Chi è nato in Italia o in Europa, molto probabilmente, non ha mai avuto particolari problemi a procurarsi l’acqua. Nella maggior parte delle nostre abitazioni è possibile accedere a una quantità illimitata di acqua potabile semplicemente azionando un rubinetto. Abbiamo a disposizione acqua in abbondanza non solo per lavare noi stessi, ma persino per lavare la nostra automobile.
Non contenti, moltissimi decidono di pagare un piccolo extra per poter consumare acqua trasportata da qualche fonte alpina. Si tratta di un vezzo che sarebbe definito esclusivo per altri beni di consumo, ma che diventa la normalità quando si parla di acqua, visti i costi accessibili.
Intere città e agglomerati urbani sono stati costruiti in zone aride, deviando fiumi e costruendo imponenti infrastrutture. In molti di questi luoghi in tutto il mondo, il consumo di acqua avviene senza frizioni. Insomma, in buona parte del mondo l’accesso all’acqua è qualcosa di scontato, ma quanto può durare questa situazione?
La crisi idrica
Bisogna chiederlo alle miliardi di persone che si stanno trovando in questi ultimi anni a dover fare i conti con una crisi idrica che è già in atto. Non si tratta di un problema legato solamente alle aree più aride del pianeta: intere regioni che hanno prosperato intorno a bacini idrici naturali o artificiali, hanno cominciato a fare i conti negli ultimi 20 anni con razionamenti, giorni di siccità e nuove leggi e divieti che limitano il consumo dell’acqua.
E così megalopoli come Cape Town o San Paolo hanno già dovuto spegnere i rubinetti a milioni di persone. E in Nevada lo stato sta promuovendo misure draconiane, almeno per gli standard americani, per razionare l’acqua ed evitare che il prosciugamento del lago Mead, un bacino idrico che ha trasformato un deserto in un’area urbana e agricola dove vivono 20 milioni di persone.
Un studio della Nasa, eseguito con satelliti ad alta precisione, che ha preso in considerazione i 37 maggiori bacini idrici mondiali ha scoperto che da 21 di essi ogni anno esce più acqua di quanta ne entri, il trend non è episodico ma lineare e purtroppo in accelerazione negli ultimi anni (https://gracefo.jpl.nasa.gov/science/water-storage/#:~:text=The%20gravity%20variations%20studied%20by,has%20been%20depleted%20or%20increased.).
Negli ultimi 20/30 anni, secondo molte ricerche accreditate, lo sfruttamento delle risorse idriche per come l’avevamo pianificato nello scorso secolo avrebbe superato il punto di sostenibilità in molte aree. Ciò impone un completo ripensamento del sistema e pone una minaccia esistenziale concreta, se non alla specie intera, sicuramente alla possibilità di occupare aree del pianeta dove oggi riescono a vivere e prosperare milioni di persone.
Le ragioni della crisi idrica
Ma perché questa crisi si è intensificata proprio negli ultimi anni? In questo caso i soliti sospetti sono anche i colpevoli. Non intendiamo in questo articolo entrare nei dettagli scientifici (ci venga perdonata la semplificazione), ma è generalmente riconosciuto (e supportato da moltissimi studi) che questi tre fattori stiano aggravando la crisi idrica globale:
- Sovrappopolamento: la crescita della popolazione mondiale implica un maggiore utilizzo delle risorse idriche. I bacini idrici sono riserve d’acqua che si sono talvolta formate grazie a migliaia di anni di piogge e talvolta sono corpi d’acqua naturali o artificiali che vengono riforniti ogni anno da precipitazioni e fiumi. Se un numero più ampio di persone o di aziende agricole attinge da questi bacini, va da sé che essi si esauriranno prima. Secondo il World Economic Forum, entro il 2030 si stima che la domanda di acqua potabile avrà superato l’offerta di acqua potabile sostenibile di oltre il 40% (https://www.weforum.org/impact/sustainable-water-management/).
- Cambiamento climatico: il normale e delicato ciclo dell’acqua è stato messo a repentaglio dal surriscaldamento globale. La maggiore temperatura del pianeta porta a una maggiore tasso di evaporazione delle acque, il che condiziona le precipitazioni globali facendo aumentare i fenomeni meteorologici estremi: come i periodi di siccità e i grandi temporali che aumentano. Ciò rende la gestione del ciclo idrico molto complessa, perché se da una parte le piogge più rare rendono il rifornimento dei bacini idrici più lento, dall’altra i fenomeni di pioggia intensa non sempre riescono a compensare per ragioni geologiche.
- Il terzo problema da tenere in considerazione è quello dell’inquinamento. I rifiuti prodotti dall’uomo hanno reso molti dei bacini di acqua potabile inutilizzabili, esacerbando ulteriormente i problemi creati dalla sovrappopolazione e dal cambiamento climatico. Le Nazioni Unite hanno testato 85.000 sorgenti d’acqua a livello globale e hanno trovato che il 40% di esse può considerarsi gravemente inquinato (https://www.unwater.org/publications/summary-progress-update-2021-sdg-6-water-and-sanitation-all).
La nascita della ‘blue economy’
Il combinato disposto di questi tre fattori sta determinando delle crisi idriche molto complesse in numerose aree. Come in molti altri aspetti legati al cambiamento climatico e all’utilizzo delle risorse sia la politica, sia le aziende stanno lavorando per trovare delle soluzioni. Questo nuovo settore dell’economia viene anche definito “blue economy”
A differenza di altre materie prime, la peculiarità di questo problema è che non esiste un bene sostituto dell’acqua. Se si possono trovare delle alternative al petrolio o si possono addirittura immaginare dei sostituti da laboratorio per il cibo, l’acqua resta un elemento cruciale per quanto riguarda lo sviluppo della società e le comunità umane. Non è possibile lo sviluppo umano se non nella prossimità di fonti rinnovabili d’acqua potabile facilmente accessibili.
Come spesso avviene in presenza di una nuova industria, da un punto di vista degli investimenti potrebbe presentarsi un’opportunità. Alcuni settori legati all’economia dell’acqua potrebbero fiorire nei prossimi anni e nuove aziende innovative potrebbero imporsi. Allo stesso modo, crediamo sia ampiamente probabile che i governi metteranno sul tavolo ingenti risorse per promuovere nuove leggi che potrebbero dare nuova linfa al settore.
Ma di che aziende stiamo parlando? Ci sono le utilities: pubbliche, semi-pubbliche e private. Ovvero le aziende che si occupano di portare l’acqua nelle case. Queste aziende si trovano spesso in una situazione di monopolio naturale, ma non sono rari i casi in cui devono affrontare costi maggiorati e mettere in campo ingenti investimenti per far fronte alle nuove sfide della gestione idrica. Anche i consumatori finali se ne stanno accorgendo, con i costi della bolletta dell’acqua generalmente in aumento.
Ovviamente le domande per questo tipo di aziende sono numerose: che ruolo giocheranno in un futuro in cui l’accesso all’acqua potrà diventare più una commodity che un’utility? E come sono esposte queste singole aziende al rischio climatico che potrebbe sconvolgere il ciclo idrico di intere geografie?
Un altro settore in crescita è quello dei servizi accessori al trasporto e allo stoccaggio dell’acqua. In questo campo possiamo trovare per esempio aziende che si occupano di testare e trattare l’acqua potabile. Ma anche aziende che costruiscono strumentazioni in grado di misurare e gestire in modo intelligente i flussi d’acqua: tutti questi servizi potrebbero diventare più centrali in un mondo dove l’acqua diventa un bene più scarso.
Ci sono poi le aziende specializzate nella costruzione di infrastrutture, dalle grandi aziende ingegneristiche fino alle compagnie che si occupano dell’installazione e della produzione di componentistica di impianti agricoli destinati all’agricoltura o all’uso privato.
Ci sono poi le aziende private che vendono l’acqua in bottiglia o che si occupano di trasportare l’acqua dove le reti pubbliche non arrivano, una realtà molto rilevante in molti paesi, a partire dall’Italia.
Infine c’è tutta la filiera della desalinizzazione. Considerando che il 97% dell’acqua presente sul pianeta si trova in mari e oceani va da sé che un maggior utilizzo per fini domestici dell’acqua di mare desalinizzata è una delle possibili strategie per risolvere la crisi idrica. Questi processi, tuttavia, richiedono tecnologie avanzate e soprattutto lo sfruttamento di molta energia, una problematica che ha rallentato e potrebbe continuare a rallentare lo sviluppo di questo settore in futuro.
Approccio all’investimento
Questi sono solo alcuni dei settori che fanno parte dell’ampio ecosistema che potremmo definire “blue economy” e che potrebbero diventare sempre più importanti se la crisi idrica dovesse continuare a intensificarsi.
Ma si tratta di una buona idea investire in questo settore? Per rispondere a questa domanda non ci affideremo a un’analisi specifica, che va oltre lo scopo di questo articolo. In generale, crediamo che investire in trend, temi o megatrend possa permettere all’investitore con un approccio di lungo periodo di cavalcare questi fenomeni sociali o economici e generare un’extra performance. Ma investire in settori di frontiera si accompagna anche a dei rischi specifici. Per esempio la frammentazione, il fatto che sia difficile prevedere quali saranno i futuri campioni in quell’ambito o il rischio sopravvalutazione sulla scia dei risultati futuri.
Per questo il modo più adeguato per la maggior parte degli investitori, a nostro avviso, per includere questo tipo di investimenti in portafoglio è l’approccio diversificato. Diversificazione non solo tra geografie e aziende (che può essere ottenuta tramite gli ETF), ma anche tra diversi temi.
Un altro aspetto importante dell’investimento in temi è la gestione della volatilità nell’ambito della propria strategia generale, l’investimento tematico si accompagna in generale a una volatilità attesa superiore e per questo è importante destinare ad essa una quota adeguata del proprio portafoglio (a Moneyfarm indichiamo ai nostri clienti la quota massima di portafoglio che può essere destinata all’investimento tematico).
Questa è la filosofia con la quale abbiamo costruito la nostra proposta di investimento tematica. All’interno dei nostri percorsi Sostenibilità e Multitrend abbiamo un’esposizione alla blue economy attraverso l’ETF L&G Clean Water.
Questo fondo replica il Solactive Clean Water Index e investe in una serie di aziende globali che si occupano della costruzione di impiantistica e infrastrutture idriche industriali o per il trattamento dell’acqua (oltre il 50% dell’esposizione). Una percentuale significativa (circa il 25%) del fondo è investita anche in aziende idriche pubbliche, semi-pubbliche o private che si occupano della gestione dell’acqua a livello locale.
Crediamo che investire nei temi come quello dell’acqua con un approccio diversificato e una buona gestione del rischio può far ottenere all’investitore un miglior risultato di medio-lungo termine.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.