I titoli dei giornali di marzo sono stati dominati dal fallimento della Silicon Valley Bank e dall’acquisto di Credit Suisse da parte di UBS, ma il quadro generale è più ottimista di quanto si possa pensare, con i portafogli che hanno registrato una performance positiva. La caduta dei tassi ha ovviamente avvantaggiato il settore obbligazionario, ma anche le azioni si sono riprese bene dopo il crollo iniziale. Altro aspetto positivo sono gli investitori che non si sono eccessivamente spaventati degli scossoni nel settore bancario, riconoscendo la resilienza complessiva dell’economia.
Rimane un netto contrasto tra il mercato monetario e quello azionario, con il primo che sconta un forte rallentamento, mentre il secondo non è stato particolarmente colpito dalla crisi bancaria, come dimostrato dall’indice S&P 500 che risulta essere sopra la sua media mobile a 50 giorni. L’aggregato obbligazionario globale ha invece chiuso invariato e l’indice dei titoli di Stato USA è salito dell’1,7%.
Un dramma ma non una crisi
Marzo sarà ricordato come il mese in cui si è sfiorata una possibile crisi finanziaria. Tutto è iniziato quando la Silicon Valley Bank (SVB) ha cercato capitale extra per rafforzare la propria struttura patrimoniale dopo l’aumento dei tassi del 2022, che aveva colpito l’istituto in modo particolarmente duro a causa del suo significativo investimento in MBS. Preoccupati per la gestione del rischio aziendale, i mercati hanno reagito rapidamente e hanno iniziato a scommettere contro la banca. Il resto è storia: il crollo di SVB ha poi messo sotto pressione altre banche regionali americane e ha fatto precipitare la crisi di Credit Suisse.
Come è noto, la storia bancaria dell’istituto svizzero, è caratterizzata da scandali e mala-gestione lato risk management, che hanno portato ad una perdita nel 2022 di quasi $8 miliardi ed a un significativo crollo nei depositi. Nonostante i segnali di miglioramento sul fronte del risk management, il tempismo delle dichiarazioni dei principali azionisti sauditi, che hanno affermato che non avrebbero fornito nuovo capitale alla banca per motivi di regolamentazione, ha scatenato il panico, portando il governo elvetico ad intervenire mettendo pressione ad UBS affinché comprasse la rivale. Infine, la crisi si è spostata su Deutsche Bank. L’istituto tedesco ha infatti colto di sorpresa i mercati, decidendo di riacquistare un consistente importo di debito subordinato prima della scadenza.
In realtà, però i timori per una crisi bancaria sistemica si sono rivelati infondati. Il punto chiave da capire è che SVB ha affrontato problemi specifici che non si applicano ad altre banche. Le Banche Centrali hanno agito in modo deciso al momento opportuno con le autorità di regolamentazione statunitensi che hanno fornito ampia liquidità e linee di credito per evitare che i problemi di SVB si diffondessero e la Banca nazionale svizzera ha sostenuto la storica acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS con un’ampia linea di credito. Il sistema ha dunque funzionato.
Il quadro generale che emerge sia negli Stati Uniti che in Europa è quello di un sistema bancario in condizioni migliori rispetto al 2008 sebbene non vi sia alcuna garanzia che i più deboli sopravviveranno, i dati sono incoraggianti.
Il Tier 1 ratio che esprime il grado di patrimonializzazione delle banche in relazione alle attività detenute (ponderate per rischio). Una migliore regolamentazione ha migliorato questi numeri e ci aspettiamo che vengano ulteriormente rafforzati dopo gli eventi di marzo. Nel frattempo, il rischio di credito nell’area dell’euro è aumentato, ma non tanto quanto nelle crisi precedenti.
Le riserve delle banche americane sono ben al di sopra dei livelli pre-2008, soprattutto nel caso dei grandi istituti di credito.
Infine, il divario tra il tasso interbancario e quello sui depositi della Fed rimane molto basso, indicando una fiducia fondamentale nel sistema, a differenza del 2008, quando questo indicatore era salito alle stelle.
Scommettere su un’inflazione più bassa
Durante la crisi bancaria è normale che i tassi siano crollati e che l’azionario l’abbia sofferto, con il settore bancario che ha registrato le perdite peggiori. Più interessante è però la reazione e lo stato dei mercati dopo che la crisi è stata scongiurata. Gli investitori scommettono che la Fed non alzerà i tassi tanto tanto quanto previsto in precedenza, in gran parte perché è probabile che le banche rispondano agli eventi recenti rafforzando i loro bilanci, rallentando l’inflazione e minando la logica degli aumenti dei tassi. Le quotazioni azionarie, infatti, non solo hanno retto dopo il crollo iniziale, ma hanno anche raggiunto nuovi massimi rispetto all’inizio di marzo. L’interpretazione più sensata è che i mercati siano sempre meno spaventati dall’inflazione, ma, a nostro parere questo ottimismo dovrà presto essere supportato da dati sul lavoro peggiori (ma non troppo) e da un’inflazione in forte rallentamento, oppure potremmo vedere una parziale inversione degli ultimi movimenti.
Dove ci sta portando tutto questo?
Nel complesso, rimaniamo in un contesto difficile, ad alta volatilità, dove al rischio di un’inflazione prolungata, di un rallentamento dell’economia e di un acuirsi del conflitto geopolitico si accompagna la, pur bassa, a nostro avviso, probabilità di una crisi del sistema finanziario. Solo dopo che le Banche Centrali rimuoveranno il supporto temporaneo all’economia, re-iniziando di fatto il Quantitative Tightening, rendendo più chiara l’entità della riduzione dell’offerta di credito bancario, potremmo concludere se le economie saranno abbastanza forti da reggere e quanto l’inflazione rimarrà forte. Per ora, sembra il momento di essere prudenti e prudenti.
Dato il contesto altamente incerto, continuiamo a privilegiare un’esposizione prudente, anche se la crisi sembra essere per il momento superata. Visti sia i livelli dei tassi interessanti che la possibilità di sorprese inflazionistiche, la nostra preferenza è per le azioni indicizzate all’inflazione e per il credito di alta qualità.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.