Laurence Fink è intervenuto di recente, ed a più riprese, sul tema della difesa del consumatore.
La sua tesi, che è anche la nostra, è riassumibile all’incirca in questo modo: i bisogni del consumatore non sono più gli stessi di qualche anno fa, quando un portafoglio standard sapeva garantire ritorni sufficienti a moltiplicare i risparmi messi da parte di anno in anno e garantire una vecchiaia serena.
Le aziende, così come i consulenti finanziari, devono avere il coraggio di rendere questo chiaro al cliente risparmiatore e prendere il rischio di suggerire scelte che sono diverse da quelle standard, ma utili per lui.
Questa cosa richiede due tipi di esercizi diversi: in primo luogo un esercizio di tipo didattico.
Mantenere il proprio denaro in asset “sicuri” garantisce sconfitta certa per il giovane che risparmia per la pensione, data l’aspettativa di vita aumentata considerevolmente e l’inflazione che raggiunge o supera il rendimento offerto da titoli di stato a breve termine.
Il rischio non è più una scelta, ma una necessità e l’età in questo gioca invece a proprio vantaggio: periodi di recessione e forte volatilità ci sono e ci saranno ancora, ma nel lungo termine il premio che ad esempio le azioni offrono ha probabilità di restituire performance complessive superiori rispetto ai bond sono molto alte.
Le aziende non possono lavarsi la coscienza passando da piani a prestazione definita a piani a contribuzione definita, ma anche esse devono essere parte in causa nel processo educativo.
Il secondo esercizio necessario è di onestà: la gestione attiva di portafoglio ha prodotto risultati non soddisfacenti.
L’attenzione ai costi di gestione, tramite l’utilizzo ad esempio di ETF, permette di risparmiare denaro che nel lungo termine fa la differenza. Essi inoltre garantiscono diversificazione anche a chi agendo diversamente non potrebbe permettersela, tutto a beneficio di stabilità e rendimento.