Una strategia di investimento impostata sulla capacità di anticipare le oscillazioni del mercato è quasi impossibile da attuare con successo e rischia di essere deleteria.
Market timing è il termine con il quale viene definita una strategia di investimento volta ad acquistare i titoli prima di un rialzo e vendere prima di un ribasso anticipando in pratica i movimenti di mercato. Facile, forse, a parole ma molto difficile da applicare e anche potenzialmente pericolosa, soprattutto se la si applica in un’ottica di breve periodo.
Un market timing di successo richiede due decisioni corrette: quando acquistare e quando vendere. Fare la scelta corretta ha di fatto il 50% di probabilità di successo (e di insuccesso). Indovinare due volte consecutive la scelta giusta ha di conseguenza una chance del 25% e così di seguito andando via via ad assottigliare le possibilità che una strategia di investimento continuativa basata sul market timing porti al successo. I numeri dimostrano come un investitore in possesso di un fondo azionario americano dal 1990 al 2005 avrebbe guadagnato in media l’11,5% annuo. Viceversa, l’investitore che nello stesso periodo avesse perseguito una strategia di market timing quasi perfetta, perdendo solo i dieci migliori giorni di mercato sui 15 anni totali, avrebbe guadagnato l’8,1%. Ecco perché mancare anche solo qualche giorno dei rally, che evidentemente si verificano senza preavviso dopo un crollo, può avere ripercussioni importanti.
Dopo 50 anni in questo settore, non conosco nessuno che abbia fatto market timing con successo in modo costante. In effetti, la mia impressione è che cercare di fare market timing non solo non aggiunga valore al portafoglio, ma anzi c’è una forte possibilità che sia alla fine controproducente
Jack Bogle, fondatore del gruppo Vanguard
Possiamo suddividere le scelte di market timing in due tipi: scelte intenzionali e scelte non intenzionali. Se le prime si basano su fattori di analisi e tecnici per stabilire quando una asset class è attraente (e quindi da comprare) e quando non lo è (alias, da vendere), le seconde sono prettamente dovute all’emotività e rientrano nella sfera degli atteggiamenti, tanto di paura quanto di euforia, che un investitore deve imparare a governare ed escludere dai processi decisionali.
Molti gestori di portafoglio praticano un market timing intenzionale, tanto per dimostrare quanto “ne capiscano” ai propri clienti, o potenziali tali, quanto per giustificare le elevate fee di consulenza. Così non mancano mai alle fiere di settore i gestori che entusiasticamente ricordano come avessero correttamente previsto un crollo del mercato, una risalita dei tassi di interesse, il calo dei prezzi del petrolio ecc.. Ciò che questi guru non raccontano è che la maggior parte di loro non è stato in grado di ripetersi, non facendo rientrare i propri clienti sul mercato prima della ripresa o replicando il processo in maniera consistente.
Praticamente tutti i gestori di portafoglio che hanno anticipato (leggi indovinato) il ribasso dovuto alla crisi finanziaria, mancando poi il momento della risalita, hanno usato la stessa scusa del “abbiamo scelto la via della prudenza”. Ma non bisogna farsi illudere… fare la scelta corretta solo la metà delle volte non è una strategia di investimento di successo e asserire di voler essere prudenti non è una scusa sufficiente per sbagliare.
Certamente maggiori sono i rischi che corre un investitore che, a causa dell’emotività, fa scelte di market timing non intenzionali. Sbagliare la prima volta significa uscire nel momento sbagliato o non rientrare nel momento giusto. Sbagliare in entrambi i casi può portare a effetti negativi di lunga durata. Capitalizzare, in perdita, durante una fase orso e poi restare a guardare durante la ripresa crea danni psicoemotivi profondi che possono portare l’investitore lontano dai mercati per un periodo prolungato di tempo, a volte per tutta la vita.
Non è esagerato affermare che involontarie scelte errate di market timing possano condizionare in modo profondo anche l’approccio della generazione successiva. I figli sentono i genitori lamentarsi del mercato azionario, di essere pieno di insidie (se non truccato) e di come non potranno mai più investire nuovamente in Borsa. L’esempio rappresentato dal movimento Occupy Wall Street ben identifica questo fenomeno e il perché molti ventenni americani di oggi abbiano sviluppato una tale repulsione per i mercati.
Diverse analisi relative alla percentuale di ricchezza detenuta dalle famiglie in investimenti di qualche tipo dimostrano come questa diminuisca drasticamente dopo ogni fase di crollo dei mercati, per poi tornare ai livelli pre-crisi solo dopo una generazione, ed è questo un fenomeno che continua inesorabilmente a ripetersi. Il post 2008 è stato caratterizzato da un movimento netto complessivo negativo per il mercato dei fondi azionari, nonostante un mercato ai massimi di tutti i tempi. Il 2013 è stato il primo anno in cui gli investitori globali sono stati acquirenti netti di fondi azionari, sostenuti dalle percentuali dei rendimenti a doppia cifra.
Un solo anno però non fa tendenza. Un recente rapporto di State Street mostra come gli investitori abbiano ancora oggi la tendenza a tenere i contanti sotto un materasso mantenendo liquida una quantità elevata dei loro portafogli. Il rapporto fa riferimento a una sfiducia generalizzata nei confronti del mercato per spiegare il fenomeno: “La crisi del 2008 è ancora fresca nei loro ricordi. Le generazioni più giovani, in particolare, sono diffidenti nei confronti degli investimenti in ciò che essi percepiscono come asset a rischio. Molti di questi investitori hanno sperimentato il susseguirsi di crisi consecutive e semplicemente non si fidano dei mercati”.
In definitiva, applicare con successo una strategia di market timing è molto difficile se non impossibile. I consulenti finanziari continueranno certamente a vendere la loro infallibile strategia di investimento ma per gli investitori individuali è tutta un’altra storia. Molti rimarranno intrappolati dalla propria reazione emotiva alle perdite di mercato.
C’è solo una cura per tutto questo e si chiama educazione. Le persone che hanno fin da principio la giusta asset allocation (adeguata ai propri obiettivi e al proprio profilo di rischio) tendono a essere molto meno vulnerabili riducendo drasticamente le probabilità di capitolare in una fase di mercato orso.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.