Il settore degli Exchange-Traded Funds (ETF) compie 25 anni in Europa, segnando un quarto di secolo dalla prima quotazione di questi strumenti sulla Deutsche Börse nell’aprile 2000. Da quei giorni, con solo due fondi indicizzati, il mercato è cresciuto fino a oltre 3mila prodotti distribuiti su 29 Borse, con 2,3 trilioni di dollari di asset.
Gli ETF rappresentano una delle forze più trasformative della finanza moderna ed è proprio su di essi che si concentra l’analisi di David Stevenson, editorialista finanziario con oltre due decenni di esperienza nel monitorare mercati e tendenze. Oggi, dopo aver trascorso gran parte della sua carriera mettendo in discussione le ortodossie del mondo degli investimenti, in veste di collaboratore speciale di Moneyfarm inaugura una nuova rubrica concentrandosi proprio sul mondo degli ETF.
Scrivo di investimenti e portafogli da oltre 18 anni per pubblicazioni diverse come il Financial Times, Citywire, Investors Chronicle e MoneyWeek. Mi occupo di tutto, dal private equity e trust di investimento alla macroeconomia. Tuttavia, se devo essere onesto, è il mondo degli ETF che ha suscitato il maggior interesse tra i miei lettori, tanto che ho scritto non uno, bensì due libri sull’argomento.
Gli ETF hanno reso economici e facilmente accessibili gli investimenti in fondi quotati in Borsa. Letteralmente con essi è possibile “comprare il mondo” – o, per essere precisi, i principali indici di mercato azionario globali – in un unico fondo con commissioni di gestione inferiori a 20 punti base (la media europea delle ongoing fees degli ETF è 0,23% secondo il rapporto Esma del gennaio 2025).
Eppure, l’industria degli ETF in Europa è relativamente giovane: ha appena compiuto 25 anni. I primi ETF sono stati quotati l’11 aprile 2000 sulla Deutsche Börse. Si trattava dei LDRS DJ STOXX 50 e LDRS DJ EUROSTOXX 50, sponsorizzati da Merrill Lynch. Sono stati seguiti a stretto giro dalla quotazione dell’iShares FTSE 100 ETF sulla Borsa di Londra il 28 aprile 2000. Già allora era possibile notare molte caratteristiche della rivoluzione degli investimenti che si sarebbe affermata in Europa nei successivi 25 anni: gli acronimi infiniti nei titoli che indicano i principali indici azionari, come il FTSE 100 e lo Stoxx 50 – ancora presenti – tutti introdotti da grandi istituzioni come Merrill Lynch (ora parte di Bank of America) e iShares (ora parte di BlackRock, che allora era un’attività di Barclays Bank).
Facendo un salto in avanti di 25 anni, possiamo affermare che gli ETF hanno avuto un impatto significativo, non da ultimo per l’entità degli investimenti che hanno attratto: secondo la società indipendente di ricerca e consulenza ETFGI, nel marzo 2025 la raccolta netta in ETF in Europa ha raggiunto i 28,63 miliardi di dollari, portando il totale per il primo trimestre dell’anno a 99,04 miliardi e segnando il trentesimo mese consecutivo di flussi positivi.
Alla fine di marzo, gli investimenti complessivi in ETF in Europa ammontavano a 2,27 trilioni di dollari, oltre 2,4 trilioni allargando l’analisi agli ETP (Exchange Traded Products), il cui mercato europeo comprende attualmente 3.176 prodotti, con 13.378 quotazioni, distribuiti tra 124 fornitori e negoziati su 29 Borse in 24 Paesi. Inoltre, il volume giornaliero degli scambi di ETF in Europa supera regolarmente i 5 miliardi di dollari.
Ironicamente, secondo Chris Flood – precedentemente giornalista al Financial Times e ora presso ETF Stream, sito di notizie del settore focalizzato sugli ETF – i progressi iniziali nell’adozione degli ETF sono stati tutt’altro che rapidi. Flood ha osservato che “i tassi di adozione hanno iniziato ad accelerare a metà degli anni 2000 man mano che si diffondevano dubbi sulle performance dei gestori attivi e si poneva maggiore attenzione al rapporto qualità-prezzo e all’importanza dei costi sulle performance da parte degli investitori”.
Il look & feel degli ETF è drasticamente cambiato dal 2000. Alle origini, la maggior parte dei grandi fondi investiva il denaro dei clienti in indici azionari di grandi dimensioni facili da comprendere, come il FTSE 100 o l’indice europeo Stoxx 50.
Se torniamo ai dati di ETFGI per marzo di quest’anno, notiamo come il quadro cambia radicalmente. I maggiori vincitori sono stati gli ETF che replicano indici obbligazionari: gli ETF a reddito fisso hanno registrato afflussi netti per 93,07 milioni di dollari nel mese di marzo. Anche gli ETC (Exchange Traded Commodities), che offrono esposizione al comparto delle materie prime, hanno evidenziato un interesse rilevante, con afflussi pari a 1,2 miliardi di dollari. Parallelamente, un segmento in rapida crescita come quello degli ETF a gestione attiva ha registrato una raccolta netta di 3,6 miliardi di dollari.
Sia gli ETF attivi che gli ETC sulle materie prime dimostrano come questi strumenti si siano evoluti oltre le loro origini legate ai grandi indici azionari. Per quanto riguarda le materie prime, molti fondi replicano ormai il prezzo spot e detengono riserve fisiche reali, come lingotti d’oro. Gli ETF attivi, invece, oggi sono in sostanza fondi azionari o obbligazionari gestiti attivamente che non seguono alcun indice.
Quel punto sugli ETF attivi potrebbe generare confusione tra i lettori con una conoscenza di base degli ETF. Gli ETF di prima generazione non erano strumenti complessi come molti ETF attivi odierni. Questi primi ETF investivano in tutti i titoli di un indice ampio, come il FTSE 100 o l’S&P 500, li racchiudevano in un fondo le cui quote erano negoziabili in tempo reale in Borsa, con un prezzo di acquisto e vendita immediatamente visibile, e applicavano una commissione di gestione contenuta – solitamente molto più bassa rispetto a quella dei fondi attivi basati sulla selezione dei titoli. In quasi tutti i casi, queste commissioni erano inferiori ai 100 punti base, ovvero all’1% annuo.
Ecco perché gli ETF sono diventati così popolari: possono essere negoziati istantaneamente in Borsa (a differenza dei fondi comuni tradizionali), sono economici e offrono una diversificazione ampia replicando indici noti. In più, poi, è arrivato internet a rivoluzionare il trading, permettendo agli investitori di acquistare e vendere con un clic.
Col tempo, però, gli ETF si sono evoluti, pur mantenendo quei principi semplici e democratici che li avevano caratterizzati fin dall’inizio. L’obbligazionario è diventato popolare, così come le materie prime, in cui molti fondi oggi detengono portafogli fisici (come lingotti d’oro in caveau). L’ingegneria sofisticata alla base degli ETF – in particolare la loro capacità di creare nuove quote in tempo reale attraverso operatori terzi noti come “authorised participants” (o AP) – ha fatto sì che la struttura stessa dell’ETF venisse ripensata per includere anche gestori attivi specializzati nella selezione dei titoli.
Facciamo dunque un passo indietro e decostruiamo la grande rivoluzione degli ETF. Come tutti i cambiamenti che hanno segnato i mercati, anche questo è fatto di verità concrete, nate dalla competizione, e di qualche mito che merita di essere sfatato.
Le verità sugli ETF
Uno dei motivi per cui gli ETF a basso costo e indicizzati hanno avuto tanto successo all’inizio è legato a un principio riconosciuto da tempo dagli economisti: i mercati sono generalmente efficienti, rendendo difficile per i gestori attivi ottenere costantemente risultati migliori. I mercati azionari sono ecosistemi caotici in continua evoluzione, che reagiscono alle informazioni con dinamiche spesso imprevedibili.
Ma c’è una verità semplice: la maggior parte delle volte, il mercato stabilisce prezzi corretti ed efficienti. Anche per i gestori più capaci, battere sistematicamente il mercato è una sfida tutt’altro che semplice. Superare il mercato non è impossibile, ma numerosi studi mostrano che la maggior parte dei gestori, nel tempo, ottiene rendimenti inferiori.
Ciò non impedisce a investitori individuali e istituzionali di provare lo stesso a battere il mercato – troppo spesso speculando su singole azioni. Può essere talvolta gratificante ed emozionante, ma la realtà è che, se si vuole gestire sia il rendimento che il rischio, un fondo rappresenta una strategia diversificata più sensata. Prendiamo, ad esempio, Nvidia: oggi è un leader nell’Intelligenza Artificiale (AI), ma puntare tutto su questo titolo significa rischiare di perdere la “prossima Nvidia”. Un ETF tematico sull’AI, invece, include Nvidia ma anche altri potenziali champion del settore.
Se i fondi sono un modo più efficace per cavalcare grandi idee e trend, perché non preferire un ETF che permette di investire in tempo reale, con prezzi trasparenti e commissioni basse? Gran parte dei principali ETF ha costi inferiori allo 0,25% annuo, mentre la maggioranza dei fondi gestiti tradizionali supera ancora lo 0,50%.
C’è un’altra verità importante: se si vuole investire in un paniere diversificato di azioni italiane o in titoli di Stato Usa a 10 anni, o in oro fisico conservato in Svizzera, non si può fare con un fondo comune o un investment trust. Solo ETF ed ETC offrono una scelta così ampia e diretta. Investendo in strumenti liquidi (azioni, obbligazioni), possono creare o riscattare nuove quote quasi istantaneamente grazie ai partecipanti autorizzati. Questo meccanismo impedisce che un ETF venga scambiato a prezzi molto diversi dal valore reale del portafoglio.
Riassumendo: gli ETF sono economici, facili da capire, ingegnosamente progettati, utili per la diversificazione, facilmente negoziabili e accessibili. Queste caratteristiche li hanno resi enormemente popolari.
I miti sugli ETF
Nonostante questi vantaggi competitivi, negli ultimi venticinque anni gli ETF si sono portati dietro anche alcuni miti che meritano di essere sfatati. Uno su tutti: l’idea, molto diffusa, che gli ETF rappresentino esclusivamente una rivoluzione passiva.
L’investimento passivo è nato dall’idea che i mercati siano, per la maggior parte, efficienti, e che convenga quindi replicare un indice o un benchmark invece di affidarsi a gestori attivi. Questo rimane vero, ma è importante capire che una parte molto rilevante del denaro investito in modo passivo è allocata in fondi comuni indicizzati o unit trust, e non in ETF. Questi fondi che replicano un indice sembrano simili agli ETF, ma in realtà sono strumenti più tradizionali, con prezzi aggiornati solo a fine giornata. Sono ottime soluzioni per investire in modo economico e diversificato, ma non sono ETF.
Al contrario, molti ETF oggi sono a gestione attiva, non passiva. Questi fondi attivi hanno sfruttato l’ingegneria intelligente che sta alla base degli ETF, adattandola per ricreare quello che, a tutti gli effetti, è un fondo attivo vecchio stile sotto forma di ETF. Dunque, è importante ricordare che, sebbene la maggior parte degli ETF siano passivi, non tutti lo sono.
Un altro mito è che si possa usare la struttura dell’ETF per qualsiasi classe di attivo. Si può sicuramente tentare, ma è opinione diffusa tra gli esperti di mercato che i titoli meno liquidi, come le azioni a piccola o micro capitalizzazione, siano difficili da replicare o negoziare in modo efficiente tramite un indice. In effetti, esistono molte asset class – come il private equity o la finanza strutturata – per le quali molti critici sostengono che l’ETF non sia uno strumento adatto.
Prendiamo un esempio concreto: l’investimento immobiliare. Molti ETF investono in società immobiliari quotate, come i REIT (Real Estate Investment Trusts), le cui azioni possono essere comprate e vendute immediatamente. Tuttavia, non vedrete mai – o almeno si spera – un ETF che investe direttamente in edifici commerciali. Le azioni si scambiano in tempo reale, ma comprare o vendere un ufficio può richiedere mesi. Qui si verifica quello che viene definito un mismatch di liquidità. Ecco quindi un’altra verità da accettare: non tutto può essere trasformato in un ETF.
Proseguiamo con un altro mito: non tutti gli indici, e di conseguenza non tutti gli ETF, sono creati nello stesso modo. Possono avere acronimi oscuri e suonare tutti simili, ma le differenze sono importanti. Nel mondo degli indici, ce ne sono alcuni che, a mio avviso, sono quasi inutili. Il Dow Jones Industrial Average (DJIA) e il Nikkei 225 ne sono due esempi: secondo molti esperti, sono progettati malissimo e da evitare a tutti i costi. Per chi ama i dettagli tecnici: a differenza della maggior parte dei benchmark, che pesano i titoli in base alla loro capitalizzazione di mercato, questi due indici li pesano in base al prezzo delle azioni.
Anche le commissioni dei singoli ETF variano moltissimo, ed è fondamentale che gli investitori prestino attenzione anche al cosiddetto tracking error, ovvero lo scostamento tra il rendimento effettivo del fondo e quello dell’indice che intende replicare. Questo divario può essere rilevante e incidere in maniera significativa sulla performance complessiva dell’investimento.
E qui entriamo in un altro mito legato alla scelta degli ETF. Ho perso il conto delle volte in cui ho sentito dire: “Compro semplicemente l’ETF più grande, più economico e più famoso e non ci penso più” – come se, nel mondo degli ETF, più grande significasse automaticamente migliore. Per “più grande” si intende di solito il fondo con il maggior patrimonio in gestione. Ed è vero che, dal punto di vista operativo, un ETF grande sarà più liquido e questo, a parità di condizioni, riduce i costi di transazione grazie a un bid-ask spread più ristretto (in termini semplici, la differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita di un titolo). Ma attenzione: a volte l’ETF più grande e liquido non è il più economico, né quello con il minor tracking error.
Concludo con un mito particolarmente insidioso: quello secondo cui gli ETF consentono agli investitori di spostarsi in modo intelligente e dinamico tra le grandi asset class. È vero che alcuni gestori sono molto abili nel muoversi tra azioni statunitensi, obbligazioni e altre classi di attivo. Alcuni lavorano per piattaforme come Moneyfarm o in grandi società di gestione. Ma è un lavoro difficilissimo, che richiede esperienza, metodo e molta disciplina, e anche così gli errori possono essere frequenti. Gli ETF inducono molti investitori a pensare di potercela fare da soli, ma nella maggior parte dei casi non è così. Meglio affidare l’allocazione top-down a professionisti oppure, quantomeno, definire una strategia di investimento per i prossimi dieci anni e seguirla con disciplina, senza lasciarsi influenzare dalle notizie del momento.
Il futuro degli ETF
Gli ETF hanno fatto molta strada in soli 25 anni e probabilmente continueranno a crescere, specialmente con l’aumento degli investitori online. Secondo gli analisti di JP Morgan, gli ETF europei potrebbero raggiungere i 6mila miliardi di dollari entro il 2030, una crescita straordinaria.
“Gli ETF sono il futuro. I gestori devono decidere se vogliono far parte di quel futuro”
Jon Maier, Chief ETF Strategist di JP Morgan Asset Management
A mio parere, l’Europa seguirà la direzione già presa dagli Stati Uniti, dove ETF e fondi indicizzati dominano la maggior parte dei portafogli. Vedremo ancora più innovazione, ETF attivi e – purtroppo – anche idee sbagliate, come il tentativo di inserire asset illiquidi negli ETF.
Molti giovani sono ormai abituati a investire online. Con il tempo e l’esperienza – anche dopo diversi errori – credo che abbandoneranno la speculazione su singole azioni per scegliere strumenti più diversificati, come gli ETF. In conclusione, gli ETF sono stati, e continueranno a essere, il motore di una grande rivoluzione democratica nell’investimento.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.