Cosa succede quando il mostro diventa un’ossessione? I Labubu sono piccole creature pelose, con denti aguzzi e un sorriso maligno. Non sono teneri, non sono simpatici: eppure, sono diventati la tendenza di consumo degli ultimi mesi. Creati dall’artista belga Kasing Lung come personaggi della serie The Monsters, sono stati trasformati in fenomeno globale dall’azienda cinese Pop Mart. La formula è semplice e potente: vengono venduti in scatole chiuse, cavalcando il trend della gamificazione applicata, in questo caso, al consumo. Chi acquista spera di trovare le varianti più rare, e per completare la serie servono non solo disponibilità economiche, ma anche perseveranza.
Queste dinamiche tipiche dell’economia dei collezionabili alimentano un vivace mercato secondario e, secondo i critici, rappresentano una versione edulcorata del gioco d’azzardo applicata ai consumi quotidiani. Le persone discutono, scambiano, mostrano e condividono le proprie scoperte sui social. Così i Labubu hanno “craccato” il codice del consumismo contemporaneo, diventando l’orpello effimero (qui senza alcuna accezione negativa) del momento. Come tutte le mode, sono stati prima adottati dai giovanissimi e hanno poi conquistato anche quella fascia di adulti che non vuole restare indietro.
Ma cosa si nasconde dietro questo gadget dal dubbio gusto estetico e dall’apparente scarsa utilità? È una nuova forma di consumismo o il segno di un irreversibile declino morale e civile, come sostengono i più severi fustigatori dei costumi moderni? È un fenomeno economico che può insegnarci qualcosa, o solo un fallimento del mercato? Si tratta di feticismo dell’orrido, feticismo della merce o feticismo dell’immagine? E soprattutto: come hanno fatto dei mostriciattoli nati dalla matita di un disegnatore belga a viaggiare fino in Cina, continuare il proprio viaggio intorno al mondo su navi cargo e infine finire sugli zaini dei bambini, ragazzi e adulti ‘Peter Pan’ di tutto il mondo? In questo articolo proveremo a capirlo.
La fabbrica dei mostri
L’invasione dei mostri è arrivata da Oriente. Pop Mart è una società cinese fondata nel 2010 a Pechino da Wang Ning (anche noto come Grant Wang). All’inizio operava come una boutique specializzata in oggetti di tendenza, gadget e figurine assortite. Nel corso degli anni ha investito nella creazione di proprietà intellettuali come Molly, Dimoo, Skullpanda, e più recentemente la serie The Monsters che include Labubu, collaborando con designer e artisti esterni.
La svolta è arrivata grazie all’introduzione del formato “blind box” (scatola chiusa). Ogni scatolina, venduta a un prezzo medio accessibile (intorno ai 15 euro a pezzo), contiene un pupazzo alto pochi centimetri. L’acquirente non sa quale personaggio riceverà, e questo innesca un meccanismo di acquisti ripetuti per “completare la serie” o cercare le varianti rare (chase figures), che in certi casi finiscono per valere centinaia di dollari sul mercato secondario.
La mania è partita in Cina intorno al 2016–2017, quando Pop Mart ha iniziato a puntare forte su Molly, una bambolina con occhi grandi e aspetto sospeso tra il kawaii giapponese (che si può tradurre in italiano con “grazioso” o “adorabile”) e l’arte contemporanea. Il successo virale di Molly ha trasformato Pop Mart da concept store a vera e propria IP incubator: non solo rivenditore, ma piattaforma che scopre, produce e distribuisce designer toys collaborando con artisti indipendenti. In pratica, Pop Mart non vende “giocattoli” ma proprietà intellettuali collezionabili, che poi monetizza con eventi, fiere, negozi fisici, distributori automatici, licensing e un fiorente mercato online. Il valore sta nella capacità di acquistare licenze, e distribuire in modo efficace.
La strategia ha funzionato molto bene: nel dicembre 2020 Pop Mart ha fatto il suo IPO a Hong Kong, con una valutazione iniziale di mercato di circa 7 miliardi di dollari. Durante il primo giorno di contrattazioni, il valore delle sue azioni è più che raddoppiato, segno che il mercato credeva fortemente nel modello.
Da lì Pop Mart ha continuato la sua espansione, non solo in Cina, ma anche all’estero, sia con negozi fisici sia con distributori automatici (“roboshops”), oltre che con una community molto attiva online e una base di collezionisti che acquista, scambia, mostra e promuove i suoi prodotti. La mania Labubu ha continuato a elevare il valore dell’azienda. Solo nell’ultimo anno il valore delle azioni Pop Mart è cresciuto del 193%, con la capitalizzazione che oggi sfiora i 75 miliardi di dollari.
La viralità del prodotto
La vicenda di Labubu racconta una tendenza fondamentale nel mercato dei beni di consumo, che chi investe non può ignorare. Il ciclo del prodotto sta diventando sempre più breve: nuove edizioni, nuove collaborazioni, nuove varianti. L’oggetto nasce già destinato a essere superato, e proprio per questo spinge all’acquisto compulsivo. È il trionfo di ciò che il filosofo francese Jean Baudrillard avrebbe definito “simulacro”: non conta l’uso, ma il segno; non importa il valore intrinseco, ma il valore sociale di possedere e mostrare.
In questo schema si riconosce una dinamica che oggi governa non solo i consumi, ma anche i contenuti digitali. TikTok, per esempio, ha costruito il suo impero su un ciclo di attenzione ultra-rapido: un trend nasce, si diffonde in maniera virale e, nel giro di pochi giorni o settimane, viene sostituito da quello successivo. La logica è identica: l’obsolescenza programmata non è più legata alla qualità del prodotto, ma alla sua durata simbolica. Pop Mart ha interiorizzato questa dinamica e l’ha trasformata in modello industriale, funzionando quasi come un content creator: ogni nuova collezione è un contenuto da spingere, ogni collaborazione è un tentativo di catturare e rinnovare l’attenzione del pubblico.
Per il mercato, questa capacità di serializzare la viralità diventa un asset. Non è la singola licenza a fare la differenza, quanto la macchina che riesce a produrre in modo continuo serie in grado di catalizzare l’attenzione collettiva. È un approccio che trasforma l’azienda in un media brand più che in un semplice produttore di giocattoli: un soggetto che genera e distribuisce narrazioni visive da collezionare e condividere. Naturalmente, per un investitore questo modello resta rischioso: si regge sulla capacità di intercettare desideri effimeri, di interpretare consumatori la cui soglia di attenzione si fa sempre più breve, e di mantenere costante una pipeline di novità capaci di diventare moda.
Valore, passione e asimmetrie
Questo non vuol dire che questi oggetti siano necessariamente destinati a finire nel dimenticatoio, come dimostra il mercato secondario che già si sta creando. Nell’economia dei collezionabili, il prezzo non è mai dato una volta per tutte. Dipende in definitiva da quante persone riconoscono valore in quel simbolo culturale e quale sia la loro capacità economica. È un’economia della fede: le cose valgono finché qualcuno ci crede e la nostalgia gioca un ruolo cruciale.
Si tratta di un’economia dove si possono anche fare molti guadagni, perché si basa su un’asimmetria informativa cruciale: chi conosce questi settori ultra specializzati, le tirature, le versioni rare (dettagli solitamente sconosciuti alla massa di semplici appassionati), parte avvantaggiato.
Il fenomeno non è nuovo. Prima dei Labubu ci sono stati i Beanie Babies, i Furby, le carte Pokémon, i Funko Pop. Alcuni di questi oggetti hanno mantenuto e accresciuto il loro valore, altri sono stati dimenticati. Ma ciò che distingue la mania attuale è la velocità di diffusione e di consumo, resa possibile dai social network. La comunità digitale trasforma il collezionismo in performance collettiva. È presto per dire se i Labubu finiranno a breve nell’oblio collettivo o se, magari, i bambini della Generazione Alpha, quando entreranno nel mercato del lavoro e avranno disponibilità economiche, animeranno di nuovo il loro valore tra vent’anni. Nel dubbio, tenere in soffitta dei Labubu quando saranno passati di moda potrebbe non essere una cattiva idea.
Consumismo e piccoli lussi
Ogni mania vive anche dei suoi detrattori. C’è chi la vuole interpretare come l’indicatore febbrile di una società in declino, che non dà importanza all’essenziale o come esempio di depravazione della cultura giovanile. Anche questo tipo di argomento non è nuovo, ma è vero che la mania dei Labubu si colloca in un contesto socio-economico preciso. Oggi molti giovani faticano ad acquistare una casa, a pagare un’università, a costruirsi una sicurezza economica di lungo periodo.
Eppure, anche per questo, emergono i “piccoli lussi” che funzionano da compensazione: oggetti relativamente accessibili che danno gratificazione immediata. È il cosiddetto “lipstick effect” applicato ai giocattoli da collezione: quando non ci si può permettere beni fondamentali, ci si concede piaceri simbolici, spesso effimeri. Nessuno si rovina economicamente per i Labubu, ma il fenomeno riflette in parte una tensione profonda tra aspirazioni frustrate e desideri di consumo.
Tuttavia, pur essendo legittimo criticare le storture della cultura consumistica, non bisogna cedere al catastrofismo secolare. Se guardiamo alla storia, ogni generazione ha avuto le sue manie collezionistiche, spesso interpretate come segni di decadenza. Le bambole di porcellana nell’Ottocento, i francobolli, poi i fumetti e le carte collezionabili: tutti hanno suscitato sospetti e critiche.
Alla fine, la “Labubu economy” e simili trend non vanno demonizzati eccessivamente, ma nemmeno idealizzati. In un mondo dove per molti giovani il raggiungimento degli obiettivi di vita fondamentali si allontana, il problema non è vivere come asceti rinunciando a ogni consumo superfluo. Piuttosto è sempre utile imparare a distinguere tra desiderio e priorità, e impostare piani responsabili per garantirsi la propria solidità futura. Collezionare mostri può essere un piacere innocente, persino ironico; ma restare padroni delle proprie scelte finanziarie è la sfida decisiva.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.