Ecco come il dilemma dell’inflazione potrebbe influenzare i mercati

L’inflazione è tornata al centro dell’attenzione durante la pandemia di Covid dopo anni in cui era rimasta nell’ombra, raggiungendo livelli che non si vedevano dagli anni 80.

E mentre le banche centrali non si sentono ancora abbastanza sicure da premere il grilletto sui tagli dei tassi di interesse, i mercati finanziari si comportano come se la lotta all’inflazione fosse già stata vinta.

Inoltre, l’economia – finora – ha reagito abbastanza bene all’intera situazione: il mercato del lavoro è stabile, la disoccupazione è molto bassa rispetto agli standard storici e la crescita economica complessiva non si è fermata abbastanza a lungo da causare del panico.

Mentre un’inflazione più alta ha storicamente pesato sulle performance sia delle obbligazioni che delle azioni, la situazione odierna è differente dai casi precedenti. Molti mercati azionari sono posizionati quasi ai loro massimi storici, ma le cosiddette obbligazioni rifugio sono vicine ai loro minimi del 2022.

Diamo un’occhiata a cosa rende il tema dell’inflazione meno lineare e cosa significa per le decisioni delle banche centrali.

Cosa ci stanno dicendo i mercati?

Le previsioni sono cambiate spesso negli ultimi mesi, ma gli economisti sembrano suggerire che l’inflazione nei mercati sviluppati probabilmente si dirigerà verso l’obiettivo del 2% delle banche centrali entro l’anno. Se ciò accadrà, i policymaker potrebbero allentare la politica monetaria rispetto agli attuali livelli restrittivi, limitando così l’impatto dei tassi di interesse più alti sull’economia.

L’idea di un cosiddetto atterraggio morbido negli Stati Uniti – vittoria sull’inflazione evitando una recessione – che sembrava irrealistica solo un anno fa, appare ora alla portata. La crescita degli utili potrebbe accelerare mentre l’inflazione scende verso gli obiettivi delle banche centrali, permettendo sia alle obbligazioni che alle azioni di avere una buona performance.

C’è ancora la possibilità di un atterraggio turbolento, però. Il mercato obbligazionario suggerisce che l’attuale percorso previsto della politica monetaria, insieme a un ciclo economico maturo, potrebbe portare a una lieve recessione.

La curva dei rendimenti è invertita, il che significa che il debito con scadenze più brevi rende (o paga) di più rispetto agli equivalenti a lungo termine. Detto ciò, questa visione è risultata meno ovvia più di recente, dato che i dati economici continuano a sorprendere al rialzo.

Le aspettative sui tassi possono essere sbagliate?

È comunque importante ricordare che i mercati si sono sbagliati diverse volte negli ultimi anni, con la crescita economica e l’inflazione che hanno sorpreso positivamente gli investitori.

Questa volta, gli esperti non riescono nemmeno a decidere dove dovrebbe stabilizzarsi il tasso di interesse “neutrale”. I mercati sviluppati (soprattutto gli Stati Uniti) hanno gestito i tassi elevati in modo notevole, suggerendo che l’economia potrebbe prosperare con dei tassi fissati a un livello più alto di quanto non lo siano stati in passato.  

Il tasso di interesse neutrale è oggetto di un intenso dibattito. È strettamente legato alla crescita economica ed è anche il tasso di interesse che bilancia l’offerta di risparmio di un’economia con la domanda di investimento. Entrambi sono influenzati da una vasta gamma di fattori operanti su diversi orizzonti temporali.

È ampiamente accettato che la politica monetaria agisca con un certo ritardo – gli effetti economici non sono mai immediati. Ma se i tassi di interesse neutrali diventano strutturalmente più alti, i livelli attuali dei tassi di politica monetaria potrebbero non essere così restrittivi come ipotizzato dalle banche centrali. Di conseguenza, i policymaker potrebbero non dover ridurre i tassi di interesse così rapidamente o nella misura attualmente prevista.

L’inflazione potrebbe ancora sorprenderci?

La maggior parte dei colli di bottiglia dell’offerta indotti dal Covid è stata risolta, riducendo l’inflazione di conseguenza. Ci sono anche segnali che il mercato del lavoro si stia rilassando, alleviando parte dell’inflazione dei salari e del settore dei servizi.

I mercati sembrano fiduciosi che queste tendenze persisteranno, il che dovrebbe mantenere l’inflazione entro un certo intervallo mentre si dirige verso il 2%.

Tuttavia, desiderosi di evitare gli errori politici commessi dai loro predecessori alla Federal Reserve (la Fed) negli anni 70 e 80, i banchieri centrali non vogliono allentare la presa sull’inflazione finché non sono sicuri che sia estirpata. Stanno aspettando di osservare dati concreti prima di avvicinarsi al pulsante del taglio dei tassi.

Sia che si tratti di nuove minacce alle catene di approvvigionamento globali, un’escalation delle tensioni geopolitiche, costi associati alla transizione climatica o dinamiche del mercato del lavoro, ci sono una serie di ragioni per credere che l’inflazione potrebbe ancora non essere completamente sotto controllo.

I tassi potrebbero rimanere più alti più a lungo?

Le banche centrali potrebbero peccare di prudenza, mantenendo i tassi più alti più a lungo, se sono più concentrate sui rischi dell’inflazione. Il presidente della Fed Jerome Powell ha espresso le sue preoccupazioni riguardo alla possibilità di allentare troppo presto.

Se le banche centrali aspettano troppo a lungo prima di “normalizzare” i tassi di interesse, le banche centrali potrebbero non essere in grado di ridurre i tassi abbastanza rapidamente per stimolarla.

L’inflazione tende a sostenere azioni e obbligazioni mentre scende verso l’obiettivo del 2%, poiché alimenta le speranze di tassi più bassi. Ma se l’inflazione scende al di sotto dell’obiettivo, le conseguenze sono storicamente più negative. Se la ragione del calo dei prezzi fosse una mancanza di domanda, ciò non sarebbe di buon auspicio per le imprese o per l’azionario – sebbene le obbligazioni beneficerebbero probabilmente di qualsiasi calo risultante nei tassi di interesse.

Qual è la conclusione?

Il rischio che l’inflazione si stabilizzi al di sopra o al di sotto dell’obiettivo sta complicando le decisioni dei banchieri centrali. Fino a poco tempo fa, potevano permettersi di concentrarsi solo sul ridurre l’inflazione. Ora, saranno giudicati sulla loro capacità di farlo senza causare inutili “dolori” economici. Non è esattamente una posizione invidiabile.

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