Il protagonista del mese è stato il conflitto tra Hamas e Israele, che continua ad evolversi in modo sanguinoso. I nostri pensieri vanno alle vittime e ci auguriamo che si possano abbassare le armi presto. Per quanto questa premessa faccia sembrare davvero frivolo parlare di mercati e investimenti, il nostro ruolo da gestori richiede di farlo, e in questo commento cercheremo di capire la reazione dei mercati anche a questo conflitto e cosa aspettarci nei prossimi mesi.
Per il momento, la guerra ha certamente aumentato la volatilità di mercato, che ha portato ad una performance povera per gli asset rischiosi in generale, con l’azionario globale in calo del 2.3% (in dollari). Anche l’obbligazionario ha sofferto, con il 10 anni USA in crollo dell’ 1.7%, in parte proprio per le paure stagflattive legate al conflitto, in parte per la pressione al rialzo sui tassi generata dal contesto macro generale.
La crescita negli Usa è rimasta infatti straordinariamente alta, con il PIL reale trimestre-su-trimestre annualizzato sopra le attese al 4.9%, che ha probabilmente contribuito all’aumento del tasso decennale di 30 punti base. In Europa invece molti Paesi sembrano sull’orlo della recessione e l’inflazione ha dato segni positivi, ma i timori sulla stabilità finanziaria di alcuni paesi ad alto debito (Italia su tutti) tengono la pressione alta sui tassi. Intanto, buona notizia, alcuni rischi dello scorso mese sono diminuiti, con la gran parte dei lavoratori del settore automobilistico americano che hanno trovato un accordo con i grandi gruppi e con i Repubblicani che sono finalmente riusciti ad eleggere un nuovo Speaker.
Nel complesso, il contesto geopolitico rimane scivoloso e a nostro parere il focus delle prossime settimane. Occhio anche alla situazione politica negli USA, dove il nuovo Speaker deve trovare un accordo presto con i Democratici per evitare un impasse governativo, e ai primi risultati della stagione degli utili, che saranno chiave per capire se l’azionario, americano in particolare, non sia troppo costoso.
Tensioni in Medio-Oriente
Il tragico conflitto tra Israele e Hamas ha condizionato molto l’umore del mercato, non tanto per le sue conseguenze dirette, che per il momento restano localizzate, quanto per la possibilità che lo scontro si allarghi coinvolgendo altri attori nella regione (in particolare l’Iran), con il rischio che cio’ possa impattare le rotte di petrolio e gas naturale.
L’indicatore più sensibile a questi timori è l’indice VIX, che misura la volatilità implicita dell’azionario americano, e quindi dà un’indicazione del rischio percepito dai mercati. Durante le fasi più calde del conflitto, il VIX ha raggiunto picchi sopra i 20, spartiacque convenzionale tra alto e basso rischio.
La situazione sul campo continua a essere imprevedibile, con l’inizio delle operazioni militari via terra da parte dell’esercito israeliano che aumenta appunto il rischio escalation. Per il momento tuttavia, l’allargamento del conflitto non rappresenta il caso base, nè secondo noi nè probabilmente per i mercati, dato che proprio il VIX è tornato a normalizzarsi ampiamente sotto il 20 a partire dalla fine di ottobre.
Riteniamo che i nostri portafogli siano ben posizionati per la situazione attuale, grazie ad un’allocazione conservativa verso azioni e duration e – per le linee non ESG – con la maggior esposizione di sempre verso petrolio e oro. Per ora, rimaniamo, come i mercati, concentrati sulle dinamiche di crescita e inflazione, ma siamo pronti ad aumentare l’allocazione all’oro, al petrolio e al dollaro se altri paesi – in particolare l’Iran – dovessero essere coinvolti, consapevoli tuttavia che speculare sul rischio geopolitico è estremamente difficile (se non, forse, impossibile).
Habemus Speaker
Il secondo focus chiave rimane la politica americana, con la continuazione della saga dell’approvazione degli ultimi piani fiscali del governo. Nonostante il Congresso abbia ratificato un accordo per estendere il tetto del debito a giugno infatti, il governo (che controlla il Senato) è ancora in difficoltà, poiché deve convincere i Repubblicani (che controllano la Camera) a votare alcuni progetti di spesa prima di meta’ novembre per evitare uno congelamento dell’attività di governo. Questo implicherebbe de facto il blocco di tutte le attività governative non essenziali, incluso il pagamento dei salari ai dipendenti pubblici non essenziali, con un possibile impatto sul PIL di circa lo 0,2% a settimana.
Far approvare questi progetti di legge non dovrebbe essere stato un problema, dato l’accordo raggiunto a giugno, ma la situazione si è complicata dopo che Il Partito Repubblicano ha destituito l’ex Speaker della Camera, Kevin McCarthy, proprio perché molti repubblicani non erano soddisfatti dell’accordo raggiunto questa estate.
Finalmente, il Partito è riuscito ad eleggere il deputato repubblicano Mike Johnson come un nuovo Speaker il 25 ottobre, ma non è del tutto chiaro se si riuscirà a firmare un nuovo accordo con i Democratici entro la scadenza del 17 novembre.
Mike Johnson fa parte della corrente più conservatrice del Partito Repubblicano ed è un noto sostenitore di Trump. Oltre a sostenere la teoria che le elezioni del 2020 siano state truccate. Johnson si è opposto anche agli aiuti militare all’Ucraina, che è uno dei punti più delicati della trattativa e su cui i Democratici non sembrano disposti a cedere. Tuttavia, d’altra parte, il nuovo Speaker ha già promesso di sostenere Israele, il che dà speranza al governo, poiché Biden probabilmente sfrutterà questo terreno comune, chiedendo un accordo su tutti i progetti di spesa prima di approvare i finanziamenti militari per Israele.
Nel complesso, riteniamo che il governo raggiungerà un’intesa prima della scadenza della data limite, evitando cosi’ un’escalation del rischio politico che potrebbe mettere ulteriore pressione sul tasso del decennale, dato che solleverebbe dubbi sulla stabilità del governo e del debito statunitense.
Posizionamento di portafoglio
Per il momento, questi rischi politici e geopolitici rimangono gestibili, ma molto rilevanti e quindi crediamo che la scelta più saggia per il lungo termine sia di evitare speculazioni aggressive, mantenendo tuttavia un profilo conservativo per sopportare meglio potenziale volatilità nel breve. A ottobre non abbiamo quindi modificato il portafoglio e restiamo leggermente conservativi rispetto al passato.
Giorgio Broggi è entrato a far parte di Moneyfarm come analista quantitativo nel dicembre 2021 ed è membro del Comitato Investimenti. Prima di entrare a far parte della società, ha lavorato presso Barclays Wealth Management e S&P Market Intelligence, acquisendo esperienza nella ricerca di fondi e negli investimenti ESG. Prima di iniziare la sua vita professionale, ha completato con successo una doppia laurea presso Eada e EDHEC Business School, ottenendo due Master in Finanza e specializzandosi in factor investing e costruzione di portafogli. È un charterholder CFA.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.