla tassazione dei titoli di Stato, dei BOT, dei BTP, dei CCT e dei CTZ. A questi strumenti d’investimento, infatti, viene riconosciuta un’aliquota agevolata rispetto ad altri prodotti finanziari pari al 12,5%, simile a quella che si applica ai titoli emessi da enti locali o da istituzioni internazionali come la World Bank e la BEI. La tassazione agevolata si applica anche ai titoli di Stato emessi da governi esteri dei paesi che fanno parte della “white list”.

Per quanto riguarda invece la tassazione del capital gain sulle criptovalute, ossia i guadagni ottenuti da qualsiasi investimento sulle criptovalute, la Legge di Bilancio 2025 ha previsto diverse novità. Innanzitutto viene applicata un’aliquota del 26% per le plusvalenze realizzate nel 2025, con la possibilità di ridurre il carico fiscale rideterminando il valore delle attività crypto pagando un’imposta sostitutiva del 18%, mentre dal 2026 l’aliquota salirà al 33%.

La tassazione del 33% sulle cripto attività dal 1° gennaio 2026 non interesserà altri strumenti finanziari che hanno le criptovalute come sottostante. Ad esempio, gli ETF di criptovalute non avranno lo stesso regime fiscale delle operazioni di compravendita di valute virtuali, quindi ai fondi di investimento che hanno tra gli asset anche le criptovalute si applicherà una tassazione ordinaria del 26%, decisamente più conveniente in confronto a quella prevista per l’acquisto e la negoziazione di criptovalute. 

Nel resto d’Europa la situazione non è omogenea, infatti mentre in alcuni paesi le aliquote sulle plusvalenze delle cripto attività sono più alte (ad esempio il 30% in Francia e il 36% in Olanda), in altri la tassazione è più favorevole (in Spagna va dal 19% al 26%, in Ungheria è al 15%). Esiste poi l’esenzione totale delle imposte sul capital gain realizzato negli investimenti di lungo termine con le criptovalute, un’agevolazione vigente in paesi come la Germania, la Svizzera e il Portogallo. 

La gestione delle minusvalenze nel capital gain

Quando si registra una perdita in conto capitale o una minusvalenza, il regolatore offre un beneficio di imposta per abbattere la tassazione di future plusvalenze. In questo caso, infatti, il credito d’imposta può essere utilizzato durante lo stesso anno nel quale si è verificato e nei quattro anni successivi.

Come abbiamo già specificato, non tutti gli strumenti finanziari permettono di recuperare la perdita attraverso uno sconto finale. La possibilità di compensare le minusvalenze si applica solamente agli strumenti che generano redditi diversi e non si applica ai redditi da capitale. Non è possibile, dunque, compensare le minusvalenze ottenute dalla compravendita di quote in ETF o in fondi comuni con le plusvalenze derivate dalla vendita di quote di altri ETF o fondi comuni. Le minusvalenze generate dalla compravendita dei fondi, invece, sono compensabili con plusvalenze derivate da azioni, obbligazioni, certificati e futures. Queste eccezioni non si applicano al regime amministrato, come spiegheremo nel paragrafo successivo.

Un esempio di calcolo del capital gain e della tassazione sulle plusvalenze

Per capire meglio quando detto fino ad ora vediamo un esempio pratico di calcolo del capitale gain e della relativa tassazione sulle plusvalenze. Ipotizziamo che un investitore ha comprato azioni per un valore complessivo di 5.000 euro, per poi rivenderle a un prezzo totale di 7.000 euro. In questo caso l’investitore avrà ottenuto un capital gain di 2.000 euro, sul quale dovrà pagare un’aliquota del 26%. Il guadagno totale dell’investitore, quindi, al netto delle tasse, sarà pari a 1.480 euro

Se al contrario lo stesso investitore compra azioni per 5.000 euro, ma le rivende in perdita a 3.000 euro, avrà ottenuto una minusvalenza di 2.000 euro. In questa circostanza l’investitore potrà registrare tale perdita in un apposito cassetto fiscale, con la possibilità di sottrarre la minusvalenza da future plusvalenze entro 4 anni. In pratica, se negli anni successivi l’investitore dovesse ottenere una plusvalenza di 5.000 euro, poiché può recuperare la minusvalenza pagherà l’aliquota del 26% solo su 3.000 euro, con una tassazione di appena 780 euro invece di 1.300 euro.

Regimi fiscali: quando si pagano le tasse sul capital gain?

Secondo legislazione sulla tassazione del capital gain in Italia, esistono tre tipi di regimi fiscali. Questi si differenziano tra loro principalmente su chi ha l’onere di pagare le imposte, sulla gestione delle minusvalenze e delle plusvalenze e su quando si paga l’imposta sul capital gain.

  • Il regime amministrato: nel regime amministrato l’onere di pagare le tasse ricade sull’intermediario che agisce da sostituto d’imposta. Questo vuol dire che l’intermediario deve calcolare e pagare l’imposta e all’investitore viene accreditato al momento della vendita solo il risultato netto della gestione. Il pagamento dell’imposta segue il cosiddetto principio di cassa, dunque viene applicata al momento del realizzo, ovvero quando viene venduto il singolo asset o strumento finanziario. Per quanto riguarda la gestione delle minusvalenze, invece, valgono le regole spiegate nel precedente paragrafo. Esse si applicano solamente ai redditi “diversi” e appena nei casi in cui la plusvalenza si realizza in un momento successivo alla minusvalenza. Se il rapporto con l’intermediario cessa, esso rilascia una certificazione delle minusvalenze residue che potranno valere come credito d’imposta per conti e rapporti aperti con altri intermediari.
  • Il regime gestito è un regime, come nel caso di quello amministrato, nel quale l’intermediario agisce da sostituto d’imposta. La principale differenza tra i due regimi sta nel fatto che il regime gestito si applica alla totalità della gestione, ovvero alla totalità dei titoli gestiti per proprio conto dall’intermediario (e non rispetto al singolo titolo). All’imposta si applica il regime di competenza, ovvero l’eventuale imposta sul capital gain viene applicata ad eventuali plusvalenze maturate durante il periodo fiscale (ovvero alla differenza fra il valore della gestione all’inizio e alla fine dell’anno solare), al netto di commissioni e altre spese legate alla gestione. Se il risultato della gestione è negativo, la minusvalenza vale come credito d’imposta per i quattro anni successivi. Un vantaggio del regime gestito è quello che al computo del risultato della gestione non contribuiscono solo i “redditi diversi” ma anche i “redditi di capitale”. Questo vuol dire che anche eventuali dividendi o plusvalenze e minusvalenze derivate dal valore di fondi e comuni ed ETF possono essere compensate con il risultato della gestione, mentre eventuali minusvalenze possono essere riportate all’anno successivo come credito di imposta.
  • Insieme a questi due regimi esiste il regime dichiarativo, nel quale l’investitore si occupa di dichiarare eventuali plusvalenze e minusvalenze in sede di dichiarazione dei redditi. Da notare che il pagamento dell’imposta anno su anno vale per la gestione patrimoniale, mentre nel caso di fondi (al di fuori della gestione patrimoniale) – nonostante si tratti sempre di regime gestito – non si applica annualmente la fiscalità.

Esenzione tassazione capital gain per azioni di startup innovative

Secondo delle norme di agevolazione temporanee, introdotte dal decreto Sostegni bis, le plusvalenze da cessione di partecipazioni ad imprese startup innovative, detenute per almeno tre anni, beneficiano di un’esenzione dalle imposte sui redditi. L’esenzione vale per le persone fisiche, che realizzano capital gain dalla vendita di partecipazioni in startup innovative acquisite prima del 31 dicembre 2025.

Qual è il regime di tassazione sul capital gain migliore per i propri investimenti?

Evidentemente, non è semplice dare una risposta univoca a questa domanda. A Moneyfarm offriamo ai nostri clienti la gestione patrimoniale, che rientra nel regime fiscale gestito. Come spiegato in precedenza, questo tipo di regime, ha il vantaggio che l’intermediario svolge il ruolo di sostituto d’imposta, liberando l’investitore dall’impellenza di compilare la dichiarazione dei redditi

Inoltre, è anche il regime che permette di compensare le plusvalenze e le minusvalenze per quanto riguarda la compravendita di quote di fondi o ETF. Questo ci permette di ottenere questo beneficio sui nostri portafogli costruiti in ETF, che offrono ampie garanzie di diversificazione ed efficienza. Secondo le nostre simulazioni, il regime gestito sembra essere il più vantaggioso per gli investitori su orizzonti temporali medio-lunghi.

Domande frequenti

Cos’è il capital gain?

Il capital gain detto anche plusvalenza indica la differenza tra il prezzo di vendita o corrente di un qualunque strumento finanziario e il suo prezzo di acquisto. La plusvalenza per essere definita tale deve sempre avere un valore positivo.

Quando si paga l’imposta sul capital gain?

Dipende dal regime. Per semplificare, alla fine di ogni anno fiscale con regime gestito e al momento della vendita nel regime amministrato.

Come si calcola il capital gain?

Il capital gain si calcola semplicemente attraverso la differenza tra il prezzo di vendita o corrente e il prezzo di acquisto di un qualunque bene finanziario.

Qual è la tassazione sul capital gain per i titoli di Stato?

Le plusvalenze sugli investimenti in titoli di Stato prevedono una tassazione agevolata del 12,50%, invece di quella ordinaria pari al 26%.

Come evitare di pagare il capital gain?

Per evitare di pagare il capital gain è necessario non ottenere una plusvalenza, avere delle minusvalenze in grado di compensare il capital gain, oppure trasferire la residenza all’estero in paesi con una tassazione bassa o nulla sul capital gain, come Ungheria, Bulgaria, Malta, Nuova Zelanda o Singapore.

Quando deve essere versata l’imposta del 26% sui dividendi?

L’imposta del 26% sui dividendi deve essere versata entro il 16 del mese successivo al trimestre in cui è stato pagato l’utile.

Cosa succede se non dichiaro il capital gain?

L’investitore che non dichiara le plusvalenze soggette a tassazione rischia di incorrere in sanzioni amministrative, che possono arrivare fino al 240% dell’imposta non pagata e, oltre certe soglie, portare anche a procedure penali. I controlli possono essere effettuati fino a 14 anni dopo in caso di operazioni effettuate in paesi considerati sospetti.

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*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.

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