7 spunti di conversazione per il pranzo di Natale

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Siamo quasi alla fine dell’anno ed è il momento giusto per dare uno sguardo un po’ diverso a investimenti, mercati e denaro. Lo facciamo insieme al giornalista britannico David Stevenson, in una collaborazione speciale con Moneyfarm.

Quella che segue è una selezione di curiosità da condividere a tavola durante le feste con familiari e persone care. Non servono conoscenze approfondite di mercati e azioni: l’obiettivo è sorprendere, o quantomeno incuriosire, chi ti sta intorno.

1. Il rally di Natale

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i mercati azionari sono tutt’altro che immuni dalla superstizione.

Sì, questi straordinari motori di razionalità – enormi meccanismi globali di valutazione del valore futuro (e delle perdite) – finiscono spesso per essere influenzati da vecchie credenze popolari, o, più appropriatamente, da leggende natalizie.

Un esempio emblematico è il cosiddetto ‘rally di Natale’. È esattamente ciò che sembra: i mercati tendono a salire prima di Natale, nel mese di dicembre. Identificato per la prima volta da Yale Hirsch nel suo libro del 1972 The Stock Trader’s Almanac, il fenomeno descrive la tendenza dei mercati a salire in vista del periodo di festività di dicembre.

Facciamo però un passo indietro. A questo punto la domanda sorge spontanea: perché?

Per quale motivo l’imminente arrivo di Babbo Natale dalla Lapponia, con tanto di renne al seguito, dovrebbe avere qualche rilevanza per investitori navigati e apparentemente imperturbabili?

Da tempo accademici e analisti cercano una spiegazione definitiva, senza però arrivare a una risposta univoca. Tra le ipotesi più citate c’è il tax-loss selling, ovvero la vendita di asset in perdita nel mese di dicembre per compensare le plusvalenze dell’anno fiscale successivo.

C’è poi il cosiddetto window dressing, con i gestori istituzionali che “abbelliscono” i portafogli prima della fine dell’anno.

Sono state avanzate anche spiegazioni più fantasiose, come il fatto che gli investitori trascorrano più tempo a casa davanti agli schermi o l’impatto dei bonus salariali natalizi.

Pur in assenza di una spiegazione definitiva, esistono evidenze che suggeriscono come il rally di Natale sia un fenomeno reale.

Un wealth manager ha analizzato un orizzonte di 50 anni, rilevando che l’S&P 500 – l’indice che raccoglie le principali società quotate negli Stati Uniti – è salito in 36 dei 50 periodi di rally di Natale, con rendimenti annualizzati medi del 14,4%.

Guardando agli ultimi 25 anni, l’S&P 500 ha registrato in media un rendimento dello 0,94% nel mese di dicembre. Una performance solida, ma nettamente superata dal FTSE MIB, il paniere delle principali aziende italiane, che nello stesso periodo ha messo a segno una media del 1,65%.

Inoltre, mentre per l’indice americano dicembre rappresenta mediamente il 14,8% della performance annua complessiva, per il listino di Milano l’incidenza dell’ultimo mese dell’anno è ancora più cruciale: in molti cicli storici, il ‘rally di Natale’ italiano è arrivato a pesare per oltre il 25% del rendimento totale annuo, confermando dicembre come uno dei periodi più dinamici per gli investitori di Piazza Affari.

Come sempre, è importante ricordare che i rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.

2. Tutto ciò che luccica è davvero oro

La storia di investimento più affascinante degli ultimi anni – quella che catalizza l’attenzione e accende l’entusiasmo – è senza dubbio l’ascesa dell’Intelligenza Artificiale (IA), o almeno così sembrerebbe.

In effetti, se ci si basa sullo spazio occupato nei media e persino su dettagli apparentemente marginali, come l’onnipresenza del font Calibri online (non particolarmente amato dall’amministrazione Trump e oggi bandito), l’IA domina senza rivali i titoli.

Eppure, guardando ai dati finanziari concreti, emerge un’altra storia – o meglio, una narrativa alternativa – che continua a brillare con sorprendente intensità.

Gli strategist di Deutsche Bank hanno recentemente pubblicato un documento ricco di dati e curiosità sugli investimenti, significativamente intitolato “Charts that make you go WOW!” (grafici che fanno dire “wow”). Tra i vari spunti, hanno scelto di mettere in evidenza un grafico particolarmente eloquente.

Secondo la loro analisi, nonostante l’enorme attenzione sull’intelligenza artificiale e gli straordinari rendimenti dei titoli tecnologici, l’oro resta l’asset con la migliore performance del XXI secolo fino ad oggi. Dal 1999, il suo valore è aumentato di oltre 11 volte, contro le 6,8 volte dell’S&P 500.

Anche nel confronto più recente il dato è sorprendente: mentre Nvidia segna un +37% da inizio anno, il prezzo dell’oro è salito del 61% e quello dell’argento è balzato di uno straordinario 117%. Su un orizzonte di dieci anni, l’argento ha registrato un aumento complessivo del 350%.

3. La volatilità del Bitcoin

È arrivato il momento di tirare fuori il tema Bitcoin durante le feste, magari per impressionare – o quantomeno incuriosire – i più giovani appassionati di crypto. Tutti sanno che il Bitcoin è volatile e che tende a dividere le opinioni: c’è chi lo considera una grande opportunità e chi lo guarda con forte scetticismo.

Guardando ai dati storici, negli ultimi 15 anni il Bitcoin ha attraversato oltre 40 cicli completi di salita e discesa. In media, i ribassi dai massimi ai minimi sono stati intorno al 30–35%, con molte correzioni che si sono sviluppate nell’arco di uno o due mesi. Alcuni episodi sono stati decisamente più severi – con perdite superiori al 60% – ma non rappresentano la norma.

Sul fronte dei recuperi, la storia mostra che, dopo diversi drawdown, il prezzo ha registrato rimbalzi anche rilevanti. Considerando i cicli di recupero da minimo a massimo, i guadagni medi storici risultano elevati, sebbene la mediana sia molto più contenuta, a conferma del fatto che pochi rally particolarmente forti hanno inciso in modo significativo sui numeri complessivi. In genere, le fasi di recupero sono durate leggermente più a lungo dei ribassi, spesso intorno ai due mesi.

Nel complesso, il Bitcoin resta un asset ad alta volatilità, con oscillazioni di prezzo ampie e frequenti. Un tema interessante da discutere a tavola e un mercato che continua ad attirare attenzione, ma che richiede un approccio consapevole e una buona tolleranza al rischio.

Le previsioni non sono un indicatore affidabile delle performance future. Queste informazioni hanno uno scopo puramente educativo e non devono essere considerate una consulenza d’investimento personalizzata.

4. Le donne sono investitrici migliori

Molti di noi avranno probabilmente sentito parlare del libro Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere di John Gray, anche se è lecito sospettare che in pochi lo abbiano davvero letto. Eppure, il titolo coglie bene un’idea di fondo: uomini e donne tendono a mostrare bias cognitivi e comportamentali diversi, anche se, a livello individuale, queste differenze risultano spesso meno evidenti.

Quando però si passa al mondo della finanza, del denaro e degli investimenti, vale la pena azzardare una scommessa: la grande maggioranza degli investitori professionali – e in particolare dei trader, soprattutto negli hedge fund – è composta da uomini. Un dato che non entusiasma, soprattutto se si considera il sospetto, tutt’altro che infondato, che un eccesso di testosterone non sia necessariamente un vantaggio quando si tratta di investimenti di lungo periodo.

Numerosi studi suggeriscono che, in media, le donne ottengano rendimenti di investimento leggermente superiori rispetto agli uomini. Questa differenza viene spesso ricondotta a fattori comportamentali: un approccio più disciplinato, una maggiore attenzione al lungo periodo e una minore propensione a decisioni impulsive.

Non sorprende quindi che, parlando con trader di hedge fund, emerga di frequente la stessa osservazione: avere più donne tra trader e investitori potrebbe rivelarsi particolarmente utile, soprattutto nelle fasi di elevata volatilità dei mercati.

In altre parole, si sta accumulando un corpo sempre più solido di evidenze secondo cui, in media, le donne tendono a essere investitrici più efficaci. A conferma di ciò, uno studio della Warwick Business School – basato sull’analisi di 2.800 investitori osservati per tre anni – ha rilevato che i rendimenti delle investitrici hanno sovraperformato il FTSE 100 dell’1,94%, contro appena lo 0,14% registrato dagli uomini. In termini relativi, questo si traduce in un vantaggio di circa 1,8 punti percentuali a favore delle donne.

Allo stesso modo, un’analisi condotta da Fidelity nel 2021 ha mostrato che i portafogli delle donne hanno sovraperformato quelli degli uomini di 40 punti base, pari allo 0,4%. Questa tendenza emerge anche su un orizzonte pluriennale: i dati della piattaforma di investimento Openfolio indicano che le investitrici hanno ottenuto risultati migliori rispetto agli uomini nel 2014, 2015 e 2016.

Pur senza scomodare Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere di John Gray, è possibile avanzare qualche ipotesi sul perché, in media, le donne ottengano risultati migliori come investitrici. Uno dei fattori chiave è un approccio più consapevole del rischio: le donne tendono a valutare con maggiore attenzione le decisioni di investimento, adottando comportamenti più equilibrati e coerenti nel tempo – un vantaggio in mercati azionari che, per loro natura, sono volatili.

A supporto di questa tesi, uno studio ha rilevato che le donne avevano una probabilità inferiore del 50% rispetto agli uomini di subire una perdita pari o superiore al 30%.

Un altro elemento rilevante è, prevedibilmente, l’eccesso di fiducia. Uno studio degli anni ’90 ha mostrato che gli uomini facevano trading il 45% in più rispetto alle donne, riducendo i loro rendimenti netti del 2,65% annuo, contro una riduzione dell’1,72% per le donne. Un’attività di trading meno frequente – una caratteristica spesso riscontrata tra le investitrici – contribuisce a contenere i costi di transazione e a limitare decisioni impulsive.

5. Casa dolce casa / piano pensionistico

Una lamentela comune tra i gestori di fondi è che gli investitori italiani siano eccessivamente concentrati sul patrimonio immobiliare, considerato da sempre il pilastro intoccabile del risparmio familiare. Al contrario, negli Stati Uniti la partecipazione al mercato azionario è parte integrante del tessuto sociale: dal professionista di città al piccolo risparmiatore di provincia, possedere quote societarie è la norma. Questa diffusa “cultura dell’equity” spiega perché le aziende americane riescano a raccogliere capitali con una facilità sconosciuta in Europa.

Tuttavia, sorge spontanea una domanda: investire nella propria casa in Italia è stato davvero un successo? Se guardiamo agli ultimi quarant’anni, la risposta è un amaro “dipende”, con una tendenza negativa se confrontata con il resto del G7. Mentre nel Regno Unito o in Canada i prezzi reali delle case sono quasi quadruplicati, l’Italia vive una stagnazione che dura da quasi due decenni. In una ipotetica classifica mondiale, Paesi come il Regno Unito guidano con crescite reali vicine al 400%, seguiti da nazioni come Usa e Francia che hanno visto raddoppiare il valore degli immobili. L’Italia, invece, siede nell’ultimo gradino insieme a Germania e Giappone, con variazioni reali che oscillano tra un modesto +30% e, in molti casi, un preoccupante -15% (dati elaborati su base OECD Real House Price Indices e The Economist Global House Price Index (serie storica 1975-2025).

Il mercato italiano si muove oggi a due velocità. A differenza del modello britannico, dove i prezzi sono saliti ovunque, l’Italia presenta una frammentazione drammatica: mentre Milano tiene il passo delle grandi capitali mondiali, la provincia e il Sud soffrono un declino demografico che spinge i valori reali verso il basso. Molti proprietari hanno visto il valore del proprio immobile erodersi progressivamente dal picco del 2008, nonostante una timida ripresa nel post-pandemia.

Il confronto con il mercato azionario è impietoso. Se un risparmiatore avesse scelto un indice azionario globale come l’MSCI World invece di un secondo immobile, il suo rendimento totale sarebbe stato superiore di diverse grandezze. L’errore comune in Italia è paragonare la casa al solo valore dei prezzi di Borsa, dimenticando che le azioni generano dividendi che, se reinvestiti, superano di gran lunga i rendimenti da locazione. A questo si aggiungono i costi occulti del mattone, come tasse, manutenzione e spese di transazione, che pesano su un bene difficile da vendere velocemente.

Nonostante nel 2025 i mercati europei abbiano mostrato ottime performance, la mentalità italiana resta ancorata al ricordo degli anni ’80 e ’90, quando il mattone era l’unico scudo contro l’inflazione galoppante. Oggi quella sicurezza è in gran parte un mito culturale: con un mercato immobiliare che fatica a tenere il passo del costo della vita, la vera sfida per il risparmio italiano è spostarsi dalla rigidità del mattone verso la crescita dinamica dei mercati dei capitali.

6. L’investitore di maggior successo di cui non hai mai sentito parlare

Durante le festività natalizie capita a molti di ritrovarsi con più tempo libero del solito e, soprattutto nei giorni successivi a Natale, di lasciarsi prendere da una leggera malinconia. Si finisce a fissare il conto corrente un po’ assottigliato, chiedendosi se non si potesse fare di meglio con i propri investimenti.
Magari fantasticando di essere come quei grandi investitori di successo di cui tutti abbiamo sentito parlare, dall’Oracolo di Omaha, Warren Buffett, in giù.

Eppure, vale la pena lanciare una sfida: perché continuare a concentrarsi sugli investitori famosi? Tutti sanno cosa fanno – e, va detto, sono quasi sempre uomini.

Perché non spostare invece l’attenzione su investitori di cui non hai mai sentito parlare? Ecco allora una lista curata di investitori straordinariamente di successo e, per lo più, rimasti nell’ombra.

Herbert Wertheim, soprannominato il “miliardario optometrista”, è probabilmente uno degli investitori individuali di maggior successo di cui non hai mai sentito parlare. Optometrista di formazione, ha costruito un patrimonio di circa 5,3 miliardi di dollari investendo per decenni i propri risparmi con un approccio buy-and-hold di lunghissimo periodo.

Forte di un background da inventore, privilegia aziende con solide barriere all’ingresso e ricchi portafogli di brevetti, arrivando a studiare manuali tecnici più che semplici bilanci. Il suo investimento simbolo è Heico, società di componenti aeronautici in cui detiene circa il 7,5% del capitale, una quota oggi valutata oltre 1 miliardo di dollari. Nel tempo, il suo portafoglio – che include anche nomi come Microsoft e Apple – è cresciuto a un ritmo vicino al 20% annuo.

Karthik Sarma, fondatore di SRS Investment Management, è un investitore attivista specializzato in titoli di qualità e gestisce circa 7,5 miliardi di dollari. Ex Tiger Cub (con un passato in Tiger Global), opera lontano dai riflettori nonostante una performance di lungo periodo intorno al 12,9% annuo dal 2007 al 2024, con anni particolarmente brillanti come il 2021 (+36%).

È noto per le scommesse ad alta convinzione e di lungo periodo. Il suo portafoglio è altamente concentrato, con posizioni rilevanti in Netflix, Meta e Avis, e un orizzonte temporale che supera spesso il decennio – una rarità nel mondo degli hedge fund.

Cliff Sosin, fondatore di CAS Investment Partners, è un investitore value con un approccio estremamente concentrato e asset in gestione superiori a 1,5 miliardi di dollari. Il suo portafoglio è noto per la forte selettività, con appena 5-8 titoli in portafoglio, una scelta che comporta elevata volatilità ma che ha prodotto risultati significativi nel lungo periodo.

7. Le meraviglie dell’effetto valanga

Durante il periodo natalizio siamo abituati a pensare alle valanghe come a qualcosa di lontano, magari sulle piste da sci. Eppure, nei mercati finanziari, l’effetto valanga è sempre all’opera – spesso in modo silenzioso – ed è una delle forze più potenti a disposizione degli investitori pazienti.

Uno studio pubblicato sull’International Journal of Research Publication and Reviews (IJRPR) mostra che il 65,69% degli investitori individuali ha modificato la composizione del proprio portafoglio in risposta alla volatilità dei mercati. Un comportamento comprensibile, soprattutto nei momenti di incertezza, ma che tende a interrompere proprio quell’effetto valanga positivo che nasce quando i rendimenti iniziano ad accumularsi su se stessi.

Questo meccanismo è noto come interesse composto: gli interessi maturano, vengono reinvestiti e, col tempo, il capitale cresce in modo progressivamente più rapido. Come una piccola palla di neve che, rotolando, diventa sempre più grande.

È vero, la volatilità può essere inquietante, soprattutto quando non si sa cosa possa nascondersi dietro l’angolo. Ma non tutte le sorprese sono negative. La stessa forza che spinge i mercati verso il basso può essere anche quella che li fa risalire con rapidità.

La storia dei mercati tende a premiare la pazienza. Un esempio recente è il rialzo improvviso del 10% dell’indice S&P 500, che raccoglie le principali società quotate negli Stati Uniti, nell’aprile 2025, arrivato dopo settimane di incertezza. Chi è rimasto investito ha beneficiato del rimbalzo; chi ha cercato rifugio nella sicurezza ha invece rinunciato a quegli effetti positivi.

Del resto, prevedere i movimenti di mercato è notoriamente difficile. Anche perdere solo alcune delle migliori giornate può avere un impatto significativo sulla performance complessiva, come mostra il grafico.

In altre parole, quando si investe, il capitale non cresce in modo lineare: cresce a scatti, per accumulo, proprio come una valanga. E interromperne il percorso può fare più danni che affrontare qualche tratto accidentato lungo la discesa.

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