Michael Spence spiega come l’evoluzione del digitale stia cambiando radicalmente la fisionomia dell’economia.
Per alcuni può essere difficile star dietro al rapido e costante cambiamento di un’economia globale fatta di innovazioni e tecnologie digitali che stravolgono ritmi e stili di vita. Per altri invece, l’irruzione del digitale ha rappresentato una sfida da intraprendere, nonché l’evoluzione naturale di un sistema.
Al riguardo, Michael Spence, Advisor MoneyFarm e Nobel per l’economia, ha riflettuto in un suo interessante articolo, su come cittadini e politici dovrebbero comportarsi per stare al passo con la rivoluzione digitale in corso.
Il digitale ha trasformato le catene distributive potenziandone l’efficienza e riducendone in modo significativo i tempi di approvvigionamento, ma al contempo ha costretto la nascita di una nuova geografia dei rapporti commerciali. L’attività economica si è via via spostata in quei Paesi e in quelle regioni in cui risorse umane e manodopera costano relativamente poco e, come rilevato da Spence, si è assistito ad «un cambiamento radicale sul fronte della domanda, con le economie emergenti che sono cresciute fino a diventare Paesi a medio reddito». Di conseguenza «i produttori dei Paesi in via di sviluppo che nell’era precedente rappresentavano una frazione relativamente piccola della domanda globale, sono così diventati i principali consumatori». Per questo le reti distributive globali hanno dovuto riadattare l’offerta e la domanda a questa frammentazione e dispersione, ossia al fenomeno noto sotto il nome di “atomizzazione indotta dalla tecnologia”.
Se prima infatti prevalevano i vincoli della prossimità territoriale e pesavano le restrizioni imposte dai costi di transazione, ora spiega Spence, in assenza di queste problematiche, si è manifestata una suddivisione in parti più piccole delle reti distributive. Inoltre le distanze geografiche o la movimentazione delle merci non sono più un elemento fondamentale del commercio, laddove per far arrivare la maggior parte dei servizi servono perlopiù «competenza, perizia, informazione e comunicazione».
Ormai è la tecnologia a fare la differenza, nel bene e nel male. La tecnologia digitale ha soppiantato i vecchi schemi, a discapito della manodopera; una trasformazione che ha coinvolto milioni di persone le quali hanno avuto accesso all’economia globale ma «con grosse ripercussioni su povertà, prezzi, salari e distribuzione del reddito», ricorda ancora Spence.
Ora – avverte – sta per arrivare una seconda ondata di tecnologia digitale «potenzialmente ancora più forte» che rimpiazzerà quasi del tutto la manodopera tradizionale per mansioni sempre più complesse. Un processo di sostituzione della forza lavoro già in atto nel settore dei servizi (home banking, CRM etc.) ma che presto investirà anche la produzione di beni, con i robot e la stampa 3D che stanno sostituendosi al lavoro tradizionale.
Lo scenario futuro appare dunque piuttosto complesso. Indispensabile, per stare a galla, una continua metamorfosi.
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