L’inflazione pesa sull’azionario?

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Con l’inflazione statunitense al 2,9% e la Federal Reserve verosimilmente pronta a tagliare i tassi questo mese, è probabile che l’inflazione rimanga per qualche tempo al di sopra del target del 2% fissato dalle banche centrali. Abbiamo provato a capire quali implicazioni potrebbero emergere per i mercati azionari e per le loro valutazioni.

Il grafico qui sotto mette a confronto la valutazione delle azioni statunitensi con l’andamento dell’inflazione al consumo negli ultimi quarant’anni. Ogni punto corrisponde a un dato mensile: sull’asse verticale è riportato il rapporto prezzo/utili forward, mentre sull’asse orizzontale l’inflazione su base annua.

La risposta più immediata che emerge dal grafico è che non c’è una relazione significativa tra inflazione e valutazioni azionarie. Finché l’inflazione rimane relativamente bassa, tra il 2% e il 4%, la sua entità non pare aver influito molto sulle valutazioni. Il punto rosso rappresenta il dato attuale: le valutazioni si trovano nella fascia alta, come già discusso in precedenza, ma non si tratta di un valore anomalo né per le valutazioni né per l’inflazione.

Di conseguenza, un’inflazione oltre il 2% non implicherebbe necessariamente una penalizzazione per le valutazioni azionarie.

Non avendo riscontrato legami significativi con l’inflazione, abbiamo spostato l’attenzione sui rendimenti obbligazionari. In teoria, questi ultimi dovrebbero incidere maggiormente sulle valutazioni azionarie, poiché i titoli di Stato, in quanto attività prive di rischio, costituiscono il parametro di riferimento per valutare asset più rischiosi come le azioni.

Il grafico qui sotto confronta le valutazioni azionarie con il rendimento dei titoli di Stato decennali negli ultimi quarant’anni. In teoria una relazione esiste: rendimenti più bassi tendono ad associarsi, almeno in parte, a valutazioni azionarie più elevate.

Il problema emerge se si cambia il periodo di osservazione, come nel grafico qui sotto. Guardando i dati dal 2000 in poi, il legame appare molto meno evidente. Con rendimenti obbligazionari rimasti entro un intervallo più ristretto, il loro impatto sulle valutazioni azionarie è probabilmente stato meno rilevante.

Quali conclusioni possiamo trarre da questa analisi? A nostro avviso, ci sono alcuni punti che meritano attenzione.

Si tratta innanzitutto di un promemoria che negli investimenti non esistono garanzie. Le relazioni tra variabili finanziarie non sempre si mantengono stabili, anche quando potrebbero apparire logiche. Questo rafforza l’importanza di concentrarsi sulla gestione del rischio e di mantenere portafogli ben diversificati.

Inoltre, osservare relazioni semplici come queste può non restituire l’intero quadro, perché spesso non catturano le aspettative già incorporate nei prezzi azionari. È necessario osservare una gamma più ampia di dati per cercare di interpretare lo scenario d’investimento.

Infine, bisogna diffidare dal focalizzarsi eccessivamente su metriche di valutazione di breve periodo. Crediamo che i livelli iniziali delle valutazioni contino soprattutto quando si analizzano i rendimenti di lungo periodo, piuttosto che l’andamento dei prossimi dodici mesi.

L’attuale contesto può risultare complesso da navigare per gli investitori. Riteniamo che mantenere un approccio di lungo termine, flessibile e ben diversificato – in linea con i principi che guidano la nostra filosofia di investimento – sarà fondamentale per ottenere risultati solidi nel tempo.

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*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.