Pharma sotto pressione: politica, prezzi e utili

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Questa settimana abbiamo voluto approfondire il settore farmaceutico globale. Negli ultimi 12 mesi il comparto ha vissuto un percorso turbolento. Il grafico qui sotto mostra l’andamento del settore farmaceutico globale rispetto all’azionario mondiale nel complesso. Da circa un anno il settore sottoperforma in modo significativo, più o meno da quando i mercati hanno iniziato a prezzare la possibilità di un secondo mandato Trump.

Cosa ha determinato questo movimento? Guardando agli utili attesi, non si osserva un cambiamento rilevante. Le aziende farmaceutiche, nel complesso, non hanno fatto crescere i propri utili alla stessa velocità dell’azionario globale, ma i risultati non sono stati negativi; anzi, dalla metà del 2024 la crescita degli utili sembra aver persino accelerato.

Le valutazioni raccontano però un’altra storia. Il rapporto Prezzo/Utili prospettico (forward P/E) dei titoli farmaceutici globali è sceso bruscamente nell’ultimo anno, mentre quello dell’azionario globale nel complesso è generalmente aumentato.

Come interpretarlo? Possiamo considerare il rapporto P/E prospettico come un voto di fiducia sul futuro. Se gli investitori sono ottimisti sulle prospettive di un’azienda o di un settore, questo si riflette spesso in multipli più elevati. Al contrario, se la fiducia cala, il P/E tende a ridursi ben prima che nei risultati societari emergano segnali concreti di difficoltà.

Oggi gli investitori appaiono pessimisti riguardo il settore farmaceutico. Non sono più disposti a pagare lo stesso multiplo per gli utili del pharma rispetto a un anno fa, anche se, a prima vista, tali utili non sono cambiati molto. Quanto è profondo questo pessimismo? Il grafico seguente mostra il confronto tra il P/E prospettico del settore farmaceutico e quello dell’azionario globale. Su questa metrica, il pharma globale si trova ai livelli più bassi degli ultimi 30 anni.

Quali sono le ragioni? Ci sono alcuni elementi da considerare. Il quadro riflette le pressioni politiche e regolamentari negli Stati Uniti. L’attuale amministrazione si è mostrata più scettica riguardo all’efficacia dei vaccini, riducendo i fondi per i vaccini a mRNA in particolare. Inoltre, gli Usa sembrano orientati a ridurre gli investimenti nella ricerca scientifica di base, con possibili impatti sulla scoperta di nuovi farmaci da parte delle multinazionali farmaceutiche.

Ancora più rilevante, però, è l’attenzione che l’amministrazione statunitense ha dedicato ai settori in cui il Paese presenta vulnerabilità nella catena di fornitura o dove i consumatori americani appaiono penalizzati. Da questo punto di vista, il pharma risulta particolarmente sotto pressione.

Sul fronte dei prezzi, i farmaci negli Usa risultano molto più cari rispetto alla media internazionale. Un report del Department of Health and Human Services del dicembre 2024 ha confrontato i prezzi dei farmaci da prescrizione tra gli Stati Uniti e i principali Paesi Ocse. È emerso che nel 2022 il prezzo medio per unità negli Usa era 5,5 volte superiore a quello dell’Ocse. Inoltre, gli Stati Uniti rappresentavano il 50% dei ricavi globali derivanti dai farmaci da prescrizione, ma solo il 13% dei volumi complessivi. 

Un secondo tema riguarda la produzione. Gli Usa importano una quota significativa di farmaci di base. Il grafico qui sotto, tratto da un’analisi di Torsten Slok (Apollo Global Management), mostra la quota di importazioni dalla Cina per alcuni prodotti chiave: ibuprofene, idrocortisone, paracetamolo, penicillina.

L’amministrazione ha seguito un copione già noto. A luglio il presidente Trump ha inviato lettere ai CEO delle principali case farmaceutiche chiedendo di abbassare i prezzi dei farmaci. In agosto ha poi annunciato l’intenzione di alzare in maniera drastica i dazi sui farmaci importati – fino al 250% – concedendo però al settore del tempo per aumentare la produzione interna.

Per gli investitori, il rischio è duplice: da un lato le aziende farmaceutiche potrebbero essere costrette a tagliare i prezzi, riducendo i margini; dall’altro potrebbero dover incrementare gli investimenti per costruire nuovi impianti negli Stati Uniti. Tutto ciò significherebbe meno liquidità disponibile per gli azionisti. Dal 2024, il mercato sta valutando questo rischio e ha penalizzato di conseguenza i titoli farmaceutici.

Una notizia interessante della scorsa settimana è stata l’annuncio di Eli Lilly, che ha deciso di raddoppiare il prezzo del suo farmaco GLP-1 Mountjaro nel Regno Unito, con l’intento dichiarato di “ridurre le disparità di prezzo rispetto ad altri Paesi sviluppati”. Ciò lascia intendere che le multinazionali del pharma potrebbero cercare di aumentare i prezzi fuori dagli Usa per compensare i possibili ribassi sul mercato americano. Se questa tendenza dovesse consolidarsi, potrebbe sostenere i profitti del settore, ma al tempo stesso alimentare l’inflazione dei servizi in altri Paesi sviluppati.

Dove ci porta tutto ciò? Ci sono alcuni spunti chiave. In primo luogo, è un promemoria di come le politiche governative possano avere un impatto significativo su settori specifici. Inoltre, gli investitori tendono ad avere una visione prospettica, declassando le aspettative di un settore ben prima che i risultati societari mostrino segnali concreti. Il sentiment verso il settore farmaceutico è oggi molto negativo.

Le multinazionali farmaceutiche cercheranno probabilmente di compensare i potenziali ribassi dei prezzi negli Usa alzando i prezzi altrove. Questo potrebbe sostenere i profitti più di quanto si attendano gli investitori.

Infine, è importante monitorare i piani di investimento (capex) delle aziende, in particolare se decideranno di ampliare gli impianti produttivi negli Stati Uniti per mitigare il rischio di dazi molto più elevati.

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