La nuova geografia del pianeta nel 2050

Il 2050 è dietro l’angolo, oppure no? Mancano 27 anni, ovvero metà di una vita adulta. 27 anni sono un periodo lungo? Forse no, se si considera l’inarrestabile incedere della storia umana. Forse sì, se si pensa al ritmo vorticoso con cui si muove la nostra di storia: sotto quest’ottica sembra un tempo abbastanza lungo per permettere all’umanità di virare in modo decisivo o di sbandare tra le curve del proprio destino.

Ma come sarà il mondo nel 2050? All’apparenza non troppo diverso da come è adesso, ma profondamente trasformato da alcune tendenze chiave. Senza la pretesa di voler prevedere il futuro, proveremo a dare una risposta concentrandoci su alcuni aspetti chiave che sicuramente avranno un effetto trasformativo profondo: la demografia, lo sviluppo economico e alcuni macro trend che, come vedremo, rappresentano sia una sfida, sia un’opportunità.

Un mondo sempre più affollato e un Occidente sempre più vecchio

Iniziamo con un po’ di conti. Secondo le Nazioni Unite, nel 2050 saremo 9,7 miliardi, un significativo aumento (quasi del 25%) rispetto agli 8 miliardi di oggi, ma un cifra non tanto distante dai 10,4 miliardi previsti per il 2100. Dopo una fase di grande espansione, assisteremo a una riduzione progressiva del tasso di fertilità, con sullo sfondo il tema della scarsità di risorse che potrebbe iniziare a manifestarsi più chiaramente nella quotidianità della maggioranza della popolazione.

Si prevede che più della metà della crescita della popolazione avverrà in Africa, un continente destinato a espandere la propria rilevanza nello scacchiere economico globale e nella percezione che il resto del pianeta ha di esso (anche attraverso le migrazioni). La popolazione africana quasi raddoppierà, raggiungendo i 2,5 miliardi dagli 1,4 miliardi di oggi.

Al contrario, la popolazione in Europa e in Cina declinerà in termini numerici, mentre quella degli Stati Uniti raggiungerà il suo picco. In tutte queste aree l’invecchiamento della popolazione diventerà una realtà sempre più palpabile. Tanto per fare un esempio, l’Italia, uno dei Paesi dove la popolazione ha già iniziato a decrescere, sarà abitata da 54 milioni di persone, il 10% in meno rispetto a quanti ci vivono adesso. Questo vuol dire che se oggi ci sono 68 pensionati per 105 lavoratori, nel 2050, a meno che l’età pensionabile non venga spostata in avanti in modo drastico, ci saranno 105 pensionati ogni 100 lavoratori. L’effetto di questo cambiamento sul welfare e la politica fiscale dei paesi occidentali sarà un tema centrale della politica dei prossimi 30 anni, ma – aspettando una soluzione – chi non avesse ancora pensato a integrare la propria pensione con degli investimenti dovrebbe farlo al più presto.

L’Asia ospiterà ancora più della metà della popolazione mondiale, anche se il suo peso relativo sul totale degli abitanti diminuirà (dal 59% al 54%).

Le nuove generazioni tenderanno a vivere nelle città molto più di quanto non facciano ora. La popolazione urbana rappresenterà il 68% del totale contro l’attuale 54%. Ciò significa che entro i prossimi 27 anni le città ospiteranno 1,2 miliardi di persone in più. Una cifra enorme che cambierà il volto delle metropoli, creando agglomerati di dimensione inedita, spazi economici che definiranno l’idea di comunità e diventeranno il terreno privilegiato per l’innovazione economica e sociale.

Un mondo che continua a crescere anche economicamente

Per quanto riguarda la crescita economica si prevede che essa continuerà a essere positiva. Si tratta di una buona notizia: l’idea che il mondo continui a crescere è esattamente il motivo per cui pensiamo che sia una buona idea continuare a investire. È anche confortante pensare che il pianeta diventerà, in media, un luogo mediamente più confortevole per più persone (al netto della crescita della diseguaglianza sociale).

Ma chi beneficerà di questa crescita? Le previsioni su un arco temporale così lungo non sono mai certe, secondo l’OCSE, il PIL delle economie che fanno parte dell’organizzazione crescerà da 62.000 a 92.000 miliardi dollari. PWC prevede una crescita del PIL globale del 3,5% ogni anno.

Queste stime, se si realizzassero, sarebbero piuttosto positive. Se guardiamo alla crescita del PIL reale negli ultimi 50 anni troviamo un tasso simile, del 3,4%. Il tasso di crescita scende al 2,7% se guardiamo agli ultimi 20 anni e al 2,4% se guardiamo agli ultimi 10. La maggior parte delle previsioni a lungo termine incorporano dunque un’inversione del trend di rallentamento attualmente in atto. Ciò si spiega con il fatto che la crescita troverà nuove frontiere sia dal punto di vista tecnologico, sia dal punto di vista geografico. I paesi emergenti faranno la parte del leone, con la grande maggioranza della crescita nei prossimi 27 anni che avverrà in Paesi che ancora devono sviluppare il proprio pieno potenziale economico.

Brics e Mint: le nuove frontiere dello sviluppo?

Gli acronimi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) e Mint (Messico, Indonesia, Nigeria, Turchia) sono stati coniati, proprio guardando al 2050, per classificare i paesi ricchi di risorse e con una popolazione dinamica con la potenzialità di potersi iscrivere al club delle grandi potenze economiche.

Non c’è alcun dubbio che questi paesi giocheranno un ruolo più centrale, in alcuni casi decisivo, sull’economia globale da qui a 30 anni. Si prevede che nel 2037 l’economia dei Brics supererà quella dei Paesi del G7, mentre se si considera la parità di potere d’acquisto questo sorpasso è già avvenuto.

Gli ultimi 20 anni, però, ci hanno insegnato che quando si affrontano previsioni di crescita di lungo termine bisogna fare molta attenzione. Se infatti all’inizio del nuovo millennio i Paesi Brics hanno registrato livelli di crescita sopra le attese (fatto che ha giocato un ruolo non secondario nel successo di questo acronimo), la tendenza si è invertita decisamente negli ultimi 10 anni, dove le performance hanno cominciato a divergere, con la Russia e il Brasile che hanno addirittura fatto registrare una diminuzione del loro peso relativo nell’economia globale.

Se guardiamo al gruppo dei Brics, solo la Cina è riuscita a imporsi come potenza economica, mentre l’India, che sembra recentemente aver intrapreso un chiaro percorso di crescita, si trova comunque più indietro di dove la maggior parte degli analisti l’avrebbe posta 20 anni fa. Il gruppo dei paesi Mint, ovvero i Brics di nuova generazione, deve ancora fare i conti con problematiche istituzionali e politiche non semplici da risolvere, che potrebbero condizionarne non poco lo sviluppo economico.

Guardando al futuro, la lezione dei Brics è che non sempre il potenziale di crescita si traduce in uno sviluppo repentino e poderoso. Al contrario, una dinamica di questo tipo sembra essere l’eccezione piuttosto che la regola, visto che – soprattutto quando si approcciano livelli di sviluppo più avanzati – la complessità degli ostacoli da superare aumenta. Le diseguaglianze, il posizionamento nello scacchiere internazionale, la corruzione, i diritti e le libertà dei cittadini, le emissioni di CO2 e la crescita sostenibile diventano dei nodi cruciali da affrontare per permettere a questi Paesi di mantenere la propria promessa.

Un’altra lezione per gli investitori è che non necessariamente a un forte sviluppo economico, corrisponde un’opportunità di investimento altrettanto sensazionale. Se guardiamo alla performance del mercato azionario cinese negli ultimi 10 anni, ci accorgiamo con sgomento che è quasi esattamente piatta. Nello stesso periodo il principale indice americano ha aumentato il proprio valore di una volta e mezzo, con una performance a fine marzo del 157%. Per avere successo sul mercato la crescita economica non è sufficiente, perché bisogna saper sviluppare le istituzioni e convincere gli investitori internazionali.

Questo sarà soprattutto un tema nei prossimi 30 anni, quando il processo di de-globalizzazione e frammentazione dello scenario internazionale potrebbe diventare ancora più marcato. Proprio questo resta uno dei maggiori punti interrogativi: se lo sviluppo di questi Paesi avverrà in modo armonioso o se vedremo un mondo sempre più polarizzato, dove la circolazione di merci, persone e capitali sarà limitata all’interno di aree geografiche specifiche. Per adesso sembra sia stata intrapresa la seconda strada, ma bisognerà vedere quanto profonda sarà la divisione (considerando che partiamo da una situazione di grande integrazione).

Macrotrend: rischio o opportunità?

Insomma se lo sviluppo visiterà nuove geografie, esso non sarà l’unica forza che cambierà la struttura dell’economia globale, soprattutto nei Paesi occidentali che, come abbiamo sottolineato, non potranno beneficiare dello spinta demografica. Se dovessimo scegliere tra i moltissimi trend di cui vediamo le radici, ce ne son o due in particolare che hanno un alto potenziale per diventare la colonna sonora dei prossimi 30 anni: la lotta contro il cambiamento climatico e la nuova rivoluzione industriale all’insegna dell’automazione, che beneficerà degli sviluppi nei campi della robotica e dell’intelligenza artificiale.

Senza entrare nello specifico, è interessante notare come entrambe queste tendenze abbiano una doppia faccia. Da una parte ci sono i rischi: il cambiamento climatico pone delle sfide cruciali all’umanità, così come i progressi nelle nuove tecnologie rischiano di sconvolgere gli equilibri del mercato del lavoro. Questo è un aspetto in qualche misura in controtendenza con la storia recente. Le prospettive dell’umanità non sono solo progressive, ma hanno un sapore agrodolce, e ciò condiziona il modo in cui guardiamo al futuro e potrebbe incrinare, nella visione di molti, la determinazione a scommettere su di esso.

Dall’altra ci sono le opportunità: questi due trend saranno in grado di movimentare una quantità di investimenti senza precedenti, pubblici e privati. Lo possiamo vedere già adesso ma riteniamo che le energie e gli sforzi mobilitati da questi settori continueranno ad aumentare. Le rivoluzioni industriali ed economiche sono spesso state, per gli investitori, una grande opportunità di profitto (come sa bene chi ha investito negli ultimi 15 anni in un mercato dominato dalle Big Tech). Investire vuol dire finanziare il cambiamento e farsi trovare dalla parte giusta della curva. Non possiamo essere certi che i prossimi 30 anni regaleranno agli investitori le soddisfazioni dei passati 30. Ma non vediamo, per adesso, una ragione per mettere in conto un calo significativo dei rendimenti finanziari. In un mondo che cambia in fretta, crediamo che investire per il lungo termine resti la strategia migliore per tutelarsi e navigare il cambiamento, anziché subirlo.

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