La situazione tesa a livello geopolitico internazionale, causata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia continua. Mentre il dialogo per trovare una via d’uscita al conflitto prosegue, nei giorni scorsi l’occidente ha imposto diverse sanzioni economiche per scoraggiare l’azione di Putin. Queste stanno danneggiando l’economia russa, tanto che diverse agenzie di rating hanno declassato il debito di Mosca a “spazzatura”.
In questo articolo discuteremo delle varie diramazioni economiche e finanziarie di questo evento, cercando di offrire un quadro esaustivo per interpretare la situazione.
Le sanzioni imposte dall’Unione Europea
Il 24 febbraio la Russia inizia l’invasione dell’Ucraina e l’Ue risponde imponendo la sua prima trance di sanzioni che sono andate a colpire:
- il settore finanziario
- i settori dell’energia e dei trasporti
- i beni a duplice uso
- il controllo e il finanziamento delle esportazioni
- la politica in materia di visti
- sanzioni nei confronti di cittadini russi
Nel dettaglio l’Ue ha quindi deciso di congelare i beni di Vladimir Putin, presidente della Federazione russa, e di Sergey Lavrov, ministro degli Affari esteri della Federazione russa. Si sono adottate inoltre delle misure restrittive anche nei confronti dei membri del Consiglio di sicurezza nazionale della Federazione e dei restanti membri della Duma che hanno sostenuto il riconoscimento delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk.
Le prime sanzioni, non fanno traballare l’azione di Putin, tanto che a distanza di qualche giorno, l’Ue decide di approvare nuove contromisure. Queste comprendono un divieto di effettuare operazioni con la Banca centrale russa, un pacchetto di sostegno da 500 milioni di euro per finanziare l’invio di attrezzature e forniture alle forze armate ucraine, il divieto di sorvolo dello spazio aereo dell’Ue e di accedere agli aeroporti dell’Unione da parte dei vettori russi e nuove sanzioni per altre 26 persone russe.
A questo secondo blocco viene poi aggiunta l’opzione dello Swift. I membri dell’Ue decidono infatti di escludere sette banche russe (Bank Otkritie, Novikombank, Promsvyazbank, Bank Rossiya, Sovcombank, Vnesheconombank (VEB) e VTB Bank ), dal sistema internazionale finanziario, andando dunque a pregiudicare la capacità di esse di operare. Ma non solo perché i paesi membri dell’Unione hanno anche introdotto il divieto di investire, partecipare o contribuire in altro modo a progetti futuri cofinanziati dal Fondo russo per gli investimenti diretti, vendere, fornire, trasferire o esportare banconote alla Russia e approvato anche la sospensione degli organi di informazione del Paese perché fonte di disinformazione.
Ma le sanzioni non finiscono qua perché l’Ue ha anche deciso, negli ultimi giorni, di allargare la lista delle persone, collegate alla base industriale e di difesa della Russia, a cui sono imposte restrizioni più rigorose sulle esportazioni di beni e tecnologie in grado di contribuire al rafforzamento tecnologico del settore della difesa e della sicurezza della Russia. Sono inoltre stati vietati nuovi investimenti nel settore dell’energia russo, oltre che introdotte ampie restrizioni sulle esportazioni di apparecchiature, tecnologie e servizi per l’industria dell’energia.
Ma al di là delle conseguenze economiche: le sanzioni sono uno strumento di deterrenza utile? Posso portare Putin ad un tavolo per la pace e promuovere una distensione? La risposta alla domanda non è banale, perché quando queste decisioni vengono prese si considerano con attenzione potenziali costi e benefici potenziali, visto che le sanzioni hanno un costo anche per gli stati che le impongono.
In linea teorica le sanzioni sono uno strumento efficace, dato che permettono, da un lato, di portare avanti una politica estera aggressiva e dall’altro di esercitare pressioni, che la semplice diplomazia non è in grado di supportare. Per questi motivi le sanzioni sono diventate l’arma più utilizzata in tutte le principali questioni internazionali che vedono il blocco dei paesi occidentali contrapposto alla Russia, alla Cina, alla Corea del Nord o al Venezuela.
In alcuni casi le sanzioni hanno portato a dei risultati positivi, anche se provvisori. L’ex presidente, Barack Obama, per esempio, impose delle azioni restrittive contro l’Iran e riuscì ad ottenere l’apertura di un negoziato sul nucleare. Sempre in campo americano, le sanzioni (insieme ad altri strumenti) avevano fatto ottenere a Donald Trump la riduzione della presenza sul mercato occidentale della Huawei (azienda cinese). Ma non solo, nel 2014 le sanzioni che furono applicate alla Russia, causa invasione della Crimea, aprirono la strada ai negoziati. C’è però da sottolineare che in molti altri casi questa strategia ha portato a risultati deludenti e spesso mediocri. Il motivo, nei casi di fallimento, è dovuto alla poca accuratezza delle misure e all’elevata frequenza. Molti spesso infatti gli Usa e più in generale l’occidente usa queste armi in modo generico, non ponderando bene il bersaglio che si vuole colpire.
Le sanzioni attuali, imposte alla Russia, sono sicuramente molto forti e stanno mettendo in crisi l’economia di Mosca. Basti pensare che entro aprile il Paese potrebbe rischiare il default se non dovesse riuscire a pagare gli investitori esteri. Se però queste riusciranno a portare Putin al tavolo dei negoziati è ancora tutto da vedere.
La Russia rischia il default?
Prima di rispondere alla domanda dobbiamo dire che fino a qualche settimana fa, comprare e avere i titoli di stato russi era considerato un buon investimento, dato che il Paese ha un debito basso e ampie riserve di liquidità derivante dalla vendita.
Con più di 640 miliardi di dollari in riserve di oro e valute straniere, il debito era praticamente garantito. La situazione è però cambiata radicalmente. In seguito alle sanzioni il rischio di default, per la Russia, sta diventando sempre più concreto.
Recentemente Fitch, Moody’s e S&P hanno tagliato il rating del debito russo ai livelli più bassi. E la Banca mondiale ha detto che la Russia e la Bielorussia si trovano “chiaramente in zona default”. La caduta economica della Russia potrebbe prendere ancora qualche giorno. Il 15 marzo è scaduto il primo termine per pagare 107 milioni di dollari di interessi agli investitori stranieri. E il governo russo è riuscito a saldare il debito in dollari. La situazione economica del Paese non è però delle migliori e le sue scorte stanno per finire.
E dunque, nel caso in cui dovesse non riuscire a saldare più i suoi debiti internazionali, finirebbe in default e si tratterebbe del primo sui debiti esteri dal 1917, quando il governo bolscevico si rifiutò di pagare il debito dello zar. La Russia era andata in default anche nel 1998 ma per 40 milioni di dollari di debiti verso creditori interni. Questa crisi fu, tra l’altro, uno dei motivi che portò al vuoto di potere che permise a Putin di diventare presidente, con l’obiettivo di risollevare l’economia ed imporre un nuovo regime economico dopo gli anni caotici di Boris Eltsin.
Se la Russia non dovesse riuscire a rispettare le scadenze previste per aprile (ma non solo) finirà bolletta. Ma cosa accadrebbe dopo? Di solito quando un paese finisce in default la conseguenza peggiore che può subire è essere escluso dai mercati internazionali.
Se non si riescono a pagare i propri debiti diventa infatti difficile trovare investitori che ti prestino i soldi e si rischia dunque il tracollo finanziario completo. Il problema della Russia è che ha già perso l’accesso ai mercati internazionali, non può chiedere soldi a otto delle 10 più grandi economie mondiali e gli investitori sono estremamente spaventati e dunque poco propensi ad investire nel Paese. Tutto questo non è dunque un buon segno per l’economia russa che rischia di trovarsi in uno dei peggiori default della storia.
Per quanto riguarda le conseguenze generali di un default russo, ci potrebbero essere delle aziende finanziarie europee colpite, ma l’esposizione generale delle banche del vecchio continente sembra limitata e non dovrebbe creare effetti a catena. Inoltre è presumibile che i governi avranno capacità di intervenire per sostenere eventuali aziende o settori coinvolti in un eventuale tracollo economico russo.
L’esposizione diretta alla Russia dei nostri portafogli resta limitata e la diversificazione della nostra esposizione europea ci rassicura rispetto ad eventuali crisi localizzate.
La dipendenza europea dal gas russo e la strada verso l’indipendenza energetica
All’interno dell’Unione europea l’Italia è il Paese che usa maggiormente il gas naturale (42,5%). La Francia e la Germania (gli altri due grandi importatori) hanno mix energetici meno esposti al gas: la prima punta molto sul nucleare, mentre la seconda è più virtuosa nelle rinnovabili. Se poi si amplia l’analisi e si cerca di capire quanta dipendenza c’è dal gas russo si scopre che all’interno dei paesi dell’Ue non c’è una situazione omogenea. Si va infatti dalla Svezia che ha dipendenze minime da Mosca, all’Ungheria che è completamente dipendente dal gas russo. L’Italia, in questo caso si posiziona nella parte alta della classifica, seguita dalla Germania. In generale però i paesi membri dell’Ue, chi più chi meno, hanno dipendenze legate al gas russo. Attualmente, infatti, circa il 30% del gas importato dall’Ue viene da Mosca.
Nonostante negli anni l’Ue abbia cercato di diversificare le sue fonti, il legame con la Russia è rimasto molto forte. Perché? La risposta è la geografia. Strutturalmente è infatti molto più facile ed economico trasportare il gas da Mosca via tubo. L’instabilità, poi, in Libia e i problemi di produzione in Algeria e Norvegia hanno sempre più spinto l’Ue nelle braccia dell’orso.
L’attacco della Russia all’Ucraina rappresenta uno spartiacque e l’Ue sta lavorando per cercare in futuro di rendersi il più indipendente possibile da Mosca, per quanto riguarda il gas. I progetti per sviluppare sempre di più un’ energia verde e pulita, oltre all’obiettivo di protezione ambientale, hanno anche lo scopo geopolitico di affrancarsi dalla dipendenza energetica dalla Russia, ma la strada da fare è ancora lunga e non semplice.
Partiamo dal fatto che l’Ue ha messo giù una sua strategia molto ambiziosa che si sviluppa su due strade: una di breve e l’altra di lungo periodo. Per la prima, l’obiettivo è diversificare il più possibile l’approvvigionamento di gas e sfruttare tutto il potenziale delle energie verdi e a basse emissioni di carbonio. Nel breve dunque, la maggiore diversificazione si otterrà attraverso una più ampia fornitura di Gnl, spedito da paesi come gli Stati Uniti e il Qatar.
Nel lungo termine la Commissione mira invece ad aumentare la quantità di gas alternativi, come il biogas e l’idrogeno. Si è ipotizzata la produzione di 35 miliardi di metri cubi di biogas entro il 2030. Ma non solo perché nei piani c’è anche l’idrogeno verde. E poi c’è tutta la questione dell’energia pulita. Se l’Ue dovesse attuare pienamente i suoi progetti per il clima per il 2030, si riuscirebbe a ridurre la dipendenza dal gas russo del 23% entro la fine del decennio.
Cosa fare lato investimenti
Per consolidare ulteriormente il livello di resilienza nei portafogli, oltre che per mantenere la volatilità entro i target, abbiamo deciso di fare un ulteriore ribilanciamento. Il focus è sulla gestione del rischio attraverso due canali. Da una parte, aumentare i diversificatori e dall’altra ridurre la riduzione di asset rischiosi.
In pratica, abbiamo ulteriormente aumentato:
- Le materie prime, dato che in un contesto di inflazione esse tendono a performare bene, offrendo uno spunto di diversificazione del portafoglio;
- Gli asset denominati in dollari perché il biglietto verde tende ad essere fonte di diversificazione in fase di stress.
Dall’altra parte abbiamo ridotto:
- High yield e bond dei paesi emergenti per ridurre il rischio dei portafogli;
- L’azionario europeo. All’inizio di quest’anno avevamo espresso un giudizio positivo per quest’ultima asset class, che godeva di migliori prospettive di redditività di lungo termine. Tuttavia, riteniamo che l’effetto della crisi Ucraina, sulla crescita economica europea, non sia ancora chiaro, e che le pressioni inflazionistiche legate ai costi dell’energia potrebbero avere un impatto maggiore sugli utili aziendali europei rispetto a quelli americani.
È importante infatti sottolineare che quando modifichiamo i portafogli, oltre a considerare le esigenze di gestione del rischio, analizziamo le prospettive di lungo termine delle diverse asset class. In tal senso, questo ribilanciamento è finalizzato a posizionare meglio i portafogli verso un ampio spettro di scenari, alcuni dei quali prevedono che la crisi possa avere un impatto più duraturo su alcune regioni.
Azionario europeo: valutazioni e rischio crescita
Le azioni europee sono state recentemente sotto pressione. Diamo uno sguardo alle valutazioni, agli utili e ai rischi per la crescita
Valutazioni iniziali: il grafico sottostante mostra il rapporto prezzo/utili per azioni europee nell’ultimo decennio. Possiamo vedere che il calo delle azioni europee pone le valutazioni al di sotto della media di lungo termine di circa una deviazione standard. Ciò potrebbe far pensare che l’azionario europeo potrebbe rappresentare un’opportunità.
La domanda chiave è se gli utili, il denominatore del rapporto P/E che misura le valutazioni, siano sopravvalutati. Il grafico seguente mostra i margini di profitto in Europa. Si possono notare tre cose:
- In primo luogo, la redditività complessiva è aumentata nel tempo.
- In secondo luogo, e soprattutto, i margini sono elevati rispetto alla storia.
- E terzo, che c’è una certa ciclicità nella redditività (cioè una crescita economica più forte di solito significa che le aziende fanno più soldi!)
Il grafico seguente illustra il punto finale. Confronta i margini di profitto delle imprese in Europa con la crescita del Pil.
Le aspettative per la crescita del Pil in Europa nel 2023 nelle ultime due settimane sono state generalmente riviste al ribasso, poiché gli analisti hanno iniziato a tenere conto dei costi energetici più elevati e di un colpo alla fiducia che probabilmente seguirà la crisi in Ucraina. Le valutazioni azionarie europee sembrano convenienti rispetto alla storia, ma probabilmente non sono così a buon mercato se si tiene in considerazione il rallentamento degli utili che potrebbe arrivare. Ma possiamo dire che alcuni degli scenari negativi sono già stati prezzati dal mercato e sicuramente le valutazioni invitanti in Europa potrebbero diventare un aspetto da guardare con attenzione.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.