Chi scalda l’Europa? Guerra in Ucraina e rischio energetico

Con l’esercito Russo e Ucraino ingaggiati in un’estenuante guerra di trincea, l’Europa sta per entrare nel suo secondo inverno senza il gas russo. Esattamente un anno fa, alle soglie di una stagione fredda rivelatasi più calda del previsto, le preoccupazioni riguardavano i costi e la sicurezza energetica, tanto che quello di una crisi energetica era considerata una delle principali incognite per il valore delle azioni europee. Con un anno in più per assorbire lo choc della guerra in Ucraina, la situazione è cambiata? E quali sono i rischi per l’economia e gli investimenti in Europa?

Tagliare l’offerta

Per oltre un decennio, i gasdotti russi sono stati la principale fonte di gas importato per l’Europa. Gli appassionati di calcio ricorderanno il logo di Gazprom, la principale società energetica russa, apparire all’inizio di ogni partita della Champions League. Una sponsorizzazione ad alto valore simbolico, quasi a ricordare a milioni di Europei chi fosse a tenere accesi i riflettori degli stadi del Vecchio Continente. Prima dell’invasione dell’Ucraina la percentuale del gas russo oscillava tra il 40% e il 50% delle importazioni totali. Nel mix energetico Europeo il gas genera intorno al 20% dell’elettricità generata, ma la percentuale sale al 32% se si considera solo l’uso domestico.

In seguito all’invasione dell’Ucraina, la fornitura di gas dalla Russia è diventata un problema politico ed economico. Per sostituire la fornitura di Mosca, i Paesi europei da una parte hanno ridotto la domanda di gas, dall’altra hanno cercato fonti di approvvigionamento alternative. L’approccio ha portato i suoi frutti.

Partiamo dalla riduzione della domanda di gas per la generazione di energia, che è diminuita del 17% nel secondo trimestre del 2023 rispetto alla media del periodo 2019-2021. Secondo Bruegel, questo risultato è stato ottenuto mettendo in campo misure di efficienza energetica e puntando su fonti di energia alternative, oltre che grazie all’inverno “caldo” dell’anno scorso. Il calo della domanda ha reso più semplice l’affrancamento dalle forniture russe, ma non è stato il cuore della strategia Europea.

Nell’ambito di importazioni in calo, quelle provenienti dalla Russia sono state ridotte in modo significativo, anche se non eliminate del tutto. Nel secondo trimestre del 2023 la Russia ha rappresentato solo il 14,6% delle importazioni di gas naturale dell’Unione Europea. Solo nell’ultimo anno, la quantità di gas importata dalla Russia è più che dimezzata, attestandosi a 2,5 milioni di tonnellate, contro i 5,1 milioni dello stesso periodo del 2022.

Il fatto che l’Europa continui a finanziare il governo russo aggiunge una dimensione di complessità al conflitto (e secondo molti è anche una delle ragioni per cui alla fine si lavorerà per una soluzione che accolga almeno in parte le pretese della Russia). Ma a guardare questi dati sembrerebbe che l’Europa si stia svincolando dal ricatto energetico della Russia, mettendo in sicurezza la propria catena di approvvigionamento.

Dove prendiamo il gas?

Il cambio nella geografia energetica Europea non è stato tuttavia indolore e si è accompagnato a costi considerevoli. Il buco creato dalla sostituzione del gas russo è stato coperto in parte da una diminuzione della domanda, in parte attraverso l’utilizzo di gas proveniente da altre fonti. In particolare è stata notevole la crescita del gas naturale liquefatto (LNG) che ha e avrà un ruolo sempre più strategico nei piani energetici dei paesi europei.

La prima fonte di approvvigionamento per il gas liquefatto sono gli Stati Uniti. Le importazioni di gas dagli Stati Uniti hanno raggiunto il picco superando i 60 miliardi di metri cubi l’anno scorso, una crescita esponenziale se si considera che la fornitura in arrivo dagli Usa era praticamente irrilevante solo fino a pochi anni fa. Il problema è che questo tipo di forniture sono più volatili e più costose di quelle erogate via terra. Per essere trasportato via nave il gas deve essere stoccato a -160 gradi e trasformato in liquido. La complessità del processo di trasporto garantisce grande potere sul prezzo alle società che si occupano di trasportare il gas. Il risultato è che LNG americano viene venduto in Europa a un prezzo fino quattro volte superiore agli Stati Uniti, Inoltre il mercato di questa materia prima, non essendo vincolato dalle infrastrutture, è soggetto ad attività speculative e oscillazioni sul prezzo che possono essere causate da problematiche anche apparentemente scollegate nella catena di approvvigionamento. Appena il mese scorso, la notizia di uno sciopero di lavoratori di un progetto di gas in Australia ha scatenato un impennata del prezzo dei contratti future di oltre il 40% (prezzo relativo al Dutch Title Transfer Facility (TTF) hub, un benchmark per il prezzo del gas).

A complicare ulteriormente la situazione è il conflitto in medio oriente che potrebbe portare ulteriore volatilità sul mercato delle materie prime. Per tutelarsi l’Europa ha accumulato riserve record. Alla fine dell’estate, le strutture di stoccaggio del gas erano al 90% della capacità, due mesi in anticipo rispetto al piano messo a punto dall’UE. Ciò permette di scongiurare il rischio di una crisi energetica. Ovvero una situazione in cui il vecchio continente si trova costretto a chiudere i rubinetti. Un’analisi di Brugel stima che anche in caso di completo stop delle importazioni dalla Russia e di un inverno particolarmente freddo il vecchio continente arriverebbe al 2024 con ancora il 20% circa delle scorte intatte.

Questi dati rassicurano sul fatto che l’Europa sia riuscita a mettere in sicurezza la sua riserva di energia. Ciò è una buona notizia per quanto riguarda il prezzo dell’azionario europeo perché il rischio di una crisi energetica è senza dubbio meno rilevante di come lo era alle soglie dell’inverno del 2022, quando l’incertezza teneva a freno la performance di questa asset class, che continua ad avere valutazioni invitanti.

Restano da valutare gli effetti di un costo dell’energia che continua a restare alto per imprese e famiglie (con i costi delle bollette che tardano ancora ad adeguarsi ai minori costi di importazione). Prendendo un’ottica di più lungo termine si potrebbe argomentare che la crisi scatenata dalla Russia ha portato l’Europa a velocizzare il proprio processo di transizione verso la sicurezza e indipendenza energetica (si veda la forte crescita delle energie alternative). Ciò potrebbe portare dei sicuri benefici all’economia del vecchio continente.

Le misure prese dai Paesi Europei

Ma come stanno rispondendo i principali Paesi europei alla crisi? In attesa che gli ampi investimenti in energia rinnovabile abbiano un impatto, l’Italia guarda all’Africa e al Medio Oriente sperando di diventare un crocevia per l’arrivo di gas naturale. Sono già stati messi in moto gli investimenti per aumentare la capacità di trattamento e stoccaggio del Gas. L’obiettivo delineato in quello che il governo ha definito come il “piano Mattei”,è trasformare l’Italia in un hub al centro del mediterraneo per le forniture in arrivo dall’Africa e dal Medio Oriente. A fianco a questa strategia di medio termine anche il controllo dei consumi (messo in atto anche attraverso una serie di comportamenti amministrativi e privati). Il piano di contenimento predisposto dal governo Draghi è stato un successo: In Italia, nel 2022, la discesa dei consumi è stata del 9,8% rispetto al 2021. Tra settembre 2022 e febbraio 2023, in particolare, la domanda di gas è calata del 20% rispetto allo stesso periodo dei tre anni precedenti (oltre i target fissati dal governo).

Prima della guerra in Ucraina, la Germania otteneva fino a metà del suo gas tramite gasdotti dalla Russia. Per sostituire l’ammanco, Berlino ha aumentato le importazioni di gas attraverso gasdotti dai Paesi Bassi e dalla Norvegia, e sviluppato tre nuovi terminali di importazione di LNG e nuovi terminali stanno venendo costruiti per aumentare le capacità ricettive.

Poco dopo l’invasione, la più grande economia europea ha rapidamente elaborato un piano di emergenza. Il piano prevedeva che le vaste strutture di stoccaggio del gas del paese – le più grandi in Europa – fossero al 65% di capacità entro agosto, all’80% entro ottobre e al 90% entro novembre.

La Germania ha anche messo in campo delle misure di efficienza energetica. L’obiettivo è ridurre l’uso del gas del 20%. Le normative agiscono sia a livello di consumo privato sia per quanto riguarda le imprese. Le aziende con un alto consumo energetico sono obbligate a implementare piccole misure di efficienza con un periodo di ammortamento inferiore a tre anni. Queste misure non hanno conseguenze a lungo termine ma hanno già cominciato a generare dei risultati: Germania ha utilizzato quasi il 15% di gas naturale in meno lo scorso anno, aiutata da un inverno relativamente mite.

Anche la Polonia, che come Italia e Germania dipendeva dalla Russia per la maggior parte delle proprie importazioni di gas, sta puntando sull’aumento della propria capacità di stoccaggio di gas liquefatto.

La Francia è storicamente meno dipendente dal gas grazie all’ampio consumo di energia nucleare che soddisfa il 40% del fabbisogno nazionale. Inoltre Parigi acquistava solo il 17% del suo gas dalla Russia prima della guerra.

Per aumentare la sicurezza energetica in un contesto volatile, il governo francese ha messo in atto misure per ridurre il consumo di energia del paese del 10% rispetto al 2019 entro l’anno prossimo, e del 40% entro il 2030. Una nuova centrale per lo stoccaggio dell’LNG è in costruzione in Normandia. Meno coinvolti direttamente dalla situazione in Ucraina il Regno Unito e la Spagna, che hanno comunque dovuto fare i conti con la crescita dei costi energetici.

Focus sui portafogli

Secondo Giorgio Broggi, quantitative analyst del team di asset allocation di Moneyfarm: “Nel complesso, la situazione fa molta meno paura dell’anno scorso, quando avevamo addirittura ridotto tatticamente l’esposizione all’azionario Europeo proprio spinti dai rischi legati alla crisi energetica. Le riserve sono piene e i Paesi Europei sembrano molto più pronti a sopportare anche scenari negativi come un taglio completo della fornitura Russa di gas naturale, che comunque rimane un caso estremo.

Rimane comunque molto difficile capire dove il prezzo delle principali materie energetiche andrà nei prossimi mesi, anche se riteniamo che ci siano due ragioni principali per mantenere un’esposizione (anche più alta rispetto al passato) nei portafogli (classici). Da una parte, essa garantisce una protezione da eventuali peggioramenti nella situazione in Ucraina e da una potenziale escalation della guerra tra Hamas e Israele. Dall’altra, continua fornisce vantaggi enormi in termini di diversificazione, mantenendo delle difese alte a contesti di mercato simili a quelli del 2022. In altre parole, se nuove (sebbene improbabili) ondate di inflazione dovessero abbattersi sui mercati, colpendo sia azionario sia obbligazionario, riteniamo che, in linea con la storia, il comparto delle materie prime potrebbe fare bene.”

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