Italia: tra debito pubblico e BTP, facciamo il punto della situazione

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Come ogni anno, all’arrivo dell’autunno in Italia si torna a parlare di manovra. In un contesto di mercato in cui i tassi dei titoli di Stato a livello globale continuano ad aumentare, soprattutto sulla parte lunga della curva, sembra quasi normale che si torni quindi anche a parlare di spread. I BTP hanno infatti visto il tasso di interesse alzarsi, più di quanto abbiano fatto le proprie controparti Europee, con il livello del decennale che ha superato il 4,9%, un livello record nell’ultimo decennio.

Tassi sulla carta così promettenti stanno attirando gli investitori italiani. L’asta dell’ultima emissione speciale del Tesoro, il BTP valore, ha portato nelle casse dello Stato la cifra record di 17 miliardi di euro, di cui il 79% è andato a investitori retail. Tuttavia, con le prime speculazioni sullo sforamento del deficit, il rischio che la benevolenza degli investitori istituzionali cambi, portando lo spread a salire ancor di più, è cresciuto. Quanto è seria la situazione? E soprattutto, in un contesto del genere, acquistare BTP è una scelta lungimirante? In questo articolo proveremo a rispondere a queste domande.

Perché siamo tornati a parlare di spread?

Proprio le ultime dichiarazioni sullo sforamento del tetto al deficit del 3% hanno riportato lo spread al centro dell’attenzione dei mercati. Come altre volte in passato, questa dinamica cattura le preoccupazioni riguardo lo stato dei conti pubblici italiani, preoccupazioni che possono diventare rischi concreti qualora la sfiducia si diffondesse e il livello dello spread dovesse andare fuori controllo.

Nelle ultime settimane il rendimento dei Buoni del Tesoro Pluriennali ha raggiunto un livello record negli ultimi 10 anni: come mai? La spiegazione semplice (e semplicistica) è che l’Italia ha un debito troppo alto e vuole spendere troppo, mettendo al rischio la tenuta dei conti pubblici e di conseguenza la fiducia degli investitori. Questo fa alzare lo spread, che è il premio, ovvero l’extra rendimento, richiesto dal mercato per acquistare i bond italiani rispetto a quelli tedeschi (considerati di fatto privi di rischio). In un contesto dove tutti i rendimenti di tutte le emissioni globali vanno verso l’alto, il rendimento dei BTP italiani a lungo termine arriva a sfiorare il 5%.

Sicuramente anche i non esperti di materie politiche e finanziarie saranno familiari con questo tipo di narrativa. Ma si tratta di una versione dei fatti aderente alla realtà? Sì e no.

No, perché la realtà è molto più complessa e il rischio bancarotta per l’Italia rimane minimo, e i conti pubblici sono lontani dal collasso. Sì, perché spesso gli schemi di analisi degli investitori sono piu’ sensibili di quanto si possa pensare. Coloro che devono gestire miliardi di euro e si trovano a dover acquistare titoli di Stato potendo scegliere tra decine di emissioni diverse, ponderano minuziosamente ogni fattore di rischio e rendimento potenziale.

Scostamenti inattesi anche minimi contano e possono portare paesi sulle montagne russe dello spread. E’ essenziale tenere a mente queste meccaniche, sia quando ci troviamo a gestire il denaro per conto dei nostri clienti, sia se siamo degli investitori comuni tentati dalla cedola invitante dell’ultima emissione di BTP.

Effetto stigma

Inoltre, per l’Italia, la storia è purtroppo ancora più complicata. Nei mercati finanziari esiste il cosiddetto effetto stigma. Questo vuol dire che il soggetto che viene percepito come maggiormente esposto al rischio sconta per primo e in modo proporzionalmente più alto un cambio nel sentiment degli investitori.

Un’analisi dell’andamento dello spread con i Bund tedeschi di una serie di Paesi Europei con debito elevato suggerisce che l’Italia paghi generalmente di più ogni volta che la percezione del rischio finanziario nell’Eurozona aumenta. Fino al 2016 il rendimento dei titoli di Stato Italiani (linea azzurra) era in linea con quelli spagnoli. Ma 7 anni fa c’è stato un discostamento e adesso il rendimento dei titoli italiani viaggia di pari passo (se non oltre) con quello dei titoli greci. Insomma, gli altri Paesi Europei ad alto debito sono riusciti a convincere i mercati negli ultimi anni, lasciandoci più esposti a ondate di scetticismo o ad aumenti del rischio percepito.

La congiuntura sfavorevole e problemi strutturali

Questo aumento della percezione del rischio sembra stia avvenendo in questi mesi, dopo due anni in cui lo spread sui titoli italiani è stato contenuto. A essere cambiato è il contesto internazionale, sia da un punto di vista finanziario, sia da un punto di vista politico. La situazione di emergenza del Covid aveva nascosto sotto il tappeto le fragilità del sistema.

Possiamo tracciare un linea di continuità con le problematiche che accompagnano la politica economica italiana dalla crisi del debito del 2011. La pace fiscale e finanziaria della pandemia (con quantitative easing, tassi ultra bassi e sospensione delle regole europee) è stata solo una parentesi.

Debito in aumento

Il Covid è stato un periodo di grandi sbilanciamenti, con tutte le principali metriche macroeconomiche che hanno fatto registrare valori anomali rispetto alla storia. Il debito pubblico (misurato come relazione tra debito e Pil) aumenta o diminuisce come risultato di numerosi fattori: inflazione, crescita economica, spesa pubblica, livello dei tassi di interesse. Ora che l’andamento di questi fattori si sta normalizzando, con l’inflazione che sta tornando sotto controllo e Il Pil a livelli pre Covid: possiamo fare un po’ di conti per capire quanto questi anni sono costati alle casse del Paese.

Alla fine del 2019 il rapporto debito/Pil era al 134,8%. Nel 2022, secondo la nota di aggiornamento al Def, il rapporto debito/Pil si attesta al 141,7%. Anche se il dato è in calo rispetto ai picchi raggiunti nel 2020 e nel 2021, il debito pubblico italiano è aumentato di quasi 7 punti di Pil. Il rapporto deficit/PIL ha sfiorato il 10% nel 2020, per poi scendere all’8% nel 2021 (anno di crescita positiva), e al 5,3% quest’anno.

Fare debito non è negativo di per sé, ma quello che spaventa i mercati è l’aumento strutturale, che non prevede un rientro nel medio termine a livelli pre-pandemia. Le proiezioni dei prossimi anni, che pur assumendo un costo del debito stabile, una crescita positiva e una stretta fiscale che riporti il deficit entro il 3% per il 2026, vedono il debito/Pil scendere di un solo punto da qui al 2026.

Le agenzie di rating restano a guardare. Per il momento il debito italiano ha evitato di essere declassato come spazzatura. Un peggioramento della situazione dei conti pubblici potrebbe portare a rivedere questa decisione, con in particolare l’agenzia Moody’s che considera l’outlook negativo. Un declassamento avrebbe conseguenze molto severe, perché metterebbe il debito italiano nella categoria “junk bond”, con conseguenze pesanti sull’investibilità da parte degli investitori istituzionali e, quindi, sul livello dello spread.

Ritorno delle regole europee

Ad aumentare la complessità della situazione inoltre è il fatto che qualsiasi decisione di politica fiscale, da qui in avanti, dovrà essere negoziata con l’Europa. I tempi della pace fiscale sono ormai lontani. D’ora in poi ogni legge di bilancio sarà accompagnata da un negoziato con Bruxelles, con relativa volatilità sul mercato dei BTP. Fino a pochi anni fa questa era la normalità e non vediamo ragione per cui non dovrebbe continuare ad esserlo.

Crescita in rallentamento

Ad aumentare il rischio spread pesa inoltre il tema della crescita, che come abbiamo visto diventa un elemento necessario per la stabilità del debito italiano di medio termine. Il Fondo Monetario Internazionale ha recentemente rivisto al ribasso le stime per l’italia. Per quanto le previsioni del Fondo vadano prese con le pinze, esse segnalano il sentimento generale riguardo al rallentamento dell’economia globale.

Il Pil crescerà dello 0,7%, tanto nel 2023 quanto il prossimo anno. La revisione delle stime precedenti è di quattro decimali per l’anno corrente e di due decimali per il 2024. Numeri ben al di sotto di quelli contenuti nel Def presentato dal Tesoro a fine settembre. Un’ulteriore incognita potrebbe poi arrivare dalla Germania, la cui recessione potrebbe entrare nel vivo da qui alla fine dell’anno.

Quando la crescita rallenta l’effetto sulla sostenibilità percepita del debito pubblico è piuttosto intuitiva: l’ammontare del debito viene misurato come debito/Pil e il livello di spesa pubblica assoluta. Se quindi il Pil aumenta queste proporzioni scendono, se il Pil si ferma o diminuisce queste proporzioni aumentano.

Tassi più alti, più a lungo

Infine, un ulteriore elemento di instabilità è dato dal livello generale dei tassi di interesse a livello globale. Le banche centrali potrebbero optare per mantenere i tassi di interesse più alti per più a lungo. Per un Paese il cui spread è il più alto in Europa un aumento della base crea una pressione ulteriore sul rendimento dei titoli di stato italiani, oltre a rendere più costoso e sostenibile il finanziamento del debito.

Rischio Italia o rischio volatilità?

Cosa possiamo portarci a casa da questa analisi? Lo scopo di questo articolo non è quello di creare allarmismo. Non riteniamo che l’Italia sia sull’orlo della bancarotta o del default, ma crediamo che tutti questi fattori di rischio debbano essere presi in considerazione quando si operano le scelte d’investimento. Abbiamo visto come l’aumento delle cedole stia accrescendo l’appetito dei risparmiatori per Bot e BTP. Ma ciò che spesso viene sottovalutato dagli investitori è che aumenti continui del rendimento dei titoli di stato hanno l’effetto di far scendere di prezzo quelli già emessi, portando a perdite anche ingenti in conto capitale. Perdite che non si materializzano se si tiene l’approccio del cassettista, vale a dire se si porta a scadenza l’investimento. Ma che vanno comunque opportunamente valutate.

L’imprevedibilità dello spread, a causa di fattori di rischio strutturali, si può accompagnare quindi a una volatilità piuttosto marcata sul valore del BTP, che come mostra il grafico può arrivare anche a perdere anche oltre il 10%, presentando un profilo di rischio superiore a emissioni comparabili.

Non si vogliono demonizzare i titoli di Stato italiani, che sono peraltro presenti nei nostri portafogli, su tutte le nostre linee di investimento e con diverse scadenze; ma sono appunto inseriti all’interno di una strategia ben diversificata, funzionale non solo a ricercare rendimenti, ma anche a gestire la volatilità complessiva.

Per un investitore che vive in Italia, lavora o percepisce reddito da pensione in Italia, magari ha una casa di proprietà in Italia, investire esclusivamente sull’Italia porterebbe a una fortissima concentrazione del rischio.

Se il Bot è visto invece come alternativa di breve termine, il suo rendimento ad un anno è oggi allineato al rendimento annuo lordo a scadenza attualmente garantito da strumenti meno volatili (come gli investimenti nei mercati monetari).

A differenza di essi, la singola emissione obbligazionaria reagisce negativamente a nuovi e futuri rialzi dei tassi (scenario possibile per tutte le ragioni che abbiamo elencato in questo articolo).

Insomma, se si è alla ricerca di un rendimento attraente con ottica di breve termine esistono oggi alternative a nostro parere meno rischiose, mentre se si vuole investire con obiettivi di lungo termine la strada della diversificazione (sia per asset class, sia geografica) resta la via maestra.
Giorgio Broggi è entrato a far parte di Moneyfarm come analista quantitativo nel dicembre 2021 ed è membro del Comitato Investimenti. Prima di entrare a far parte della società, ha lavorato presso Barclays Wealth Management e S&P Market Intelligence, acquisendo esperienza nella ricerca di fondi e negli investimenti ESG. Prima di iniziare la sua vita professionale, ha completato con successo una doppia laurea presso Eada e EDHEC Business School, ottenendo due Master in Finanza e specializzandosi in factor investing e costruzione di portafogli. È un charterholder CFA.

 

 

 

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*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.