Nel gennaio 2013, un gruppo di ricchi e influenti uomini della finanza si ritrovò sulle Montagne Rocciose canadesi per un weekend tra le piste.
La baita che li accoglieva era dotata di tutto il necessario per un soggiorno confortevole: dalla sauna a una cantina zeppa di vini pregiati. Di buon mattino, gli ospiti venivano trasportati in elicottero per sciare su nevi vergini, un sogno per ogni amante della montagna. Al calare della sera, gli uomini si riunirono di fronte al caminetto, e il padrone di casa, Pete Briger – che con il suo hedge fund Fortress Capital gestiva all’epoca 30 miliardi di dollari – li invitò a condividere la loro migliore idea di investimento. Fu allora che uno degli invitati, con grande sorpresa di tutti, esclamò: “Bitcoin”. “E che cos’è?” chiese qualcuno. “La migliore moneta mai inventata”.
All’epoca, una moneta digitale si poteva acquistare per 20 dollari. Sono passati 12 anni: sembra un’era fa, ma era l’altroieri. Questo incontro, descritto nell’interessante epopea sulla nascita della valuta digitale scritta da Nathaniel Popper, segna l’inizio del flirt tra Wall Street e le criptovalute.
Nei mesi successivi, il fondo di Briger iniziò a investire nelle (poche) aziende che allora offrivano esposizione al Bitcoin, e, una volta esaurite le opzioni, cominciò ad acquistare direttamente la criptovaluta, contribuendo al rally del 2013 che per la prima volta fece conoscere il Bitcoin al grande pubblico.
Anche se spesso non viene riconosciuto, l’interesse della finanza – anche quella più istituzionale – è uno degli ingredienti chiave del successo di Bitcoin e delle criptovalute. Come si evince studiando i primi anni di storia del Bitcoin, Wall Street ha legittimato questa nuova tecnologia ben prima della Silicon Valley.
Facendo un salto avanti nel tempo, le criptovalute si trovano oggi in una fase di transizione e crescente accettazione da parte della comunità degli investitori istituzionali, che, superato lo scetticismo iniziale, stanno cominciando a valutare Bitcoin e altre criptovalute con parametri simili a quelli utilizzati per gli altri asset. Considerata la storia del Bitcoin e le premesse con cui questa tecnologia era stata concepita, una transizione così rapida sarebbe stata difficile da prevedere.
La nascita delle criptovalute
Anche molti dei sostenitori della prima ora probabilmente non ci avrebbero scommesso. E se non fossero diventati incredibilmente ricchi lungo il percorso, probabilmente non avrebbero nemmeno auspicato questo esito. Il Bitcoin, capostipite delle criptovalute, è infatti nato per distruggere il sistema finanziario, non per integrarsi a esso. È stato concepito come oggetto contro-culturale, sull’intersezione tutta americana tra punk, utopismo hippy, anarchia e capitalismo sfrenato. Il contesto era quello del 2009, con la grande crisi finanziaria, la sfiducia nelle banche e nelle istituzioni, e il desiderio di pensare a un sistema alternativo, incontrollabile.
I primi sostenitori, tra cui il misterioso fondatore Satoshi Nakamoto, erano accomunati dall’essere outsider techno-libertari e cypherpunk, una comunità che si scambiava visioni su oscuri forum online. Negli anni successivi, le criptovalute sono diventate anche lo strumento preferito di truffatori, contrabbandieri e cercatori di fortuna.
La filosofia ribelle delle origini è stata gradualmente soppiantata da un nuovo orientamento culturale. Per marcare la propria distanza dal mondo degli “old money”, alcuni degli animatori della comunità Bitcoin si sono dedicati a un’ostentazione pacchiana, cercando legittimazione attraverso uno stile di vita opulento e decadente. Le grandi conferenze Bitcoin dei primi anni somigliavano più a raduni rock identitari che a forum finanziari: macchine di lusso, cori da stadio, fiumi di alcol.
Pervase da questo pensiero debole, le criptovalute hanno progressivamente perso la loro carica antisistema, e la frattura con il mondo finanziario tradizionale si è andata ricomponendo, anche grazie all’azione di raccordo di figure chiave capaci di conciliare i due mondi. D’altronde, quando si tratta di fare soldi, ideologia e folklore contano poco.
Verso la legittimazione: svolte e endorsement istituzionali
Quando avviene il passaggio da controcultura a fenomeno mainstream? Un punto di svolta si può individuare tra il 2020 e il 2021. In quel biennio, una serie di endorsement da parte di grandi attori segnala che “le crypto” non sono più tabù nei salotti buoni della finanza. Una costellazione di notizie hanno rotto progressivamente l’embargo dei primi anni, rimarcando il graduale avvicinamento del sistema finanziario istituzionale al mondo delle criptovalute. Aziende quotate come Tesla, MicroStrategy e Square cominciarono a inserire Bitcoin nei propri bilanci. PayPal, colosso dei pagamenti digitali, nel 2020 annuncia l’integrazione delle criptovalute nei suoi wallet.
Nello stesso periodo anche banche tradizionali iniziano a offrire servizi cripto: ad esempio Morgan Stanley autorizza i propri clienti facoltosi ad allocare parte del portafoglio in fondi Bitcoin (marzo 2021), mentre BNY Mellon avvia il custodianship di asset digitali. Contestualmente, l’infrastruttura di mercato si rafforzava: piattaforme di trading più sicure, soluzioni di custodia assicurate, regolamenti anti-riciclaggio più chiari hanno aperto il campo affinché anche investitori più istituzionali potessero partecipare al mercato.
Il culmine di questa transizione si è avuto negli ultimi due anni, quando giganti della finanza tradizionale sono entrati nel mondo cripto. BlackRock, il più grande asset manager al mondo, ha richiesto e ottenuto nel giugno 2023 l’autorizzazione per un ETF in Bitcoin. La mossa di BlackRock ha incoraggiato il resto di Wall Street a salire a bordo, normalizzando l’idea che le criptovalute dovessero essere considerate un asset finanziario.
Nel frattempo Visa e Mastercard stringevano partnership per supportare pagamenti in criptovaluta, e persino alcuni fondi sovrani come il fondo di Singapore Temasek hanno iniziato a interessarsi.
Evoluzione della regolamentazione
Di pari passo alla sempre maggiore adozione da parte dei grandi player si è mossa l’evoluzione del quadro regolamentare. Parte dell’attrattiva originale delle criptovalute per un certo tipo di investitori era la pressoché totale mancanza di tutele e regolamentazioni, che rendeva, soprattutto nei primi anni, il mercato delle criptovalute caotico, manipolabile e, probabilmente, manipolato, come la borsa degli anni ruggenti. Le tutele per gli investitori scarseggiavano così come gli standard sul controllo dei capitali. Pur restando alcuni aspetti ancora in fase di definizione, il quadro della regolamentazione sta rapidamente evolvendo, creando uno scenario più favorevole per gli investitori istituzionali per entrare nel mercato.
L’Unione Europea in particolare si è mossa con decisione, approvando nel 2023 il regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets), primo quadro normativo unitario al mondo per le cripto-attività. La legislazione impone che qualsiasi società che emetta, negozi o custodisca criptovalute nell’UE debba ottenere una licenza; introduce obblighi di trasparenza e riserve per gli emittenti di stablecoin; e dal gennaio 2026 applicherà nuove norme antiriciclaggio. Anche negli Stati Uniti abbiamo visto i primi passi per la regolamentazione già prima dell’elezione di Trump, che potrebbe portare le criptovalute verso una nuovo livello di istituzionalizzazione.
Nei primi anni, a livello federale la SEC e altre agenzie avevano una postura negativa contro le criptovalute. Ma a partire dal 2022 c’è stato un cambio di direzione con l’ordine esecutivo del Presidente Biden che chiedeva alle agenzie di studiare un framework per gli asset digitali. Il Regno Unito nel 2023 ha fatto approvare il Financial Services and Markets Act che riguarda anche le stablecoin e crypto-asset, con l’obiettivo di fare di Londra un hub di finanza digitale regolamentata. Il quadro generale generale vede dunque una progressiva normalizzazione normativa che sta accompagnando il mondo cripto dagli eccessi degli albori fino alla maturazione definitiva.
Trump e l’America come CriptoNazione
Un nuovo capitolo della storia delle cripto potrebbe aprirsi in seguito all’elezione di Donald Trump. Anche convinto dalle numerose donazioni arrivate dall’industria delle criptovalute, Trump in campagna elettorale ha promesso senza mezzi termini che mira a diventare il crypto-president. A gennaio 2025, come una delle sue prime iniziative, il neo eletto presidente ha firmato un ordine esecutivo, secondo alcuni commentatori dalla portata storica, volto a legittimare e integrare le criptovalute nel sistema finanziario Usa. L’ordine, dal titolo Strengthening American Leadership in Digital Financial Technology, stabilisce una task force presidenziale incaricata di elaborare un quadro regolatorio federale per i digital asset.
Il mandato sarebbe quello di valutare addirittura la creazione di una riserva strategica nazionale per gli stablecoin, un po’ come le riserve auree che sono conservate a Fort Knox, ma per le criptovalute. In pratica la Casa Bianca ha riunito attorno a un tavolo il Tesoro, la SEC, la Federal Reserve e altre agenzie per coordinare la regolamentazione crypto, con l’obiettivo dichiarato di “assicurare la leadership degli Stati Uniti nell’economia degli asset digitali”.
Contestualmente, l’ordine esecutivo blocca qualsiasi iniziativa di banca centrale digitale (CBDC) da parte della Fed oltre alla revoca di alcune linee guida restrittive emanate dalla precedente amministrazione. Il messaggio politico è chiaro: l’amministrazione Usa ha dato il segnale di voler portare le criptovalute al centro del sistema finanziario americano, un passaggio che garantirebbe ulteriore legittimazione a questi asset.
Per gestire questa transizione, Trump sta lavorando con insider dell’industria come il venture capitalist e miliardario tech David Sacks, che nell’inedito ruolo di White House Crypto Czar (il singolare e altisonante titolo appare su documenti pubblicati dalla casa bianca) avrà il compito “interfacciarsi con l’industria e guidare le politiche digitali”. In altre parole sarà il rappresentante della lobby delle cripto dentro la stanza dei bottoni.
Sotto la sua regia, la Casa Bianca ha organizzato il primo Crypto Summit con i vertici delle maggiori aziende del settore (marzo 2025). Inoltre, sempre nel marzo 2025, Trump ha annunciato la creazione di una Strategic Bitcoin Reserve nazionale: un fondo di riserva in Bitcoin alimentato inizialmente dalle monete sequestrate dal governo in procedimenti giudiziari – ad esempio, confische legate a reati informatici.
Anche se per il momento non sono arrivati acquisti, e al netto della volatilità delle decisioni di Trump, se anche solo una parte della direzione imposta dal presidente verrà attuata è difficile credere che i suoi successori invertiranno completamente la rotta. Sembra ragionevole pensare che alcune delle iniziative prese dal nuovo presidente marchino dei crocevia storici per quanto riguarda l’adozione delle criptovalute.
L‘evoluzione di un nuova asset class
Tutte queste novità, insieme alla crescente attenzione da parte degli investitori – anche istituzionali – confermano come le criptovalute, in particolare quelle più stabili, stiano consolidando il proprio ruolo come asset class affidabile, sempre più presa in considerazione nelle scelte di asset allocation.
La capitalizzazione complessiva di mercato di tutte le cripto ha sfiorato i 3.9 trilioni di dollari alla fine dello scorso anno. Rispetto ai valori attuali di altre asset class come l’azionario, con una capitalizzazione di circa 100 trilioni di dollari, questi numeri non sembrano altissimi. Ma se paragonati a certi segmenti che pure fanno parte in pianta stabile dei portafogli degli investitori come i bond aziendali ad alto rendimento (con un market cap stimato tra i 3.000 e i 4.000 miliardi) o anche dell’oro (21.000 miliardi) la differenza non sembra così evidente.
Con la maturazione del mercato, sembra sempre più chiaro che si stiano ormai consolidando dei casi d’uso per le criptovalute. Warren Buffett in una famosa intervista del 2022 dichiarò: “I Bitcoin non hanno valore, non producono nulla. Un appartamento produce affitti, un campo coltivato produce cibo per avere valore, un asset deve produrre qualcosa per qualcuno”. Se questo ragionamento può essere valido per un value investor come Warren Buffett, riteniamo che le criptovalute abbiano cominciato a mostrare con consistenza dei casi d’uso abbastanza chiari nei prossimi anni.
Il primo fra tutti è quello di materia prima digitale che caratterizza il Bitcoin, utilizzata come riserva di valore riconosciuta. Con il mercato dell’oro, le valute digitali hanno alcuni aspetti chiave in comune: la scarsità e un processo di produzione costoso. Certo, con i Bitcoin non si possono costruire i bracciali e la percezione del valore non si è codificata nel codice culturale per migliaia di anni. Tuttavia, rispetto all’oro i Bitcoin si possono conservare, trasferire e ripartire in modo più semplice.
Altri casi d’uso, come quello dei pagamenti o quello di asset difensivo in grado di offrire opportunità interessanti nelle fasi di mercato più complesse, sono ancora in fase di sviluppo, ma continuano ad attrarre crescente attenzione. L’evoluzione del mercato e l’interesse sempre più ampio sia da parte degli investitori retail che istituzionali confermano come le criptovalute abbiano ormai superato lo stadio di semplice tecnologia emergente, ritagliandosi un ruolo sempre più centrale nel panorama finanziario globale. Un’evoluzione che merita di essere osservata – e valutata – con lo stesso interesse riservato alle asset class più consolidate.
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