Guardando dall’alto dei suoi 632 metri lo Huanpu gettarsi nell’imponente estuario del fiume Azzurro, la Shanghai Tower è un edificio interessante per molti motivi. Si tratta di una struttura veramente straordinaria: il secondo grattacielo più alto al mondo. Al suo interno, ascensori che vanno più veloci di una macchina sportiva spostano gli ospiti da un piano all’altro in pochi secondi. Le soluzioni architettoniche all’avanguardia adottate nella sua costruzione gli permettono di fregiarsi del titolo di grattacielo ‘più sostenibile del pianeta’. Ma nonostante la sua figura avveniristica sia uno dei simboli della Cina moderna, i muri della Torre nascondono tante crepe.
I progetti per il mega grattacielo risalgono al 1993, quando la competizione globale per costruire l’edificio più alto del mondo non era ancora iniziata. A partire dalla fine degli anni ’80, quando furono introdotte le importanti riforme economiche che hanno creato la Cina moderna, il paesaggio urbano di Shanghai iniziò a trasformarsi e ad affollarsi di grattacieli. Nel tentativo di affermarsi come capitale finanziaria sulla scena mondiale, la città intraprese un progetto audace: la costruzione di un trio di iconici grattacieli. Il Jin Mao Building fu completato nel 1999, seguito quasi un decennio dopo dallo Shanghai World Financial Center. Ma la Torre di Shanghai doveva essere il fiore all’occhiello.
Sostenuti da un consorzio di sviluppatori di proprietà statale e finanziato principalmente dal governo municipale di Shanghai, i lavori sulla torre costati 2,4 miliardi di dollari sono iniziati solo nel 2008. La torre ritorta è stata completata nel 2014, attirando l’attenzione del mondo per la sua silhouette insolita. Ma dalla sua apertura nel 2015, la storia della Shanghai Tower è stata costellata di problemi finanziari, e non solo.
Secondo i report di stampa (1) (2), nel 2019 l’edificio faticava ancora a trovare inquilini, con 55 dei 128 piani completamente disabitati e gli hotel di lusso che dovevano popolare la torre ancora vuoti: ciò trasformò il progetto in un caso. Con il crollo dei tassi di occupazione commerciale in tutta la città, il nuovo sviluppo chiedeva agli inquilini affitti costosi in una fase in cui le aziende erano alla ricerca di occasioni. Nel 2020 una perdita d’acqua ha creato ingenti danni per gli occupanti, mettendo in questione la qualità della costruzione. Ancora nel 2022, 7 anni dopo l’inaugurazione, circa il 20% dello spazio dedicato agli uffici era ancora sfitto (3).
Nonostante il suo design sia apprezzato da tutti, la Shanghai Tower non è solo il monumento al successo economico cinese, ma anche la prova fisica dei rischi di un mercato immobiliare altamente speculativo, frutto di anni di urbanizzazione aggressiva, livelli di indebitamento troppo elevati e conflitti di interesse nei sistemi politici locali.
Come siamo arrivati al fallimento di Evergrande?
La situazione è continuamente peggiorata negli ultimi due anni ed ha raggiunto il picco a metà agosto 2023 con il fallimento di Evergrande, azienda di costruzioni caratterizzata da livelli di debito spaventosi e una gestione stravagante, già finita nell’occhio del ciclone alla fine del 2021.
Per capire da dove viene la crisi che sta facendo tremare le fondamenta del secolo cinese, conviene fare un passo indietro. Il successo economico di Pechino è stato un’impresa unica, costruita mattone dopo mattone. Tutti sappiamo che la Cina è passata nell’arco di 30 anni da essere un paese in via di sviluppo, prevalentemente agricolo, a una delle principali potenze industriali ed economiche globali. Questo percorso di crescita dirompente è stato accompagnato da un processo di urbanizzazione senza precedenti nella storia. Guardando in modo sommario i tassi di urbanizzazione, ci si accorge che le città cinesi hanno accolto qualcosa come 700 milioni di nuovi abitanti, quasi il 10% della popolazione mondiale.
Figura 1: Livello di urbanizzazione in Cina dal 1980 al 2021. Fonte: National Bureau of Statistics of China, Statista 2022
I nuovi abitanti delle metropoli avevano bisogno di un posto dove vivere e così le foto dei mega grattacieli, eretti dal giorno alla notte da foreste di gru, sono entrati nell’immaginario collettivo come il simbolo del miracolo cinese. Si aggiunga a questo che il governo, sia a livello centrale, sia a livello locale, si è impegnato in importanti investimenti in infrastrutture per costruire l’ossatura di un Paese dalle dimensioni demografiche e geografiche enormi. Questi investimenti hanno contribuito allo sviluppo di una serie di aziende pubbliche, semi-pubbliche e private che sono state le protagoniste del boom immobiliare cinese.
La leva finanziaria
Per far fronte a una crescita della domanda così dirompente, sono stati anche promossi dei modelli che hanno permesso al settore immobiliare di tirare la leva finanziaria più del dovuto. Un esempio di uno schema molto diffuso è quello che vede gli acquirenti anticipare fino al 30% del valore dell’immobile ancora prima che esso venga costruito, peraltro senza nessuna garanzia che quanto speso sia vincolato alla realizzazione dell’immobile acquistato. Questi schemi hanno permesso alle aziende di indebitarsi moltissimo, di fatto socializzando parte del rischio tra i compratori.
Il ruolo dei governi locali
Un’altra particolarità del modello di sviluppo immobiliare cinese è il ruolo dei governi locali. La capacità di riscuotere tasse e imposte da parte delle municipalità è andata negli anni riducendosi in modo significativo, in favore del governo centrale. La tassazione legata alla vendita e all’affitto dei terreni è quindi diventata una voce di introiti fondamentale, raggiungendo il picco del 37% degli introiti fiscali degli enti locali nel 2021 (4). Va da sé che ciò ha creato un conflitto di interesse per approvare sempre più progetti, in alcuni casi senza una considerazione adeguata dalla domanda. I governi locali hanno poi creato dei veicoli di investimento per partecipare direttamente alla costruzione dei progetti immobiliari (local government financing vehicles, LGFV) creando anche consorzi pubblici/privati con i costruttori. Questi veicoli hanno il ruolo principale di emettere bond e richiedere prestiti, creando un’ulteriore opportunità di leva al di fuori dei limiti imposti dal governo centrale.
Una colata di cemento senza precedenti e le nuove regole
Insomma, abbiamo un sistema che incoraggia l’indebitamento, conflitti di interesse a livello locale tra pubblico e privato, un boom economico e la più grande urbanizzazione della storia. Come poteva andare a finire? Con una colata di cemento senza precedenti: è stato calcolato che tra il 2021 e il 2022 in Cina si è prodotto e usato più cemento di quanto sia stato utilizzato negli Stati Uniti in tutto il XX secolo (5). Il settore immobiliare è arrivato, direttamente e indirettamente, a pesare per circa il 30% dell’intera economia cinese (il settore immobiliare negli USA alle soglie della crisi del 2008 pesava oltre il 16% (6)). Un settore immobiliare di queste dimensioni crea un pericoloso circolo vizioso alimentato dal debito. ll settore delle costruzioni ha bisogno di un’economia in crescita per sostenere il suo debito, ma l’economia ha bisogno di un settore immobiliare in espansione per crescere.
Come tutti i sistemi che si basano sulla leva finanziaria, però, anche il mercato immobiliare cinese ha il problema di sembrare una buona idea quando le cose funzionano, finché un giorno non funzionano più. La congiuntura economica negativa si è andata a sovrapporre al naturale rallentamento del processo di urbanizzazione: il fatto che non esistano altre 700 milioni di persone che finiranno nelle città cinesi è un dato di fatto difficilmente controvertibile. Il lockdown per la pandemia Covid, durato in Cina più a lungo che in Occidente, ha poi contribuito ad invertire ulteriormente il trend: le banche che dovevano far fronte a regole sui prestiti più stringenti hanno ridotto l’offerta di mutui, il completamento delle costruzioni è andato a rilento, provocando ritardi e innescando proteste e boicottaggi dei pagamenti (immaginate di aver acceso un mutuo per comprare un’immobile che viene consegnato anche con anni di ritardo). Sullo sfondo il tentativo del governo di affrontare di petto, con regolamentazione più severe, il problema dell’indebitamento e della leva finanziaria nell’economia, cercando di sminare il cemento (o la sabbia?) sopra il quale era stato costruito il miracolo economico cinese.
Queste regolamentazioni (tra cui citiamo la politica delle tre linee rosse che stabilisce stringenti limiti patrimoniali per le aziende costruttrici di immobili), hanno avuto il merito di risolvere alcune questioni critiche, ma hanno fatto venire al pettine molti nodi. Evergrande, uno sviluppatore da 300 miliardi di dollari cresciuto al suo picco del 44% annuo negli ultimi 15 anni, è stata la vittima eccellente. Ma se guardiamo allo stato di salute dei 72 maggiori costruttori cinesi, notiamo come esso sia pesantemente peggiorato dal 2021 (Figura 2), in un contesto di mercato sceso dai massimi di qualche anno da (Figura 3) e dove, secondo il Wall Street Journal, a fine aprile 2023 c’erano addirittura circa l’equivalente di 4 milioni di case completate, ma invendute.
Figura 2: Variazione dei credit rating dei 72 più grandi gruppi immobiliari in Cina tra il 2021 e il 2022. Fonte: Financial Times, Moody’s data.
Figura 3: Variazione annua della superficie utilizzata per nuove costruzioni in Cina. Fonte Bloomberg Intelligence.
E ora cosa succede?
Ora che la bolla si sta sgonfiando tutti si domandano quali potrebbero essere gli effetti e le conseguenze dell’esplosione della crisi: la crisi immobiliare ha portato sicuramente stress sul mercato. Nelle ultime settimane abbiamo visto molte compagnie, immobiliari e finanziarie, andare in difficoltà. Alcune stime misurano il possibile impatto di una contrazione del 20% del settore del real estate tra il 5% e il 10% del Pil ed evidentemente ciò avrebbe conseguenze sull’economia, non solo nella regione ma a livello globale.
C’è dunque da preoccuparsi? Possiamo cominciare dal dire che i problemi legati al settore immobiliare cinese non sono certo una novità. Le misure prese dal governo negli ultimi mesi (che hanno preceduto la fase recessiva che la Cina sta vivendo) sono orientate ad un rafforzamento del bilancio dei costruttori e il governo è già intervenuto con misure di sostegno per cercare di ravvivare il mercato, sia sul lato della domanda che su quello del credito. Fino a ora Pechino ha implementato diverse misure, tra cui:
- Tagliato i tassi dei mutui
- Eliminato la soglia minima dei tassi nelle città in cui i prezzi delle case sono scesi
- Istituito una finestra di prestito per sostenere i progetti conclusi e aprire la possibilità di estenderli
- Dichiarato sgravi fiscali temporanei sugli acquisti di nuove case
- Istituito un fondo di salvataggio da 200 miliardi di yuan per gli sviluppatori, oltre a circa 600 miliardi di yuan di finanziamenti locali
- Spinto le banche a rendere e mantenere disponibile il credito, anche se ciò le rende non conformi alla regolamentazione
Di conseguenza, le statistiche sulle nuove costruzioni hanno smesso di precipitare ma, per il momento, nessuna di queste iniziative sembra aver restaurato la fiducia del pubblico nella capacità dei produttori di sviluppare i progetti. Il calo della domanda sta creando problemi anche ad altri costruttori, come Shimao e Country Garden, che seppur presentando bilanci più solidi di Evergrande, hanno entrambi mancato dei pagamenti sul proprio debito. Nel complesso, secondo il Guardian, un totale di aziende responsabili per il 40% delle vendite di immobili in Cina hanno avuto problemi a onorare i propri debiti dall’introduzione della normativa delle “3 linee rosse”. Secondo Bloomberg, l’ammontare di debito dei gruppi immobiliari a rischio default e’ addirittura pari al 12% del PIL.
La domanda che tutti si pongono è fino a che punto il governo resterà a guardare e quando deciderà di intervenire con misure dirette che sostengano direttamente i bilanci delle aziende in difficoltà o i creditori. La dottrina adottata da Pechino negli ultimi anni è quella di gestire la transizione verso un’economia meno dipendente dal mattone, anche accettando che alcuni costruttori falliscono.
Ma questo approccio potrebbe cambiare qualora la crisi dovesse assumere caratteristiche più sistemiche. Prevedere con certezza come il governo cinese agirà non è semplice e questo crea in qualche modo crea preoccupazione nei mercati. Può darsi che i politici cinesi preferiscano concentrarsi sulla realizzazione di miglioramenti strutturali nel mercato immobiliare, piuttosto che limitarsi a stanziare più soldi per risolvere il problema. Il Partito Comunista Cinese ha a cuore l’interesse di medio e lungo termine della Cina, ma la logica suggerisce che, se la crisi dovesse espandersi, per proteggere questo interesse potrebbero essere prese misure orientate a tamponare la situazione nel breve.
Guardando al passato, ci rassicura il fatto che i politici cinesi hanno avuto un track record piuttosto buono in termini di gestione delle sfide economiche. Ricordiamo pacchetti di stimoli significativi, in particolare dopo la Grande Crisi Finanziaria, spesso incentrati sugli investimenti e sul settore immobiliare. La tesi fondamentale e’ semplicemente che, nonostante lo yuan sia in questo momento sotto pressione, il governo di Pechino ha la possibilità di attingere a enormi risorse (anche inglobando parte del debito) se la crisi dovesse continuare a diffondersi, soprattutto se dovesse colpire il sistema bancario ufficiale.
Guardando al rischio di un possibile contagio del settore bancario e finanziario, l’esposizione di quest’ultimo verso il mercato immobiliare non sembra per il momento ingestibile anche se esiste sempre il rischio che Pechino stia sottovalutando la profondità della crisi, anche a causa della frammentaria architettura finanziaria nata all’ombra del boom economico cinese. I rischi maggiori sono nascosti nei bilanci non sempre trasparenti dei LGFV e soprattutto nell’immenso sistema bancario ombra, una costellazione di istituzioni finanziarie la cui esposizione al mercato immobiliare resta difficile da quantificare. La notizia che alcuni grandi wealth manager, come Zhongrong Trust, abbiano mancato il pagamento su alcuni dei propri prodotti è sicuramente rilevante e gli effetti della crisi sul sistema finanziario andranno seguiti con attenzione. Per il momento, sebbene il numero di LGFV in difficoltà stia aumentando significativamente, la situazione è gestibile, dato che meno di 50 su circa 3000 stanno avendo problemi (Figura 4). Sicuramente diventa essenziale, soprattutto nel medio termine, che Pechino aumenti l’attività di monitoraggio e controllo su questi enti. La vicenda Lehman insegna che i rischi sono molti alti quando la trasparenza è bassa e il sistema di incentivi premia la presa di rischio e la spregiudicatezza.
Figura 4: Numero di LGFV che hanno mancato pagamenti su commercial papers, fonte Bloomberg
Conclusioni
La crisi immobiliare cinese non arriva come una sorpresa. Essa espone in modo inequivocabile alcuni limiti dell’economia del paese: problemi demografici, scarsa diversificazione, un settore immobiliare troppo sviluppato e una governance, soprattutto a livello locale, che non sempre funziona al meglio. La crisi è in parte il risultato del tentativo del governo di risolvere questi problemi strutturali nel medio termine, pagando oggi i costi sociali, politici ed economici.
A pagare sono stati anche gli asset finanziari cinesi, che storicamente faticano a raccogliere i frutti della crescita economica del Paese. Proprio questi limiti sono anche tra le ragioni per cui a Moneyfarm abbiamo scelto di sottoesporre Cina all’interno delle nostre allocazioni (massimo 5% circa nelle linee più rischiose).
Sebbene la crisi cinese abbia un impatto diretto molto limitato sui nostri portafogli, essa potrebbe avere un impatto sulla crescita globale e sui prezzi degli asset rischiosi, soprattutto in Europa. Gli ultimi dati macro Europei suggeriscono un rallentamento e sorprendono al ribasso, certamente non aiutati dalla situazione economica della potenza asiatica (Figura 5), e anche gli indici delle tariffe di trasporti da Shanghai sono crollati, anche se rimangono ancora in linea con i livelli pre-Covid.
Figura 5: Gli indici di sorpresa macroeconomica per Europa e Cina pubblicati da Citigroup
Nel complesso, per il momento, l’economia globale sembra abbastanza forte da resistere, come dimostrato dal continuo rialzo delle attese di crescita globale media raccolti da Bloomberg (Figura 6), ma la situazione cinese aggiunge rischi significativi, e questa rimane una delle ragioni per cui rimaniamo marginalmente sottoesposti agli asset rischiosi nei nostri portafogli.
Figura 6: Attese di crescita del PIL globale nel 2023 raccolte da Bloomberg
Crediamo comunque che il Dragone abbia tutte le risorse quantomeno per evitare una crisi pesante nel breve termine, anche se, in nome proprio di obiettivi più a lungo termine, sembra pronto a sopportare un costo, economico e politico, che potrebbe appunto pesare sugli asset e sulle attese di crescita cinese e in parte anche globale. Per il momento, tra grattacieli semi-vuoti e città fantasma mai finite, i giganti immobiliari crollano rumorosamente, mentre l’economia globale osserva, spaventata ma solida.
FONTI:
(1)https://www.google.com/url?q=https://www.commercialrealestate.com.au/news/shanghais-ghost-tower-55-vacant-floors-44753/&sa=D&source=docs&ust=1692975700093313&usg=AOvVaw1He4-RZ27vE61lLU5-LIvv
(2)https://www.chinadaily.com.cn/a/202212/26/WS63a9b022a31057c47eba63c0.html#:~:text=About%2080%20percent%20of%20the,Shanghai%20Tower%20Construction%20%26%20Development%20Co.
(3)https://www.google.com/urlq=https://www.chinadaily.com.cn/a/202212/26/WS63a9b022a31057c47eba63c0.html%23:~:text%3DAbout%252080%2520percent%2520of%2520the,Shanghai%2520Tower%2520Construction%2520%2526%2520Development%2520Co&sa=D&source=docs&ust=1692975700142492&usg=AOvVaw3aqb6MVFxDEQ7_C62YbH87
(4)https://www.google.com/url?q=https://www.piie.com/research/piie-charts/local-governments-china-rely-heavily-land-revenue&sa=D&source=docs&ust=1692975700140348&usg=AOvVaw2QhvEYRh84B1UCCatsu35d
(5)https://www.google.com/url?q=https://www.sustainabilitybynumbers.com/p/china-us-cement%23:~:text%3DFrom%25201900%2520to%25201999%252C%2520the,4.2%2520billion%2520tonnes%2520of%2520cement.%26text%3DIt%2520consumed%25204.4%2520billion%2520tonnes,tonnes%2520in%2520these%2520two%2520years&sa=D&source=docs&ust=1692975700139788&usg=AOvVaw2_t7IyWPzGKSyIOkcTr95l
(6)https://www.google.com/urlq=https://www.nber.org/system/files/working_papers/w27697/w27697.pdf&sa=D&source=docs&ust=1692975700053388&usg=AOvVaw2oHThRk1N7qdDmYksnlwNe
Giorgio Broggi è entrato a far parte di Moneyfarm come analista quantitativo nel dicembre 2021 ed è membro del Comitato Investimenti. Prima di entrare a far parte della società, ha lavorato presso Barclays Wealth Management e S&P Market Intelligence, acquisendo esperienza nella ricerca di fondi e negli investimenti ESG. Prima di iniziare la sua vita professionale, ha completato con successo una doppia laurea presso Eada e EDHEC Business School, ottenendo due Master in Finanza e specializzandosi in factor investing e costruzione di portafogli. È un charterholder CFA.
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