La COP30 – la 30ª Conferenza delle Parti dell’ONU sul clima – si è tenuta dal 10 al 21 novembre a Belém, in Brasile, al margine dell’Amazzonia. Per chi investe, l’appuntamento non è soltanto diplomatico: è uno dei momenti in cui vengono ridefinite le priorità globali in materia di transizione energetica, finanza climatica e tutela degli ecosistemi. Temi che negli ultimi anni hanno avuto un impatto crescente sul comportamento delle imprese, sui flussi di capitale e sui rischi di portafoglio.
In un contesto dove i mercati sono stati dominati da dinamiche geopolitiche – con la sovraperformance di energia, difesa e oro – COP30 rappresenta un’occasione per valutare come si stanno evolvendo le politiche climatiche e quali implicazioni possono avere per chi costruisce portafogli sostenibili nel lungo periodo.
Finanza climatica: un driver centrale per i flussi globali
Per gli investitori istituzionali, la finanza climatica è ormai un pilastro strutturale. A COP30 il punto centrale è stato la definizione di un nuovo obiettivo globale di finanziamento, con la Baku to Belém Roadmap che punta a mobilitare fino a 1,3 trilioni di dollari l’anno entro il 2035 per sostenere i Paesi in via di sviluppo nelle politiche climatiche.
Per i mercati, la definizione di un nuovo quadro condiviso sulla finanza climatica ha implicazioni profonde. Stabilire standard comuni sui finanziamenti “verdi” significa offrire maggiore chiarezza a imprese e investitori, che possono così valutare meglio la qualità e la credibilità dei progetti legati alla transizione energetica. Una roadmap chiara potrebbe facilitare un aumento degli investimenti pubblico-privati in settori come le energie rinnovabili, le infrastrutture resilienti o le tecnologie a basse emissioni, accelerando lo sviluppo di filiere che hanno bisogno di capitali ingenti e continui.
Tuttavia, questo processo si regge su una condizione che spesso viene data per scontata: capire chi paga e in quale proporzione. È la principale fragilità del consenso che circonda gli obiettivi di finanza climatica. La capacità effettiva di mobilitare fino a 1,3 trilioni di dollari l’anno non dipende tanto dalla qualità tecnica della roadmap quanto dalla volontà politica ed economica dei Paesi sviluppati e delle istituzioni finanziarie internazionali di mettere sul tavolo capitali freschi e aggiuntivi, non semplicemente riciclati da impegni già esistenti o riallocati da altre voci di bilancio. In assenza di risorse reali, anche il migliore dei piani rischia di restare sulla carta.
Quando questi capitali arrivano davvero, però, l’effetto sui mercati è evidente. Le imprese con governance solide, reporting trasparente e piani di transizione credibili potrebbero beneficiarne per prime, perché risultano più pronte a intercettare nuovi flussi di investimento e più allineate alle aspettative regolatorie.
Per i portafogli ESG – dove la selezione degli strumenti si basa proprio sulla solidità degli obiettivi climatici – la distinzione tra impegni formali e impegni finanziati diventa quindi essenziale. In altre parole, la finanza climatica può creare opportunità reali solo se sostenuta da risorse reali: è questo che gli investitori di lungo periodo osservano con crescente attenzione.
Transizione energetica e traiettoria verso 1,5°C
A Belém i Paesi presenteranno nuovi piani di riduzione delle emissioni al 2035, pensati per riallineare l’economia globale al percorso previsto dagli Accordi di Parigi, che puntano a limitare il riscaldamento globale a +1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Se questi impegni venissero effettivamente tradotti in politiche concrete, i mercati si troverebbero di fronte a un’accelerazione della regolamentazione nei settori più carbon-intensivi e a un aumento strutturale della domanda di rinnovabili, tecnologie per l’efficienza energetica e infrastrutture resilienti. Crescerebbe anche il peso dei dati climatici, sempre più utilizzati per valutare rischi fisici e di transizione lungo le catene del valore.
Rimane una certa incertezza legata alla capacità dei Paesi sviluppati di sostenere questi piani con capitali adeguati, ma il quadro generale indica una direzione chiara: una transizione più rapida premierebbe le aziende con strategie credibili e governance solide.
Nel nostro approccio ESG questo significa favorire strumenti che incorporano obiettivi climatici misurabili, come gli indici CTB (Climate Transition Benchmark) e PAB (Paris-Aligned Benchmark). Si tratta di due tipologie di indici europei pensati per guidare gli investimenti lungo percorsi di decarbonizzazione: i CTB seguono una traiettoria di riduzione delle emissioni più graduale, mentre i PAB sono allineati direttamente agli obiettivi più stringenti degli Accordi di Parigi.
Allo stesso tempo, manteniamo un controllo attento del tracking error, cioè dello scostamento della performance dello strumento rispetto al suo indice di riferimento. È un modo per garantire che l’attenzione alla sostenibilità proceda di pari passo con l’efficienza finanziaria, evitando deviazioni eccessive che potrebbero penalizzare il rendimento complessivo.
Foreste, uso del suolo e biodiversità: il nuovo asse del rischio sistemico
La scelta di Belém porta naturalmente al centro dell’attenzione la gestione delle foreste tropicali e degli ecosistemi, un tema che per i mercati non è soltanto ambientale ma strutturale. La qualità del capitale naturale influisce infatti su elementi chiave dell’economia globale: dalla stabilità delle filiere agricole e industriali alla prevedibilità dei prezzi delle materie prime, fino alla capacità delle imprese di pianificare investimenti di lungo periodo in contesti climatici in evoluzione. Una gestione attenta degli ecosistemi può contribuire a ridurre volatilità, rafforzare le catene di fornitura e migliorare l’efficienza operativa delle aziende più esposte.
Per chi investe, questo significa riconoscere che la tutela delle risorse naturali non è un vincolo, ma un fattore che contribuisce alla resilienza economica.
Nei portafogli ESG di Moneyfarm integriamo queste considerazioni attraverso strumenti che adottano metriche solide sulla gestione del capitale naturale, favorendo imprese che mostrano strategie credibili e trasparenti in questo ambito. L’obiettivo è mantenere un’esposizione sostenibile senza rinunciare alla stabilità finanziaria di lungo termine.
Just Transition: collegare clima, lavoro e governance
Tra i temi che stanno assumendo sempre più rilevanza nelle conferenze sul clima c’è quello della transizione giusta, ovvero come accompagnare lavoratori, comunità e interi settori industriali nel passaggio verso un’economia meno dipendente dal carbonio. Dal punto di vista finanziario, questo approccio si traduce nella capacità delle aziende di gestire il cambiamento in modo ordinato e trasparente. Le imprese dotate di una governance solida e di piani di transizione credibili tendono a mostrare maggiore resilienza nel lungo periodo, mentre una buona gestione del capitale umano riduce l’esposizione a rischi operativi e reputazionali.
Per gli investitori orientati alla sostenibilità, questi elementi diventano parte integrante dell’analisi: contano la qualità della governance, la coerenza delle strategie e la capacità di pianificare nel medio-lungo termine.
Nei portafogli ESG di Moneyfarm questo principio si riflette nella selezione degli ETF, che avviene attraverso criteri chiari come la valutazione dei rating ESG di MSCI, uno dei principali provider globali di dati e analisi sulla sostenibilità delle aziende. I rating MSCI misurano il profilo ESG delle società sulla base di rischi e opportunità materiali, offrendo un riferimento affidabile e comparabile. A ciò affianchiamo l’esclusione di società coinvolte in controversie rilevanti, per mantenere la coerenza dell’esposizione complessiva.
Il contesto degli ultimi COP: cosa è cambiato
Negli ultimi tre anni le conferenze sul clima hanno mostrato un’evoluzione graduale nel modo in cui la comunità internazionale affronta il tema: dal definire nuovi obiettivi alla ricerca di meccanismi più concreti per attuarli. La COP28 del 2023 ha introdotto, per la prima volta, un riferimento diretto alla necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. La COP29, nel 2024, ha provato a rafforzare il contesto finanziario necessario per sostenere questo percorso, pur con progressi limitati. La COP30 si inserisce in questa continuità, concentrandosi sui passaggi tecnici e sulle condizioni per rendere più praticabili gli impegni già delineati.
Per gli investitori, questo passaggio ha un significato chiaro: la transizione climatica non è più un tema accessorio o una narrativa esterna ai mercati, ma un parametro strutturale nella valutazione del rischio e delle prospettive di lungo periodo delle imprese. La capacità di adattarsi alla nuova traiettoria climatica sta diventando parte integrante dell’analisi finanziaria.
COP30 e il ruolo dell’ESG: la nostra posizione
Negli ultimi anni il mercato ESG ha attraversato una fase di trasformazione significativa. Mentre i settori tradizionalmente esclusi – come energia e difesa – hanno messo a segno una forte sovraperformance, la normativa europea è diventata più articolata e richiede oggi maggiore attenzione nell’interpretazione dei requisiti.
All’interno dell’universo ESG si è inoltre ampliata la dispersione dei risultati: ETF con la stessa etichetta possono mostrare esposizioni e performance molto diverse tra loro. Nel frattempo, i flussi verso questi prodotti si sono rallentati, pur in un contesto di patrimonio complessivo in crescita.
In un quadro così eterogeneo, il nostro approccio è rimasto stabile. Continuiamo a selezionare gli ETF con criteri rigorosi, evitando strumenti che si definiscono ESG senza esserlo davvero. Prestiamo molta attenzione al tracking error per contenere scostamenti indesiderati dagli indici di mercato. Preferiamo strategie climatiche fondate su obiettivi misurabili, invece di seguire etichette o tendenze del momento, e manteniamo un confronto costante con gli emittenti per verificare la qualità e la coerenza dei dati utilizzati.
In questo senso, COP30 non rappresenta tanto un punto di svolta quanto un ulteriore segnale che i temi legati alla sostenibilità continueranno a influenzare nel tempo imprese, settori e dinamiche di mercato. Per chi investe, questo significa che i flussi verso la finanza climatica e la transizione energetica potrebbero consolidarsi, che le aziende con governance solide e piani credibili di decarbonizzazione potrebbero trovarsi in una posizione migliore nel medio-lungo periodo, e che l’universo ESG – proprio per la sua eterogeneità – richiede un monitoraggio professionale continuo.
Ricorda che, quando investi, il tuo capitale è a rischio. Il valore del tuo portafoglio con Moneyfarm può diminuire così come aumentare e potresti ricevere meno di quanto investito. Il trattamento fiscale dipende dalle tue circostanze individuali e potrebbe essere soggetto a modifiche in futuro.
Le proiezioni di rendimento non sono un indicatore affidabile delle performance future. Le opinioni espresse qui non devono essere interpretate come raccomandazioni, consigli o previsioni. Se non sei sicuro che investire sia la scelta giusta per te, ti consigliamo di consultare un consulente finanziario.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.





