Questa settimana, il governo statunitense ha annunciato nuovi dazi su diversi Paesi, tra cui Filippine, Algeria e Sri Lanka. Ma ciò che ha attirato davvero l’attenzione sono stati i possibili dazi su settori specifici. Il presidente americano Donald Trump ha dichiarato che le importazioni di rame saranno soggette a dazi del 50%, mentre ai prodotti farmaceutici esteri potrebbero essere destinate tariffe del 200% – con un possibile ritardo di un anno per permettere all’industria di adattarsi al cambiamento.
A questo punto, pensiamo che gli investitori abbiano imparato a non reagire ai titoli iniziali sui dazi, aspettandosi invece un nuovo round di negoziati. Le azioni farmaceutiche globali non hanno mostrato particolari reazioni all’annuncio, anche se il settore è da tempo sotto osservazione. Riteniamo che l’attenzione dell’amministrazione Usa su settori strategici rifletta il desiderio di rafforzare l’autosufficienza interna, incentivando la produzione nazionale di beni chiave.
Un grafico di Torsten Slok (Apollo) illustra chiaramente il punto, mostrando la quota di farmaci importati dalla Cina verso gli Stati Uniti.
Analogamente, si stima che circa la metà del rame consumato negli Usa sia importato, principalmente da Cile e Canada. Il rame è fondamentale per edilizia ed elettricità. Le recenti, seppur brevi, restrizioni alle esportazioni di terre rare dalla Cina agli Stati Uniti hanno ricordato le potenziali vulnerabilità a riguardo.
Anche se tempi e portata dei nuovi dazi restano incerti, ci aspettiamo un’attenzione costante sul rafforzamento della produzione interna negli Usa. E con gli Stati Uniti in prima linea, potremmo vedere processi simili di ri-localizzazione produttiva (onshoring) anche in altre regioni del mondo.
Negli ultimi anni, molte aziende statunitensi hanno già reagito agli incentivi. Un grafico sulla costruzione manifatturiera negli Usa mostra una netta accelerazione, grazie anche alla legislazione dell’amministrazione Biden.
L’attuale amministrazione può avere un approccio diverso e puntare su altri settori, ma il desiderio di aumentare la produzione interna resta costante.
Cosa significa tutto questo per i mercati e gli investitori? Ecco tre considerazioni chiave:
- Processi lunghi: anche con incentivi, lo sviluppo di nuove miniere di rame o impianti farmaceutici richiede anni, data la forte regolamentazione e la necessità di numerose autorizzazioni.
- Incertezza sulle politiche governative: le aziende faticano a pianificare investimenti a lungo termine basandosi su politiche governative soggette a possibili cambiamenti. I dirigenti di società legate alle materie prime chiedono maggiore certezza sui prezzi, anche sotto forma di contratti governativi, il che potrebbe tradursi in una spesa pubblica più alta.
- Ruolo crescente della politica industriale: le politiche governative incidono sempre di più sui mercati finanziari, forse anche più delle decisioni delle banche centrali. Lo abbiamo visto chiaramente con i titoli della Difesa, che hanno beneficiato dell’aumento degli investimenti militari in Europa.
In conclusione, nel caso di un passaggio dalla produzione a basso costo a quella nazionale, potremmo assistere a un aumento dei prezzi. Ma i governi potrebbero considerare questo un compromesso accettabile per garantire maggiore sicurezza strategica – e ciò potrebbe tradursi in margini più elevati per i produttori locali.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.