Volatilità e dazi: come affrontiamo il nuovo scenario di mercato

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Con l’annuncio da parte degli Stati Uniti di nuovi dazi lo scorso 2 aprile, i mercati finanziari hanno vissuto giornate particolarmente volatili, con livelli di turbolenza sui mercati azionari che non si vedevano da tempo. In un contesto ancora incerto, vogliamo condividere con voi il punto di vista aggiornato del nostro team di investimento.

Riteniamo che dazi più elevati rappresentino un freno alla crescita economica globale. Nell’immediato, potrebbero generare un aumento dei prezzi, ma non necessariamente un’inflazione più duratura. Un rallentamento della crescita potrebbe poi ripercuotersi negativamente sugli utili aziendali.

Ci aspettiamo che nel tempo si avvii un dialogo tra gli Stati Uniti e i principali partner commerciali. Finora, però, l’amministrazione Trump sembra disposta a tollerare un rallentamento dell’economia e dei mercati azionari pur di raggiungere obiettivi di lungo termine. Più a lungo resteranno in vigore dazi elevati, maggiore sarà l’impatto sulla crescita.

Anche in presenza di accordi, crediamo che dazi più alti tra Stati Uniti e partner commerciali diventeranno una componente strutturale dello scenario economico globale.

Fuori dagli Stati Uniti, invece, si potrebbero intravedere segnali positivi: ad esempio, tra Unione Europea e India, e tra Cina, Giappone e Corea del Sud. Gli Stati Uniti rappresentano circa l’11% del commercio globale – un attore certamente importante, ma non l’unico protagonista della scena.

Con l’aumento del rischio di recessione, ci aspettiamo una reazione da parte delle autorità monetarie. Già oggi gli investitori stanno anticipando più tagli ai tassi di quelli previsti per il 2025. Negli ultimi giorni, i mercati azionari hanno registrato un’elevata volatilità – come quando, il 6 aprile, alcune indiscrezioni su un possibile rinvio dei dazi statunitensi hanno innescato un deciso rimbalzo dei listini Usa. Se anticipare i movimenti di mercato è sempre una sfida, nel contesto attuale lo è ancora di più.

La performance dei nostri portafogli

In termini assoluti, la maggior parte dei nostri portafogli ha registrato un calo, in linea con l’andamento dei mercati azionari. È una dinamica che, seppur poco piacevole, fa parte del percorso di investimento. In contesti come questo, mantenere una prospettiva di lungo periodo è fondamentale — ed è l’approccio che continuiamo a seguire, invitando anche i nostri clienti a fare lo stesso.

Detto ciò, la maggior parte dei nostri portafogli ha sovraperformato i nostri benchmark da inizio anno (fino al 7 aprile), anche grazie alla decisione del team di ridurre l’esposizione azionaria a inizio marzo.

In Italia, il nostro portafoglio 100% azionario ha registrato una performance superiore di circa l’1,1% rispetto ad un ETF investito sull’azionario mondiale, sempre al lordo degli oneri fiscali, da inizio anno fino al 7 aprile.

Vale la pena soffermarsi un momento su come valutiamo la performance dei nostri portafogli. Il processo si basa su una serie di fattori chiave che consideriamo fondamentali per misurare le nostre scelte d’investimento.

Il primo è: i portafogli si stanno comportando come ci aspettavamo? Quelli che definiamo a minore rischio stanno effettivamente mostrando una maggiore tenuta? A oggi, la risposta sembra essere sì: da inizio anno, i portafogli a rischio più contenuto hanno generalmente retto meglio rispetto a quelli con una maggiore esposizione azionaria.

Può sembrare scontato, ma non lo è. Basti pensare al 2022, quando molti portafogli obbligazionari con una forte esposizione a titoli governativi a lunga scadenza hanno subito perdite maggiori rispetto a quelli più esposti all’azionario.

In secondo luogo, consideriamo anche i rendimenti assoluti. In definitiva, chi sceglie di investire con noi lo fa con l’obiettivo di far crescere il proprio patrimonio nel tempo — ed è proprio sul lungo periodo che si concentra il nostro impegno. La volatilità di mercato può generare incertezza, e ne siamo sempre consapevoli, ma evitiamo di attribuire troppo peso alle fluttuazioni di breve termine.

Il terzo elemento riguarda il confronto dei portafogli con i nostri benchmark. Pur non essendo spesso al centro della nostra comunicazione — anche perché sono costruiti direttamente da noi — questi benchmark rappresentano un valido strumento per misurare la coerenza e l’efficacia delle decisioni d’investimento. Alla luce di questi parametri, i nostri portafogli stanno mostrando una buona tenuta.

Abbiamo analizzato anche le alternative presenti sul mercato — ovvero altri portafogli in cui i nostri clienti avrebbero potuto investire — ma riteniamo che confronti su orizzonti temporali troppo brevi offrano indicazioni poco significative. In generale, preferiamo concentrarci sui risultati a tre anni — e le nostre performance a uno e tre anni continuano a mostrarsi solide.

La nostra posizione attuale

In un contesto volatile come quello che stiamo vivendo, è difficile avere certezze. Per questo abbiamo definito uno scenario di base, che aggiorneremo man mano alla luce delle possibili alternative.

Al momento, pensiamo che la politica commerciale resterà una fonte di incertezza e che ciò manterrà i mercati azionari volatili. In particolare, i rapporti commerciali tra Usa e Cina al momento appaiono tesi. Tuttavia, ci aspettiamo che nei prossimi mesi riprendano i negoziati bilaterali, con effetti positivi sul sentiment.

Nel breve periodo, anche notizie e indiscrezioni continueranno a influenzare i mercati. Ci aspettiamo che i dazi si stabilizzino a un livello superiore rispetto a fine 2023, ma inferiore rispetto a quanto annunciato il 2 aprile.

Riteniamo, inoltre, che dazi più elevati equivalgano a una tassa sulla crescita. Ci aspettiamo quindi un rallentamento dell’economia globale, con delle ripercussioni sugli utili aziendali. In questo contesto, il “quando” conta molto: più a lungo restano in vigore i dazi – con, potenzialmente, ulteriori contromisure nei confronti degli Stati Uniti – maggiore sarà il freno alla crescita. È probabile che gli investitori reagiscano positivamente a qualsiasi segnale di progresso nei negoziati, anche se il processo si preannuncia lento.

Che tipo di risposte di politica economica potremmo osservare? Negli Stati Uniti, Donald Trump ha già iniziato a fare pressioni sulla Federal Reserve per un taglio dei tassi. Ma il presidente della banca centrale, Jerome Powell, ha sottolineato che non c’è alcuna urgenza, anche alla luce del rischio che dazi più elevati possano alimentare nuove pressioni inflazionistiche. Detto ciò, se l’economia americana rallenterà, ci aspettiamo un alleggerimento della politica monetaria.

Alla luce di questo scenario, proviamo a capire come si riflette nei prezzi degli asset – in particolare in quelli dell’azionario Usa. Non esiste una risposta definitiva: capire con esattezza cosa sia già scontato dai mercati è impossibile. L’obiettivo è però quello di elaborare una lettura il più possibile consapevole.

La nostra attuale valutazione è che l’azionario statunitense – e in generale quello globale – stia oggi incorporando aspettative di una crescita più debole, con prospettive contenute anche per la crescita degli utili nel 2025. Si tratta di un segnale di rallentamento piuttosto marcato – ricordiamo che a inizio anno gli analisti prevedevano una crescita a doppia cifra degli utili per l’S&P 500.

Detto ciò, non riteniamo che le attuali valutazioni riflettano uno scenario di recessione profonda. Se la nostra lettura è corretta, significa che una parte degli investitori azionari continua a nutrire fiducia in una soluzione negoziata alla questione dei dazi.

E per quanto riguarda gli scenari alternativi? Se i dazi rappresentano il nodo centrale, allora è importante considerare esiti differenti su questo fronte. Lo scenario positivo prevede un avvicinamento delle tariffe globali al livello del 10%, atteso da molti investitori alla fine di marzo. Un simile sviluppo potrebbe essere sufficiente a innescare un rialzo dei mercati azionari nel breve periodo.

Lo scenario negativo, almeno per ora, è quello in cui l’attuale regime tariffario possa restare in vigore per un periodo prolungato, con Stati Uniti e Cina bloccati in una situazione di stallo, con tariffe ancora più elevate. In uno scenario simile, riteniamo probabile che l’economia statunitense – e potenzialmente anche altre – entri in recessione. Le previsioni sugli utili globali verrebbero riviste al ribasso. Ci aspetteremmo che le banche centrali adottino misure di politica monetaria espansiva per attenuarne in parte gli effetti.

Quali opportunità e scelte tattiche stiamo valutando?

Nel breve termine, la questione chiave rimane legata ai dazi. Vista l’incertezza sul fronte delle politiche economiche, è difficile assumere una posizione netta su uno solo degli scenari delineati. Per il momento, quindi, manteniamo un posizionamento relativamente prudente secondo i nostri indicatori interni.

Qualora nel tempo maturassimo una maggiore fiducia nello scenario di base, potremmo valutare un incremento dell’esposizione azionaria. Osservando il profilo di rischio di lungo periodo dei nostri portafogli, riteniamo di avere margine per aumentare la componente azionaria. Allo stesso modo, se lo scenario negativo dovesse apparire il più probabile, riteniamo ci sarebbe spazio per ridurre ulteriormente il peso dell’azionario, anche alla luce delle valutazioni attuali.

Se decidessimo di aumentare l’esposizione azionaria, dovremmo valutare su quali mercati concentrarci. Nel breve periodo, però, non è la priorità: un accordo sui dazi potrebbe infatti sostenere un rialzo generalizzato dell’azionario globale. Nel lungo periodo, comunque, potrebbe emergere una maggiore differenziazione. Qui torniamo al dibattito “pre-dazi”: ha ancora senso puntare sulla “macchina degli utili” statunitense, nonostante le valutazioni elevate? Oppure riteniamo che i mercati azionari extra-Usa possano continuare a fare meglio? Di recente abbiamo ridotto leggermente l’esposizione agli Stati Uniti per motivi legati alle valutazioni. Rimaniamo attenti al ruolo delle big tech americane nei mercati, monitorando loro capacità di continuare a trainare la crescita degli utili nei prossimi anni.

L’obbligazionario resta una componente fondamentale di un portafoglio multi-asset, ancor più alla luce del rialzo dei rendimenti obbligazionari degli ultimi anni. Negli ultimi mesi è stato incoraggiante assistere al ritorno di una correlazione negativa tra azioni e obbligazioni, che ha rafforzato i benefici della diversificazione.

Continuiamo a valutare quali segmenti del mercato obbligazionario siano oggi più interessanti. Le opinioni sulla duration, inoltre, sono diverse: alcuni ritengono che possa offrire buoni risultati in un contesto di rallentamento economico, mentre altri temono che i dazi alimentino nuove pressioni inflazionistiche, limitando così il potenziale dei titoli a lunga scadenza.

Restano infine alcune preoccupazioni legate all’aumento del debito sovrano, in particolare negli Stati Uniti. Al momento non prevediamo che gli investitori richiedano rendimenti molto più elevati per detenere titoli di Stato Usa, ma continueremo a monitorare da vicino questo aspetto. In generale, restiamo prudenti sull’high yield, anche se gli spread si sono ampliati. In caso di recessione, ci aspettiamo un aumento dei tassi di default. Continuiamo ad apprezzare il debito dei mercati emergenti a breve scadenza, al quale abbiamo aumentato l’esposizione a marzo.

Le valute sono un altro tema rilevante. L’amministrazione americana ha manifestato l’intenzione di favorire un indebolimento del dollaro nei confronti dei principali partner commerciali – un obiettivo tutt’altro che semplice da realizzare, ma che apre importanti riflessioni sulla gestione dell’esposizione valutaria nei nostri portafogli. Abbiamo già utilizzato ETF azionari con copertura valutaria e potremmo farvi ricorso in misura maggiore in futuro.

Questo ci porta a un’ultima domanda strategica. Tradizionalmente adottiamo un approccio basato sulla capitalizzazione di mercato, che tende a tradursi in una maggiore esposizione agli asset statunitensi, data la crescente rilevanza delle azioni Usa nei mercati globali.

In un nuovo ordine mondiale caratterizzato da una maggiore incertezza sul fronte delle politiche economiche, stiamo valutando l’opportunità di aumentare ulteriormente la diversificazione geografica all’interno dei portafogli.

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*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.