Si inizia ad intravedere la luce in fondo al tunnel del rialzo dei tassi di interesse. La settimana è stata caratterizzata dalle decisioni di politica monetaria della Banca Centrale Europea e della Federal Reserve, che hanno aperto uno spiraglio positivo prima della pausa estiva. L’ipotesi di un ulteriore aumento dei tassi a settembre non è infatti così scontata, se i dati macroeconomici sull’inflazione core dovessero dare segnali di netto miglioramento. Nelle settimane scorse il governatore della Banca centrale olandese, Klaas Knot, ritenuto uno dei falchi del consiglio direttivo della Bce, ha spiegato come l’aumento dei tassi “per il mese di luglio è una necessità. Per qualsiasi cosa che vada oltre luglio sarebbe al massimo una possibilità, ma sicuramente non una certezza. Dobbiamo guardare con attenzione a ciò che i dati ci diranno”. Aggiungendo che fino a questo momento la Bce si è focalizzata “soprattutto sul rischio rappresentato dalla persistenza dell’inflazione. Ma la bilancia dei rischi si sta gradualmente spostando, ed è necessario prestare più attenzione al rischio di fare troppo”.
Un’apertura di non poco conto, quella che è stata fatta da Knot, essendo considerato uno dei membri della Bce che è sempre stato maggiormente a favore di una politica monetaria restrittiva per combattere l’inflazione. Proprio per questo l’ipotesi di uno stop a settembre non sembra essere più un’idea così lontana.
BCE: su settembre acqua in bocca
Come da attese la Banca Centrale Europea ha alzato i tassi di interesse di altri 25 punti base, portandoli al 3,75% dal 3.5%, mettendo di fatto a segno il nono rialzo consecutivo a fronte di un’inflazione che rimane ostinatamente alta (complessiva al 5,5% anno su anno) e ben al di sopra del target del 2%.
Ben più interessante sarà la prossima mossa della Bce, dato che le prospettive economiche dell’Eurozona rappresentano una sfida sempre più impegnativa. Forse, a differenza di quanto accaduto in passato, la Presidente della Bce, Christine Lagarde, e il suo team cercheranno di tenere le carte coperte, nella speranza che i dati macro, in uscita nelle prossime sei settimane, forniscano un’indicazione sulla direzione da seguire.
Qualsiasi cosa accada a settembre, sembra però che il ciclo dei rialzi dei tassi possa giungere al termine e i policy makers dell’Ue confidano che il dibattito si possa iniziare a spostare su quando i tassi inizieranno a scendere.
Un’aurea di ottimismo circonda dunque le ultime decisioni della Bce, prima della pausa estiva di agosto.
Fed più cauta sul futuro
Dopo la pausa di giugno la Fed riprende con la sua politica monetaria aumentando i tassi di interesse di 25 punti base. Mossa che ha portato il costo ufficiale del credito negli Stati Uniti al 5,25%-5,50%, il più alto degli ultimi 22 anni. Le dichiarazioni che hanno accompagnato la decisione hanno lasciato la porta aperta a un altro aumento per quest’anno. Azione che se dovesse essere intrapresa sarebbe in linea con le precedenti indicazioni della riunione di giugno, quando i policy makers avevano accennato alla possibilità di altri due rialzi dei tassi entro l’anno.
Ipotesi quest’ultima che non sembra però essere considerata dai mercati e dagli investitori, che prezzano piuttosto la probabilità che non vi saranno ulteriori rialzi nel corso dell’anno. Ad ogni modo, la dichiarazione post riunione della Fed non ha offerto alcuna indicazione definitiva, affermando la necessità di valutare ulteriori informazioni e le implicazioni sulla politica monetaria.
Come per la Bce, anche la Fed continuerà a farsi guidare dai dati macro, a partire da quelli sull’inflazione Usa di luglio, attesi per il 10 agosto. Indicatori che se mostreranno un miglioramento potrebbero indirizzare la politica della Fed verso una minore severità.
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