Con il governo degli Stati Uniti sull’orlo del fallimento finanziario, il presidente Cleveland aveva bisogno di una soluzione e il banchiere e imprenditore John Pierpont Morgan ne aveva una. Una crisi di fiducia sul dollaro aveva fatto scattare una corsa verso le riserve d’oro del governo – all’epoca il valore del denaro circolante era garantito da una pari quantità di metallo prezioso.
Nel 1895, dopo due anni di crisi, i forzieri del governo degli Stati Uniti erano ormai quasi vuoti. Per evitare un disastroso default e concludere un ottimo affare, il banchiere più facoltoso di New York aveva messo insieme una coalizione di ricchi imprenditori e finanzieri in grado di rimpinguare le casse del Tesoro vendendo oltre 60 milioni di dollari in oro. Non solo, aveva trovato uno stratagemma legale per permettere al Presidente di siglare l’accordo personalmente, aggirando l’impasse che si era creata al Congresso.
Con questo obiettivo, Morgan partì per Washington e si insediò in una stanza di albergo a poche centinaia di metri dalla Casa Bianca. Nonostante il rischio di una bancarotta imminente, Cleveland fece di tutto per evitare l’incontro. Essere associato pubblicamente a un finanziere era un prezzo politico che non voleva pagare. Morgan attese pazientemente nel suo albergo. Solo quando le riserve auree scesero sotto i 10 milioni di dollari il Presidente lo ricevette e siglò l’accordo che avrebbe salvato il sistema finanziario globale.
Potere politico ed economico hanno sempre avuto una relazione privilegiata, ma almeno nella storia recente sono stati restii a mostrarlo. L’incontro avviene solitamente in qualche angolo oscuro del retropalco del potere, come quello tra due amanti clandestini. Nonostante le premure di Cleveland, è ben documentato dagli storici che durante la gilded age – un’epoca che, come quella attuale, aveva visto la diseguaglianza crescere e la ricchezza concentrarsi nelle mani dei pionieri delle nuove industrie – le trame più o meno oscure tra potere politico ed economico erano piuttosto frequenti. L’accesso privilegiato dei baroni della gomma nella stanza dei bottoni è diventato un’immagine entrata nell’immaginario comune, tanto che i nomi di quelle potenti famiglie stimolano ancora oggi la fantasia dei teorici del complotto che riempiono la rete con le loro strampalate teorie.
Ben più rari sono i casi in cui la politica non solo non vuole nascondere i rapporti privilegiati con il potere economico, ma chiede addirittura a esso un tributo simbolico. Ciò solitamente accade quando regimi economici e politici in ascesa necessitano di legittimarsi a vicenda, forgiando alleanze che possono portare benefici duraturi. Guglielmo il Conquistatore, una volta consolidato il proprio potere in Inghilterra, convocò tutti i proprietari terrieri del regno a Salisbury per richiedere una dichiarazione pubblica di fedeltà. I discendenti di Guglielmo il Conquistatore siedono ancora sul trono d’Inghilterra, così come alcune delle famiglie che si recarono a prestare giuramento fanno ancora parte dell’aristocrazia del Regno Unito.
Proprio per la natura inusuale di questo tipo di cerimonia, la foto di gruppo che ritrae tutti i leader delle mega aziende della Silicon Valley in prima fila all’inaugurazione di Trump ha suscitato grande clamore in tutto il mondo. Non si tratta del potere economico che si sottomette a quello politico o di quello politico che si sottomette a quello economico, ma della rappresentazione di quanto queste istituzioni abbiano bisogno l’una dell’altra, essendo il loro destino legato in modo indissolubile all’interesse nazionale americano.
Silicon Valley e Trump: affinità di interessi
Assumendo quest’ottica il riposizionamento della Silicon Valley verso il progetto politico di Trump diventa più comprensibile. Certo, contano i temi politici e culturali, ma a muovere le pedine sono soprattutto considerazioni strategiche e di business. Le politiche dei democratici degli ultimi quattro anni hanno marcato un progressivo distanziamento della Casa Bianca dagli interessi delle grandi imprese che dominano il mercato tecnologico globale. Questa decisione politica è esemplificata dalla postura che l’amministrazione ha assunto in tema di antitrust, che ha contribuito al significativo calo delle attività di acquisizione e fusione nel corso del quadriennio Biden.
Trump mira a creare un rapporto diverso tra governo e grandi aziende, che passa attraverso la deregolamentazione e la promessa di sgravi fiscali. Le grandi aziende della Silicon Valley sono centrali nella sua visione dell’interesse nazionale. Trump vuole consolidare la posizione degli Stati Uniti come centro mondiale di sviluppo delle nuove tecnologie e per fare questo è pronto a favorire in ogni modo le aziende che lo possono supportare in questo progetto.
Mark Zuckerberg ha recentemente parlato di “standard americano” per l’intelligenza artificiale, che in altre parole vuol dire posizionare le tecnologie made in Usa al centro del sistema economico globale che si sta costruendo intorno a questa innovazione. Per raggiungere questo obiettivo la Casa Bianca è in campo insieme alle aziende tech, anche spendendo risorse diplomatiche per convincere i Paesi alleati ad aprire le proprie frontiere alle tecnologie Usa, in cambio di un trattamento commerciale più favorevole.
Un mare di investimenti
Ciò che Trump si aspetta dalle aziende è continuare a investire negli Stati Uniti per costruire le migliori tecnologie. Il progetto “Stargate” da 500 miliardi di dollari di OpenAI, annunciato da Trump, ne è un esempio emblematico. Queste ingenti spese in data center serviranno a sviluppare l’AI di nuova generazione e sono da considerarsi come investimenti infrastrutturali strategici che non possono avvenire senza regolamentazioni favorevoli o senza il supporto del governo (si pensi agli immensi costi energetici e ai temi antitrust).
Nelle ultime settimane si sono susseguiti gli annunci di ingenti piani di investimenti da parte delle Big Tech. BlackRock e Microsoft si stanno preparando a lanciare un fondo di investimento nell’intelligenza artificiale da 30 miliardi di dollari per costruire data center e progetti energetici per soddisfare la crescente domanda derivante dal settore tecnologico. Mark Zuckerberg ha dichiarato che quest’anno la società spenderà tra i 60 e i 65 miliardi di dollari in infrastrutture di capitale, espandendo al contempo i suoi team di intelligenza artificiale. Anche Google ha annunciato un incremento delle spese in investimento rispetto ai piani.
Secondo Bloomberg Intelligence, Amazon, Microsoft, Alphabet, Meta Platforms, Apple e Oracle hanno speso un totale di 110,2 miliardi di dollari in spese in conto capitale (capex) lo scorso anno. Nel 2025 circa 165,2 miliardi di dollari in capex quest’anno, il che rappresenterebbe un grande aumento di quasi il 50% rispetto ai livelli del 2023. Ovviamente un aumento delle spese può rappresentare un rischio sui profitti se questi investimenti non dovessero sortire i risultati sperati. Tuttavia crediamo che le grandi aziende tech abbiano tanto da guadagnare inserendosi in settori di grande espansione su cui, tra l’altro, si potranno concentrare molti investimenti pubblici.
Legami stretti con il pentagono
Uno di questi settori è proprio quello della difesa e della sicurezza. La collaborazione tra la Silicon Valley e il Pentagono è alimentata da tensioni geopolitiche crescenti e dall’importanza di tecnologie come l’IA per applicazioni militari. Alla fine dello scorso anno Amazon, Anthropic e Palantir hanno lanciato una partnership per sviluppare soluzioni di intelligenza artificiale destinate alla difesa e ai servizi di intelligence. E lo scorso settembre, per la prima volta, l’acceleratore tecnologico Y Combinator ha finanziato un’azienda produttrice di armamenti.
Gli investimenti di venture capital nella tecnologia per la difesa hanno raggiunto i 100 miliardi di dollari tra il 2021 e il 2023, quasi il 40 per cento in più rispetto ai sette anni precedenti. Tra il 2018 e il 2022 i contratti diretti del Pentagono verso le Big Tech hanno superato i 50 miliardi di dollari.
Project 2025, considerato da molti come il progetto di riferimento per le politiche della nuova Casa Bianca, supporta la riduzione della burocrazia per quanto riguarda la spesa militare. L’idea che l’egemonia degli Stati Uniti si basi sul mantenimento della supremazia tecnologica rispetto ai propri avversari fa da sempre parte del pensiero strategico dei governi americani, ma è probabile che vedremo la collaborazione tra Pentagono e Silicon Valley intensificarsi nei prossimi anni. Per le industrie che sapranno cogliere l’occasione si potrebbe aprire una grande opportunità di generare profitti con commesse nazionali e internazionali, ricordando che la Casa Bianca sta spingendo gli alleati Nato ad aumentare le spese militari.
Il ruolo del governo: deregolamentazione e un approccio “business-friendly”
In cambio di investimenti e tecnologia Trump offre deregolamentazione. Le prime mosse della nuova amministrazione in questo campo non si sono fatte attendere. Trump ha ordinato alle agenzie il target di eliminare dieci regolamenti esistenti per ogni nuovo regolamento emanato. La Casa Bianca ha inoltre ripristinato versioni precedenti delle linee guida per il vaglio delle norme, ritenute meno restrittive.
Trump ha promesso di rimuovere le barriere allo sviluppo dell’IA introdotte dall’amministrazione Biden, oltre che le legislazioni antitrust. Anche le politiche energetiche che la nuova amministrazione sta adottando, incentrate su un ritorno agli idrocarburi, avranno l’effetto di rendere meno costosi e più scalabili gli investimenti infrastrutturali che le aziende tech stanno mettendo in campo.
La nuova amministrazione ha eliminato ogni intermediazione con il mondo del business, al punto che l’agenda legislativa e per lo sviluppo economico è scritta a quattro mani con i leader della Silicon Valley, legati da una visione del mondo tecno-ottimista, come Elon Musk, Marc Anderessen e David Sacks, che occupano ruoli di rilievo nell’amministrazione.
Il tema dell’informazione
Un altro campo di collaborazione rilevante tra Trump e la Silicon Valley è quello dell’informazione. Il tema della moderazione delle piattaforme è ovviamente uno dei primi a essere stato smarcato, ma la partita più interessante si gioca intorno a Tik Tok. È notizia recente che il governo stia pensando all’istituzione di un fondo sovrano le cui risorse potrebbero essere anche utilizzate per nazionalizzare il social network fondato in Cina che opera negli Stati Uniti grazie a una deroga dello stesso Trump. Una mossa del genere rappresenterebbe un passo cruciale, che muoverebbe una delle principali fonti di dati personali e uno dei media in maggiore crescita sotto il controllo della spesa pubblica.
Una nuova era
Con il secondo mandato di Trump sembra essersi aperta una nuova era, nella quale il potere politico americano e le aziende tecnologiche potrebbero collaborare apertamente a un progetto commerciale e politico comune. Tralasciando in questa sede le considerazioni etiche e politiche, sembra evidente che ciò potrebbe aprire grandi opportunità per tutta l’industria e il comparto tech americano, settori che costituiscono una parte rilevante dei portafogli azionari globali.
Per gli investitori si tratta di un’opportunità di mercato molto importante che rafforza le prospettive di lungo termine degli investimenti. Dal punto di vista dei rischi, i grandi investimenti messi in campo per sviluppare queste tecnologie di frontiera potrebbero costituire un rischio per quanto riguarda la redditività; la recente turbolenza sul caso DeepSeek è un esempio di come questi rischi potrebbero manifestarsi. Seppur restiamo positivi sul contributo che il settore tecnologico Usa potrà dare ai portafogli, rimaniamo convinti che mantenere un’esposizione azionaria ampia e diversificata sia il modo migliore per trarre vantaggio da questo periodo economico estremamente dinamico.
Vuoi scoprire la nostra visione sui cambiamenti delle politiche Usa e le ultime tendenze di mercato? Guarda il nostro ultimo aggiornamento video sui mercati.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.