Perché il dollaro resta un enigma

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Tutti sostengono di essere esperti di dollaro: dai desk valutari della City di Francoforte ai cambiavalute nelle strade dei Paesi in via di sviluppo. Ma il dollaro sfugge alle previsioni – e talvolta anche alla logica macroeconomica. È un bene rifugio (il maggiore di tutti), che rappresenta un’economia capace allo stesso tempo di preoccupare e affascinare. C’è chi sostiene che stia perdendo questo status di bene rifugio, ma probabilmente non così rapidamente come affermano alcuni ribassisti del dollaro.

Il dollaro beneficia di quello che è stato definito un “privilegio esorbitante”: è la valuta di riserva globale ed è ampiamente utilizzata nel commercio internazionale. L’euro, al confronto, pur essendo la seconda valuta di riserva mondiale, rappresenta un blocco che lotta con la coesione fiscale e la crescita disomogenea dei suoi membri, con una valuta che, sebbene importante, non ha la stessa ubiquità del dollaro nelle transazioni commerciali globali.

Il punto è semplice: il mondo valutario – il mercato FX – è un territorio misterioso, e nulla è più enigmatico del dollaro per gli esperti che cercano spiegazioni razionali. I tassi di cambio e i relativi regimi sono sistemi complessi che a volte sfidano la logica. Per ogni esperto che sostiene che il dollaro si indebolirà, ce ne sono molti che affermano il contrario, appellandosi al suo ruolo di bene rifugio. Tutti credono di aver trovato la regola che spiega il suo comportamento, ma nella mia esperienza la maggior parte di queste regole ha una durata breve e un valore esplicativo molto limitato.

Le basi del dollaro e l’analisi storica

Torniamo ai fondamentali e analizziamo ciò che sappiamo con certezza sul dollaro e sulle altre valute. Per cominciare, un punto generale: le valute sono molto meno volatili di quanto si creda nel medio termine.

Prendiamo il cambio EUR/USD. Negli ultimi dieci anni ha oscillato per lo più in una banda relativamente stretta (generalmente tra $1,05 e $1,25, con una variazione complessiva limitata al 20% circa). Solo ampliando l’orizzonte agli ultimi 50 anni vediamo movimenti davvero significativi: dal 1999, anno di introduzione dell’euro, il cambio EUR/USD è sceso dal picco di $1,60 (raggiunto durante la crisi finanziaria globale nel 2008) all’attuale livello.

In termini più generali, la volatilità di lungo periodo del dollaro è costantemente inferiore a quella del mercato azionario Usa. L’indice del dollaro (Dollar Index) mostra in genere una volatilità annualizzata tra il 7% e il 10%, mentre l’azionario Usa – misurato dal VIX, l’indicatore che riflette le aspettative di volatilità del mercato – supera spesso il 15%, salvo durante lunghi mercati rialzisti. Questo dato storico conforta l’idea del dollaro come strumento di investimento relativamente stabile.

Nel mondo valutario contano le coppie e i flussi

I tassi di cambio raramente si muovono per una sola ragione. Gli economisti guardano a un insieme di segnali – dai differenziali dei tassi d’interesse ai fondamentali macroeconomici – per interpretare le variazioni nelle coppie valutarie come EUR/USD o USD/GBP. Quello che importa davvero, infatti, sono proprio le coppie valutarie: i trader operano su di esse e, per gli investitori, le implicazioni sono altrettanto concrete. Un dollaro più forte e un euro più debole fanno aumentare automaticamente il valore degli investimenti europei in asset Usa, e viceversa.

I flussi di investimento transfrontalieri rappresentano una parte essenziale di questo mosaico globale dell’FX. Secondo numerose analisi, gli acquisti esteri privati di azioni statunitensi raggiungono regolarmente volumi record, contribuendo a sostenere la domanda di dollari.

Ma gli investitori non sono gli unici protagonisti del mercato valutario. A influire sui tassi di cambio intervengono anche le imprese, che ricevono dollari dal commercio internazionale e cercano stabilità nei cambi per proteggere margini e piani operativi. Questi attori non seguono necessariamente i fondamentali di breve periodo, complicando enormemente ogni analisi accademica. Anche le Banche Centrali sono spesso costrette a detenere valute che non apprezzano particolarmente (come nel caso della Banca Popolare Cinese, che accumula i dollari generati dagli esportatori cinesi).

La teoria macroeconomica sfidante

Gli economisti macro, ad esempio, amano valutare le valute tramite il PPP (parità del potere d’acquisto), popolarizzata dall’indice Big Mac dell’Economist. Questa teoria suggerisce che, nel lungo periodo, i tassi di cambio dovrebbero aggiustarsi in modo tale che una data merce abbia lo stesso costo in due Paesi diversi. Secondo le metriche PPP, il dollaro risulta spesso sopravvalutato.

L’analisi PPP è utile e nel lungo periodo probabilmente predittiva, ma nel breve periodo (12 mesi) non ha quasi alcun potere previsionale. Questo dimostra come le valute (l’euro e il dollaro, in particolare) siano mosse da una miriade di forze e flussi, molti dei quali non hanno nulla a che vedere con i fondamentali economici di base.

Il dollaro come bene rifugio e TINA

Anche quando i player sono più razionali (banche, fondi), entrano in gioco fattori sistemici come lo status di bene rifugio del dollaro. L’espressione “privilegio esorbitante”, coniata negli anni ’60 da Valéry Giscard d’Estaing, descriveva proprio la capacità del dollaro di galleggiare sopra la realtà economica grazie al suo ruolo dominante nel commercio e nelle riserve globali.

Questo crea ironie notevoli: molte crisi economiche recenti sono partite dagli Stati Uniti, ma quando i mercati entrano nel panico… indovinate in quale valuta gli investitori si rifugiano? Nel dollaro. Un esempio concreto è la crisi finanziaria globale: nelle sue prime fasi il dollaro si indebolì, ma dopo il fallimento di Lehman Brothers – l’evento simbolo dell’esplosione della crisi nel settembre 2008 – si rafforzò di circa il 13% contro le principali valute nella seconda metà dell’anno.

Questo è il concetto riassunto dall’acronimo TINA: There Is No Alternative. Molti attori vorrebbero usare un’alternativa al dollaro – franco svizzero, oro – ma non esiste veramente un sostituto credibile. L’euro ha problemi di sostenibilità fiscale a lungo termine e di coesione politica, e lo yuan non è liberamente convertibile. Per questo, il dollaro resta la scelta obbligata.

L’effetto diversificazione

La scelta delle valute da parte di economie e imprese è un processo lento e spesso non lineare. I movimenti valutari, pur essendo difficili da prevedere nel breve periodo, influiscono comunque sulla dinamica dei portafogli internazionali. L’oscillazione del rapporto tra dollaro ed euro può generare un vento contrario, quando il dollaro si indebolisce e il rientro in euro di asset denominati in USD risulta meno favorevole. Può divenire favorevole quando il dollaro si rafforza e attenua parte della volatilità sugli investimenti esteri.

Questi effetti rientrano nel normale funzionamento di un portafoglio diversificato: per un investitore europeo, l’esposizione ad asset statunitensi comporta inevitabilmente un rischio valutario che può amplificare o attenuare i rendimenti del sottostante, senza però modificarne la natura di lungo periodo.

Alcune analisi recenti ipotizzano che il dollaro possa indebolirsi nel medio termine, soprattutto in un contesto in cui la performance economica statunitense non appare più così eccezionale da attrarre con la stessa forza flussi di capitale non coperti dal rischio cambio. Allo stesso tempo, gli stessi studi sottolineano che non si osservano segnali convincenti di una “de-dollarizzazione” globale: fattori strutturali come il peso degli Stati Uniti nel commercio mondiale, nel debito globale e nel PIL internazionale continuano a sostenere il ruolo del dollaro. Inoltre, l’assenza di alternative pienamente credibili e la presenza di meccanismi che ne rafforzano l’utilizzo – come la diffusione di stablecoin ancorati al dollaro, cioè criptovalute progettate per mantenere un valore stabile pari a un dollaro – suggeriscono che un eventuale cambiamento sarebbe graduale e non lineare.

Detto questo, nessuno può prevedere con certezza l’evoluzione del dollaro. Eventi imprevisti possono modificare rapidamente il quadro, e storicamente il dollaro ha dimostrato di poter muoversi in entrambe le direzioni con forza. L’unica costante è che la valuta statunitense continua a occupare un ruolo centrale nel sistema finanziario globale.

Per gli investitori, queste dinamiche rappresentano un elemento da contestualizzare all’interno della propria strategia complessiva, più che un fattore da inseguire con decisioni tattiche di breve periodo. Comprendere come le oscillazioni valutarie si integrano nei propri obiettivi finanziari può essere utile per interpretare meglio l’andamento del portafoglio, soprattutto in fasi di volatilità.

Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. Le previsioni non sono un indicatore affidabile delle performance future. Queste informazioni hanno uno scopo puramente educativo e non devono essere considerate una consulenza d’investimento personalizzata

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