Lo scorso weekend, il Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent e il principale negoziatore commerciale americano hanno avviato in Svizzera i colloqui con la delegazione cinese guidata dal vicepremier He Lifeng, con l’obiettivo di fare progressi nella riduzione dei dazi bilaterali che avevano superato il 100%, sebbene con numerose eccezioni.
I risultati sono stati migliori del previsto. I due Paesi hanno concordato una riduzione dei dazi per 90 giorni: gli Stati Uniti con un taglio dal 145% al 30%, mentre la Cina li ha ridotti dal 125% al 10%. I mercati azionari, in particolare quello statunitense, sono saliti nel corso della settimana, proseguendo un recupero iniziato già dopo l’annuncio da parte degli Stati Uniti del rinvio di alcuni dazi – esclusa la Cina – lo scorso 9 aprile. L’azionario statunitense è ora salito sopra i livelli registrati il 1 aprile, prima del cosiddetto Liberation Day.
Come interpretare tutto ciò?
Riteniamo che ci siano alcuni punti da sottolineare. Attualmente ci troviamo in una situazione migliore rispetto a quanto si temeva il mese scorso. I dazi reciproci, che all’inizio erano di un’entità sostanziosa, sono stati ridotti – seppur in via temporanea. Questo passo indietro dovrebbe attenuare alcuni dei rischi legati a crescita e inflazione, e riteniamo che i mercati azionari abbiano reagito positivamente proprio a questa distensione.
Tuttavia, i rischi legati al commercio non possono dirsi superati. La tregua di 90 giorni ha una scadenza, e sebbene i primi segnali lascino intravedere la possibilità di un accordo che consenta a tutte le parti di dichiarare una vittoria, il risultato resta tutt’altro che certo.
Va inoltre evidenziato che, anche in uno scenario favorevole, è molto improbabile che si torni al contesto pre-Liberation Day. Secondo le stime di Barclays, il dazio medio ponderato statunitense (in base ai volumi di scambio) è attualmente intorno al 14%, rispetto a circa il 2,5% di sei mesi fa. L’impatto non sarà così grave come inizialmente temuto, ma potrebbe comunque pesare sulla crescita e sulla fiducia degli investitori.
È facile dimenticarlo, ma i dazi non sono l’unico tema rilevante. Gli utili del primo trimestre negli Stati Uniti sono stati solidi e, in condizioni di mercato più stabili, avrebbero rappresentato un valido supporto per i mercati azionari.
Secondo FactSet, oltre il 75% delle società dell’S&P 500 ha riportato utili superiori alle attese nel primo trimestre – un dato superiore alla media storica. In termini di crescita, gli utili sembrano essere cresciuti di circa il 13% anno su anno – non tutte le società hanno ancora comunicato i risultati – segnando il secondo trimestre consecutivo di crescita a doppia cifra.
Il mondo è in una situazione migliore rispetto a fine marzo? Nel complesso, diremmo di no. I dazi restano superiori a quanto inizialmente auspicato, sebbene siano ben al di sotto dei picchi raggiunti a metà aprile. Riteniamo che possano ancora pesare, in parte, sulle prospettive di crescita e inflazione. Sul fronte societario, gli utili sono risultati generalmente più solidi del previsto, anche se non riflettono ancora pienamente l’impatto delle recenti tensioni commerciali e dell’incertezza politica più ampia.
Oltre a dazi e utili
Nelle prossime settimane è probabile che il dibattito sul bilancio statunitense riceva maggiore attenzione, soprattutto per quanto riguarda l’ipotesi di nuovi tagli fiscali e l’entità del disavanzo complessivo – ovvero la differenza tra tutte le entrate e le spese pubbliche.
Un altro tema da monitorare riguarda le indagini antitrust avviate contro alcune delle principali società tecnologiche statunitensi. Qualsiasi azione legale concreta richiederebbe probabilmente anni, a causa dei lunghi tempi dei procedimenti e dei ricorsi, ma resta un rischio potenziale che potrebbe guadagnare visibilità nei prossimi mesi.
Sul fronte macroeconomico, osserviamo che la domanda interna negli Stati Uniti ha subito un leggero rallentamento. Continuano a emergere segnali di pressione sui consumatori a basso reddito, come evidenziato dall’aumento delle insolvenze sui prestiti auto, come si può vedere nel grafico qui sotto.
Cosa significa per i portafogli?
Nel corso della fase di incertezza registrata ad aprile, abbiamo scelto di non intervenire sulla maggior parte dei nostri portafogli. Il brusco calo iniziale, seguito da un rapido recupero, è un chiaro promemoria di quanto sia complesso tentare di anticipare i mercati – soprattutto in contesti caratterizzati da forte volatilità.
Detto ciò, negli ultimi giorni abbiamo colto l’opportunità offerta dal recupero dei mercati per ridurre lievemente l’esposizione azionaria. Parallelamente, abbiamo incrementato la diversificazione geografica, diminuendo la componente in ETF su Treasury statunitensi a lunga scadenza.
Abbiamo anche introdotto in alcuni portafogli a profilo più aggressivo un ETF azionario a bassa volatilità, composto da società che storicamente hanno registrato minori oscillazioni rispetto al mercato azionario globale. L’obiettivo è stato quello di contenere il rischio complessivo dei portafogli in vista di una possibile nuova fase di volatilità, senza rinunciare alla partecipazione a eventuali ulteriori rialzi dei mercati azionari.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.