L’Arabia Saudita ha recentemente annunciato la riduzione della produzione di petrolio di un milione di barili al giorno a partire dal prossimo mese. Questo segue due tagli fatti precedentemente dall’Opec+, che vanno a ridimensionare ulteriormente i livelli di produzione che si prevedevano.
Cosa c’è dietro questa mossa?
Per capire la decisione attuale dobbiamo guardare al passato. L’anno scorso, in questo periodo, il petrolio era scambiato a valori vicini ai massimi, rispetto a quelli post-pandemia, ad oltre 120 dollari al barile. Questo mese abbiamo invece visto i barili scambiati appena sopra i 67 dollari.
Una tale depressione dei prezzi è stata causata da una minore domanda globale. Poiché gli output di petrolio sono rimasti relativamente alti, questa diminuzione della domanda sta iniziando a colpire i paesi produttori di petrolio, che di conseguenza stanno cercando di mantenere i livelli di prezzo attuali in linea con gli output di estrazione.
I paesi dell’Opec+, inclusa l’Arabia Saudita, hanno quindi concordato di mantenere la riduzione dei livelli di produzione fino alla fine dell’anno prossimo (un totale di ulteriori 1,4 milioni di barili al giorno). Decisione che inevitabilmente continuerà ad influenzare i mercati almeno fino a gennaio 2025. Frenata che molto probabilmente porterà ad un aumento dei prezzi della benzina, sia per i singoli individui che per le aziende. I settori che di conseguenza risulteranno essere i più colpiti sono: il trasporto, la logistica e la manifattura. Inevitabili saranno poi le ripercussioni sull’utente finale, che già sta combattendo contro l’inflazione.
L’impatto sui mercati
Un aspetto da tenere in considerazione riguarda un eventuale impatto sugli indici azionari, inclusi quelli dell’Eurozona, degli Stati Uniti e delle economie dei mercati emergenti. Un aumento sul prezzo del petrolio peserà temporaneamente sugli indici statunitensi, dato che eventuali rischi nel medio termine possono essere compensati dall’aumento delle importazioni da parte del principale partner degli Stati Uniti, il Canada. Paese che attualmente fornisce più del 50% del petrolio greggio agli Usa, rispetto al 7% fornito dall’Arabia Saudita.
Ci aspettiamo inoltre ripercussioni, causa prezzo del petrolio, nei settori della tecnologia, delle telecomunicazioni e dei beni di lusso, poiché i consumatori cercano di ridurre la spesa complessiva per contrastare l’aumento dei prezzi legati ai beni primari. Stesso ragionamento si può applicare alle compagnie aeree che saranno, anche loro, colpite da eventuali costi aggiuntivi di fronte a una domanda più bassa.
Quale sarà la prossima mossa?
Sebbene la diminuzione di 1 milione di barili al giorno nella produzione dell’Arabia Saudita abbia dato spunto a questo articolo, dobbiamo anche considerare il contesto globale. Gli Emirati Arabi Uniti, ad esempio, hanno aumentato i loro obiettivi di produzione nello stesso periodo.
È anche importante tenere presente che i livelli di produzione dell’OPEC+ spesso non sono in linea con gli obiettivi di estrazione precedentemente dichiarati dai suoi membri e, pertanto, non devono essere considerati assoluti, in termini di produzione effettiva. Detto questo, il gruppo è responsabile del 40% dell’estrazione mondiale di petrolio greggio e quindi una significativa diminuzione nell’intero gruppo potrebbe influenzare notevolmente i mercati nel breve termine.
Come sempre, il nostro team di Asset Allocation continuerà a monitorare attentamente questa situazione in evoluzione e i suoi potenziali impatti sui mercati, in modo da poter adattare i nostri portafogli per massimizzare l’efficienza e mitigare il rischio, senza sacrificare i potenziali rendimenti.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.