Nelle ultime due settimane, gli occhi dei mercati sono stati puntati sulle Banche Centrali, sia in Europa che negli Stati Uniti. Con la ripresa in corso in modo più deciso del previsto, sono sorti molti interrogativi sul futuro della politica monetaria. Sia la BCE, sia la Fed sono state sotto pressione, ma entrambe si sono impegnate a continuare a sostenere le rispettive economie.
In questo articolo esaminiamo la retorica proveniente sia dalla BCE, sia dalla Fed e le prospettive di mercate sia di breve, sia di medio termine.
Bce: nessuna sorpresa avanti tutta con il QE
Come da aspettative la Banca centrale europea (BCE) ha rinnovato il suo impegno a mantenere l’attuale ritmo di acquisti di asset, nonostante i segnali di ripresa economica.
La Presidente Christine Lagarde e i suoi colleghi hanno dichiarato che gli acquisti netti nell’ambito del PEPP nel prossimo trimestre continueranno a essere condotti a un ritmo significativamente più elevato rispetto ai primi mesi dell’anno. Inoltre, hanno lasciato invariati i tassi di interesse, i prestiti a lungo termine alle banche e il vecchio programma di acquisto di obbligazioni.
Tre mesi fa, la Bce aveva accelerato il ritmo del programma di acquisto di obbligazioni da 1,85 trilioni di euro e la decisione di oggi suggerisce che si continuerà a questo ritmo probabilmente fino a settembre. Nonostante sia le prospettive di crescita sia le previsioni di inflazione siano state riviste al rialzo, i responsabili politici nella zona euro – concordi con la visione di Washington – sostengono che i prezzi siano guidati da fattori temporanei, tra cui l’aumento dei costi del carburante e i colli di bottiglia nella produzione.
La Bce è stata chiara nel comunicare che ritiene sia presto per un dibattito sulla riduzione delle misure contro la pandemia, lasciando intendere che il programma di emergenza resterà in vigore fino a marzo 2023, data in cui attualmente è prevista la fine di esso. A nostro avviso, un eventuale annuncio nel prossimo futuro che preveda di rallentare gli acquisti non sarebbe da interpretare come un segnale particolarmente negativo, soprattutto se il processo previsto sarà graduale (magari anche attraverso una rimodulazione della data di chiusura del QU in modo simile a quanto fece già Draghi). Se la BCE dovesse ridurre il ritmo degli acquisti di asset nei prossimi mesi, andrebbe considerata come una decisione operativa piuttosto che una decisione politica.
Al momento, il tono utilizzato dalle Banche Centrali e le politiche monetarie intraprese continuano a fornire un importante supporto agli asset rischiosi: il commento odierno della BCE conferma il senso di marcia.
Le prospettive di inflazione europea, che costituiscono un elemento fondamentale nelle decisioni politiche di Francoforte, per ora rimangono sotto controllo. Le aspettative di consenso vedono un’inflazione ancora al di sotto dell’obiettivo della banca centrale sia nel breve (2 anni) che nel lungo termine (10 anni). Per questo motivo ci sembra ragionevole ipotizzare che il sostegno politico della BCE rimanga intatto ancora a lungo, indipendentemente dalla sua decisione sul ritmo degli acquisti di asset.
La Fed modifica i piani
Anche la Fed si è presa la scena segnalando la propria intenzione di aumentare i tassi di interesse in anticipo rispetto a quanto previsto in precedenza. Il FOMC ha dato il segnale fino a ora più forte sulla data nella quale invertirà la direzione della politica monetaria accomodante, ritirando gradualmente le misure che hanno contribuito a sostenere i mercati negli ultimi mesi. La proiezione mediana riguardo un aumento dei tassi allo 0,6% punta oggi a marzo 2023, anziché alla fine dell’anno.
Un cambiamento nella traiettoria era in qualche modo previsto, con l’inflazione e forti segnali dall’economia. La Federal Reserve ritiene di avere ancora molto margine di manovra per ricalibrare (o riallineare) le proprie politiche alle aspettative del mercato. Sta bilanciando due obiettivi di comunicazione; da un lato assicurare un sostegno continuo all’economia nei prossimi due anni e, dall’altro, non dare l’impressione che stia perdendo il contatto con la realtà, rimanendo indietro rispetto alla curva.
L’annuncio riflette un cambiamento di sentiment all’interno del FOMC. Dando un’occhiata ai dot plot (che mostrano le proiezioni dei membri del consiglio della Fed sui tassi di interesse), notiamo l’evoluzione della visione in seno al board. In particolare, rispetto all’ultimo meeting, tre nuovi membri ritengono che avremo almeno un rialzo dei tassi prima della fine del 2023. Mentre la maggioranza crede che assisteremo a un rialzo dei tassi prima della fine del 2024.
La mossa ha creato una certa volatilità (relativamente contenuta) nel mercato. Riteniamo ancora che non vi sia un rischio sostanziale che la Fed si trovi costretta a deviare dalla sua politica monetaria espansiva nel breve termine (una circostanza che causerebbe una correzione dei valori azionari). Al contrario, riteniamo che la banca centrale stia riuscendo a gestire le aspettative da una posizione di relativa forza, anticipando un inversione della politica monetaria nel futuro. Se guardiamo alle previsioni economiche del FOMC, ciò che realmente è cambiato da marzo a luglio sono le aspettative per la crescita del PIL e dell’inflazione per il 2021 (ora 7% e 3,2% negli Stati Uniti), mentre le previsioni di crescita dal 2023 in poi sono rimaste invariate.
Ovviamente continueremo a monitorare la situazione poiché la crescita economica potrebbe iniziare a mettere sotto pressione la Fed nei prossimi mesi. Entro la fine dell’anno dovrebbero essere annunciate le tempistiche per il tapering. Questo potrebbe diventare un altro momento cruciale, in un contesto in cui si prevede che una crescita economica impressionante e risultati sorprendenti delle società quotate continueranno comunque a svolgere un ruolo positivo per le azioni.