Novembre è stato un altro mese molto positivo per i portafogli, spinti al rialzo dalle rinnovate speranze in un cambiamento delle politiche monetarie e dall’addolcimento delle misure anti-covid in Cina. I dati macro si mantengono positivi, anche se sempre in peggioramento, sia per l’Europa che per gli Stati Uniti, mentre lo spettro della recessione sempre dietro l’angolo non ha spaventato abbastanza da compensare dati inflattivi più positivi delle attese.
La performance per i principali listini azionari dei Paesi Sviluppati è stata positiva, anche se inferiore a quella dei Paesi Emergenti, trainati dalle notizie in Cina. Gli Stati Uniti sono saliti del 5.6%, meno delle controparti europee che hanno invece guadagnato un notevole 12.9%, mentre i mercati emergenti hanno sfiorato il 15%.
Sull’onda dei toni più moderati dei banchieri centrali, anche l’obbligazionario ha chiuso in positivo, con l’indice aggregato globale a +4.7%.
Infine, le materie prime sono salite solo del 2.7%, con il comparto energetico colpito sia da un inverno più caldo delle attese che dal price cap europeo sulle forniture russe.
Tutto in discesa d’ora in poi?
Novembre è iniziato con poche sorprese, con un rialzo tassi della Fed in linea con le attese e gli investitori focalizzati ancora una volta sui rischi inflattivi. Per la prima volta dopo mesi, tuttavia, i dati sull’inflazione hanno sorpreso al ribasso: 10.6% annuale (contro 10.7% atteso) in Europa, e un rialzo mensile dello 0.4% negli Stati Uniti, dove la componente core si è attestata su un livello molto più basso delle attese (6.3% annuale contro il 6.7% atteso).
Naturalmente questi dati positivi hanno spinto i tassi al ribasso, soprattutto negli USA, supportando invece la performance degli asset rischiosi. Per dare un ordine di grandezza, il NASDAQ ha guadagnato quasi il 10% nelle due sessioni dopo la pubblicazione dei dati americani. La differenza rispetto a movimenti simili visti quest’anno è che questa volta i mercati non hanno ritracciato nelle sessioni seguenti, dimostrando fiducia nel fatto che l’inflazione americana abbia ormai ufficialmente superato il suo momento di picco. Sebbene ciò non implichi un immediato cambiamento nelle politiche monetarie, questo momento potrebbe rappresentare la fine della transizione iniziata a gennaio, prospettando con maggior certezza un ruolo centrale della Fed in caso di rallentamento economico. In altre parole, i mercati ritengono che l’inflazione non sia più un freno alla flessibilità della Fed in caso di recessione.
I mercati hanno due buone ragioni per credere che una stabilizzazione dell’aumento dei prezzi possa finalmente ritornare una volta per tutte. Per prima cosa, i prezzi delle materie prime energetiche sono rimasti sotto controllo, soprattutto grazie all’uso della Strategic Petroleum Reserve, al cap europeo sulle forniture russe e a un inverno per ora più caldo delle attese. In secondo luogo, i blocchi nelle catene di approvvigionamento globali si sono fondamentalmente risolti, diminuendo la pressione esercitata sull’offerta a fine 2021 e inizio 2022. Inoltre, la stessa Fed ha ammesso di essere rassicurata dai dati nelle ultime dichiarazioni del governatore Powell, il quale ha evidenziato che sebbene le politiche restrittive resteranno in atto, la velocità del rialzo tassi potrà diminuire già dal meeting di dicembre. Infine, crucialmente, l’aumento dei tassi ha continuato a riflettersi sulla crescita, con un ampio numero di indicatori economici ora in rallentamento.
In questo senso, per chiarire il legame tra rallentamento dell’economia e rally degli asset rischiosi, è importante ricordare che, in forma molto semplificata, ogni azienda o indice azionario può essere prezzato come somma dei suoi utili attesi, scontati al presente:
DCF (sopra) è uguale al “giusto” prezzo dell’asset.
Tenendo questa formula a mente, il rallentamento economico ha, per il momento, avuto un contraddittorio effetto positivo sui prezzi degli asset, proprio perché ha rincuorato sul rischio di una spirale inflattiva, abbassando le attese di rialzi dei tassi e quindi il denominatore. Il rischio, tuttavia, è che il rallentamento diventi così forte che gli utili attesi (il numeratore CF) scendano a tal punto da battere gli effetti benefici dei tassi più bassi e far scendere i prezzi. Ad ogni modo a novembre l’economia si è dimostrata abbastanza resiliente rispetto a questo rischio.
La recessione non fa paura
Novembre ha sorpreso in positivo con dati macroeconomici su produzione e lavoro al ribasso ma comunque sopra le attese sia in USA che in UE.
Nel Vecchio Continente, gli indici PMI sono rimasti, sì, in territorio recessivo, ma insieme ai dati positivi sull’account corrente della bilancia dei pagamenti e la probabile riapertura della Cina nei prossimi mesi hanno migliorato l’outlook.
Negli Stati Uniti, invece, i dati sulle vendite hanno mostrato consumi lievemente in crescita e, sebbene si sia registrato il livello di occupazione più basso da aprile 2021, il mercato del lavoro rimane estremamente forte con il tasso di disoccupazione al 3.7%. Anche l’indice PMI Non Manufacturing ha battuto le attese ed è rimasto in territorio espansivo. Solo il mercato immobiliare continua a dare forti segnali di rallentamento: un’avvisaglia dell’andamento dell’economia in generale ma un mercato di cui bisogna anche considerare la crescita spropositata negli ultimi due anni, come mostrato dall’indice Case-Shiller dei prezzi delle case.
Nel complesso, quindi, i dati macro mostrano una situazione economica lontana dagli scenari recessivi paventati dai mercati con un’alta probabilità (62.5% per USA e 80% per Europa secondo Bloomberg) per il 2023.
Pertanto oggi i mercati stessi si godono un momento di pace, in cui l’economia sembra in raffreddamento piuttosto che in caduta libera, mentre l’inflazione sta tornando a normalizzarsi, sia grazie a questo raffreddamento sia grazie ai rischi minori sul fronte energia e catene di approvvigionamento.
Quale è il posizionamento dei portafogli Moneyfarm?
La domanda chiave a questo punto è: dato il miglioramento generale della situazione appena descritto, perché continuiamo a mantenere i portafogli sulla difensiva? Due le ragioni principali. Innanzitutto continuiamo a ritenere che le attese sugli utili, soprattutto in Europa, non riflettano a pieno il nostro caso base di una moderata recessione. Di conseguenza, ci sono ancora rischi al ribasso significativi per l’azionario. In secondo luogo, riteniamo che i mercati possano aver cantato vittoria troppo presto. Sebbene l’inflazione sembri in decisa ri-normalizzazione, è importante mantenersi cauti e non basarsi su un unico dato per decidere di movimentare i portafogli.
Se l’economia (in particolare quella americana) non desse segnali di surriscaldamento e l’inflazione potesse considerarsi domata con più certezza nelle prossime settimane, potremmo finalmente incrementare asset rischiosi e duration, sempre che le attese sugli utili si aggiustino ulteriormente al ribasso.
Finora non abbiamo modificato i portafogli rispetto alle posizioni conservatrici degli ultimi mesi, mantenendo il livello di rischio e duration bassi e continuando a preferire gli Stati Uniti all’Europa. Attendiamo che inflazione e crescita economica diano segnali più decisi di rallentamento e che i mercati considerino attese sugli utili più coerenti alle probabilità recessive prezzate al momento.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.