La crescita e l’inflazione sono state, come di consueto, al centro dell’attenzione questa settimana. Negli Stati Uniti, il dato rivisto sul PIL del terzo trimestre ha segnalato una crescita del 5,2% trimestre su trimestre, straordinariamente forte. Allo stesso tempo, una misura dell’inflazione (prezzi core PCE) è stata rivista leggermente al ribasso rispetto alla stima iniziale. Accelerazione della crescita e rallentamento dell’inflazione sono una bella combinazione!
In Europa il quadro non è stato purtroppo così roseo. Il PIL francese è diminuito dello 0,1% su base trimestrale, al di sotto delle aspettative. Fortunatamente, anche le stime preliminari sull’inflazione per il mese di novembre sono risultate inferiori alle attese, attestandosi al 3,8% su base annua. Questo dato è coerente con i dati più ampi dell’Eurozona, che hanno mostrato un rallentamento dell’inflazione più rapido del previsto il mese scorso.
Come abbiamo già detto in precedenza, sebbene vi siano ancora dei rischi, riteniamo che l’inflazione continuerà a decelerare verso l’obiettivo del 2% fissato da Federal Reserve/ Banca Centrale Europea/Banca d’Inghilterra. La domanda immediata riguarda la crescita. L’economia statunitense sarà davvero in grado di realizzare uno scenario di “no-landing”, ossia una convergenza dell’inflazione verso l’obiettivo senza un significativo rallentamento della crescita? Finora i dati di questa settimana sembrano piuttosto buoni.
Ma ci sono alcuni segnali di rallentamento. Il Beige Book della Federal Reserve – una sintesi dei feedback provenienti da tutti gli Stati Uniti – viene pubblicato otto volte all’anno. L’ultima edizione, pubblicata questa settimana, ha evidenziato un indebolimento della domanda in molte aree del Paese. I recenti commenti dei governatori della Fed suggeriscono che alcuni di loro stanno prendendo sul serio questo feedback. Un altro dato da considerare è quello relativo alle richieste di disoccupazione, che stanno aumentando gradualmente nel tempo. Questo spiega in parte perché un rialzo dei tassi a dicembre è probabilmente fuori discussione. Sarà interessante vedere se questa evidenza aneddotica inizierà a riflettersi in dati concreti nei prossimi mesi.
Si tratta di una domanda importante per diversi motivi, non ultimo il fatto che molti investitori puntano su un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve intorno alla metà del 2024. Ma se l’Istituto centrale ritiene che l’economia stia ancora crescendo al di sopra della crescita “potenziale”, perché dovrebbe agire rapidamente per ridurre i tassi? Se l’economia statunitense dovesse rimanere forte, gli investitori che sperano in un taglio dei tassi anticipato negli Stati Uniti potrebbero essere delusi.
In Europa e nel Regno Unito, il quadro della crescita è già più difficile. Forse non siamo ancora in una recessione tecnica – ma se l’economia è stagnante, ci interessa davvero se le statistiche dicono che è a zero o in leggera contrazione? La sfida per i banchieri centrali è leggermente diversa. L’inflazione non è ancora tornata all’obiettivo, mentre l’economia è debole, ma non così tanto da rendere il taglio dei tassi una decisione ovvia.
Dal punto di vista dei mercati azionari, ci interessa il rapporto tra attività economica e utili societari. Alcuni dati suggeriscono che il rallentamento della crescita potrebbe avere un impatto. Il grafico sottostante mostra le revisioni degli utili nel tempo, ovvero come sono cambiate le aspettative degli analisti sugli utili aziendali. Si nota un peggioramento negli ultimi mesi. Se la crescita dovesse rallentare nei prossimi trimestri, queste metriche potrebbero indebolirsi ulteriormente.
Richard è il Direttore degli Investimenti di Moneyfarm. Si è unito all’azienda nel 2016. È responsabile di tutti gli aspetti della gestione del portafoglio e della sua costruzione. Prima di entrare a far parte di Moneyfarm, Richard ha lavorato a Londra come analista azionario e gestore del portafoglio presso PIMCO e Goldman Sachs Asset Management, e come analista obbligazionario presso Fleming Asset Management. Richard ha iniziato la sua carriera nel settore finanziario a metà degli anni ’90 nel team di economia globale di Morgan Stanley a New York. Ha conseguito una laurea in Storia presso l’Università di Cambridge, una laurea magistrale in Relazioni Internazionali ed Economia presso la Johns Hopkins University e un MBA presso la Columbia University Graduate School of Business.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.