COP 28: accordo storico o occasione persa?

La conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico del 2024 (COP 28) non era partita sotto i migliori auspici. Le polemiche sulla città ospitante, Dubai, avevano creato un clima di scetticismo. Il timore, ventilato dalla stampa ma anche da molti dei partecipanti alla conferenza, era che l’agenda potesse essere controllata dai paesi produttori di petrolio, con l’obiettivo di condizionare un accordo che doveva essere ambizioso se si voleva rilanciare la sfida globale al cambiamento climatico.

L’obiettivo principale della conferenza era quello di valutare i progressi fatti dall’Accordo di Parigi nel 2015 con l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia di 1,5 gradi. Non solo, la conferenza aveva anche l’obiettivo di trovare nuovi finanziamenti per aiutare i Paesi meno ricchi negli investimenti atti a rendere più sostenibile la propria economia, in un momento dove la disponibilità di liquidità e l’accesso al credito non sono più semplici come un tempo.

Obiettivi ambiziosi e necessari, ma nel turbinio del negoziato si era diffuso il timore che la conferenza potesse concludersi con un accordo al ribasso. Per questo il clamore per il risultato finale, con l’obiettivo dichiarato di eliminare i combustibili fossili dall’economia entro il 2050, è stato ancora maggiore. Ma si tratta di un vero progresso?

Partiamo dallo stato dell’arte. A Dubai si è appurato che le emissioni di CO2 dovrebbero essere ridotte del 43% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2019, per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C. Questo obiettivo, difficilmente realizzabile, segnala quanto i governi siano in ritardo rispetto agli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Per invertire la rotta il consenso raggiunto a Dubai prevede “la transizione via dai combustibili fossili nei sistemi energetici” e “la riduzione sia del consumo che della produzione di combustibili fossili in modo giusto, ordinato ed equo al fine di raggiungere lo zero netto entro, o prima, o intorno al 2050 in linea con la scienza”. Il linguaggio fa già capire che si tratta di un accordo ambiguo e pieno di possibili scappatoie, ma la novità inequivocabile è che per la prima volta si traccia un percorso di eliminazione da combustibili fossili, con una data obiettivo (per quanto vaga). Non che questa necessità fosse una novità, ma il fatto che venga esplicitamente menzionata e “accettata”, seppur con tutte le ambiguità del caso, anche da Paesi produttori di petrolio è sicuramente un fatto rilevante.

Un altro obiettivo raggiunto dalla conferenza, per citare una delle più rilevanti tra le molte iniziative, è l’istituzione di un fondo (Loss and Damage Fund) che serve a compensare gli Stati più penalizzati dagli effetti del cambiamento climatico. Durante la conferenza, sono seguiti i primi impegni degli Stati che hanno messo a disposizione 700 milioni di dollari. La cifra è irrisoria se paragonata ai danni stimati attribuibili al cambiamento climatico (che sono stimati nell’ordine di diverse centinaia di miliardi).

Italia e Francia sono per il momento le nazioni che hanno messo sul piatto il maggior numero di risorse (108 milioni di euro), mentre gli Stati Uniti e il Giappone (primo e terzo tra i Paesi sviluppati per emissioni di CO2) hanno messo sul tavolo 27 milioni di dollari e 10 milioni di dollari. La Cina, al secondo posto, non ha messo soldi sul piatto.

I risultati di COP 28 sono definiti “storici” o “deludenti” a seconda di chi viene interpellato. Valutarne l’impatto non è affatto semplice. I governi cominceranno a mettere in campo piani concreti per fare a meno dei combustibili fossili? Questi piani verranno rispettati? Il fondo di compensazione e mitigazione danni verrà dotato di risorse adeguate per la sua importante missione? Solo il tempo potrà dare queste risposte.

Quello che è certo (e che viene evidenziato dai critici) che COP 28 non è una risposta all’altezza per mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia di 1,5 gradi. Insomma, sono mancate azioni radicali e decisive, che forse sarebbe anche illogico aspettarsi in un contesto così multilaterale e complesso (fermo restando che prima o poi queste azioni dovranno essere adottate se si vogliono limitare i rischi legati al cambiamento climatico).

Riteniamo tuttavia che l’accordo abbia un valore politico e segnali un elemento chiaro: il mondo dovrà imparare a vivere senza i combustibili fossili e lo deve cominciare a fare a partire da oggi. COP 28 segna una direzione di marcia chiara: sostenibilità e investimenti restano il focus, declamato con ancora più ambizione e nonostante le congiunture (come le crisi geopolitiche) che possono aver spostato l’attenzione altrove.

Durante la conferenza, nella giornata dedicata alla finanza, è stato evidenziato il ruolo cruciale che gli investimenti, anche quelli privati veicolati attraverso strumenti di risparmio, avranno in questa transizione e l’importanza di sviluppare le legislazioni adeguate per favorirli. Se in Europa gli sforzi legislativi per favorire l’afflusso dei capitali sono evidenti, in altri paesi dobbiamo ancora vedere degli sviluppi concreti.

Punti chiave per gli investitori

Insomma, tanti propositi più o meno ambiziosi, ma cosa resta di concreto per l’investitore da questo COP 28 ? Pensiamo ci siano tre punti fermi:

  • La “transition away” dai combustibili fossili rappresenta un rischio di transizione enorme per aziende e Paesi che basano i propri ricavi o la propria economia sugli idrocarburi. Alcuni attori potranno contare sulla cassa accumulata in anni di attività legate ai combustibili fossili al fine di adattare il proprio modello a un mondo senza petrolio, gas naturale e carbone. Altre aziende e paesi, potrebbero invece trovare enormi difficoltà ad adattarsi. Questo rappresenta un rischio concreto di lungo termine, che potrebbe essere in alcuni casi difficile da prezzare già oggi nelle valutazioni di mercato.

 

  • I danni legati al cambiamento climatico, sui quali si concentra il “Loss and Damage Fund”, non esauriscono le necessità finanziarie legate al climate change. Ci sarà bisogno di supportare economie per rialzarsi da eventi estremi sempre più frequenti, ma anche di finanziamenti volti al supporto dell’adattamento e alla prevenzione dei rischi climatici, come investimenti infrastrutturali. A ciò si devono aggiungere gli enormi capitali che serviranno a finanziare la transizione energetica (da questo punto di vista la prossima edizione di COP avrà il ruolo di ridefinire i fabbisogni, ma sono arrivate importanti impegni di investimenti durante la conferenza di Dubai). L’inadeguatezza dei 700 milioni di dollari raccolti dal fondo, ci ricorda la difficoltà di reperire questi finanziamenti, un tema che crediamo sia destinato a diventare sempre più pressante. In questo senso, crediamo sia importante che gli investimenti privati e non solo quelli pubblici contribuiscano al raggiungimento di tali obiettivi.

 

  • Eventuali nuove legislazioni potranno avere un ruolo cruciale nella chiarificazione del ruolo degli investimenti sostenibili, nell’indirizzare i fondi verso aziende virtuose e tecnologie necessarie alla lotta al cambiamento climatico, nella standardizzazione e trasparenza dei dati, migliorando ulteriormente un panorama che ha già visto un’evoluzione enorme negli ultimi due anni. L’innovazione legislativa non potrà che aprire nuove opportunità e favorire nel lungo termine gli investimenti ESG.

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