Nel 2019 l’Italia ha sottoscritto con la Cina il memorandum di intesa per accordi legati alla nuova Via della Seta e alla Belt and Road Initiative (BRI).
Da allora si sono succeduti diversi governi nel nostro Paese, fino ad arrivare a quello presieduto dalla Premier Giorgia Meloni. Cambiamenti ci sono stati anche dal punto di vista politico: si è modificato lo scacchiere dei principali paesi occidentali e, in particolar modo, negli Stati Uniti Joe Biden ha preso le redini della principale economia del mondo dopo Donald Trump e sono cambiati i rapporti con la Cina da parte degli Usa, ancor più dopo le mancate prese di posizione del Dragone a seguito dell’invasione Russia in Ucraina. Le due superpotenze nel 2023 si sono scontrate sul campo dei chip e dei semiconduttori e Biden, nei mesi scorsi, a testimoniare il livello di tensione, ha definito il Presidente Cinese, Xi Jinping, un dittatore.
E’ dunque in questo scenario geopolitico che si collocano le anticipazioni di stampa sulla decisione dell’Italia di non rinnovare il Memorandum sulla Via della Seta. Da ricordare come il nostro Paese fu l’unico del G7 ad aver sottoscritto l’intesa nel 2019, una decisione in contrasto con la linea che il blocco NATO vuole avere nei confronti della Cina.
Seppur la decisione di non rinnovare l’accordo abbia un forte peso dal punto di vista politico, dal punto di vista economico è lecito aspettarsi ripercussioni? E se sì, di che tipo?
La risposta non è semplice essendo il Memorandum un’intesa orientata allo sviluppo di progetti commerciali e infrastrutturali di lungo periodo di difficile stima dal punto di vista economico. L’esercizio più utile può quindi consistere nel guardare indietro andando ad analizzare se e quanto l’Italia ne abbia beneficiato negli ultimi quattro anni.
Come si può vedere dalla Figura 1, l’import dalla Cina è aumentato significativamente a partire dal 2019 facendo registrare rialzi importanti soprattutto nel 2021, con il trend del 2023 sensibilmente al rialzo. D’altro canto l’export dei prodotti italiani in Cina è rimasto sostanzialmente invariato nella stessa finestra temporale. Questa dinamica gioca sicuramente a favore del Dragone che mostra, rispetto al nostro Paese, un surplus per quel che riguarda la bilancia commerciale (export meno import).
Confrontando invece le bilance commerciali di Italia, Francia e Germania nello stesso arco temporale è interessante andare ad analizzare le differenze per vedere se e come il Memorandum sulla Via della Seta abbia influito rispetto ad altri paesi dell’Ue, che non hanno firmato il documento con la Cina.
Come si può vedere dalla Figura 2, utilizzando i dati del National Bureau of Statistics of China dei “trade balance”, dal punto di vista cinese si nota come le bilance commerciali di Italia e Francia registrano un andamento abbastanza stabile nel periodo in questione, mentre quella tedesca presenta una volatilità maggiore. Nel periodo tra il 2021 e il 2022 si può notare inoltre come la bilancia commerciale della Germania vada in “territorio negativo” a causa dell’aumento dell’export verso la Cina, dinamica invece non mostrata da Francia e, soprattutto, dall’Italia nonostante la sottoscrizione del Memorandum.
Da questo punto di vista si potrebbe affermare che il BRI non ha avuto impatti significativi per il nostro Paese. Si può invece dire che da quando è iniziata questa “collaborazione” tramite la sottoscrizione del Memorandum, sia stata la Cina il paese che ha realizzato i maggiori benefici, oltre che sottolineare come questo non sia servito nemmeno a sviluppare una relazione privilegiata dal punto di vista commerciale. A supporto di questa tesi ci sono i dati degli FDI (Foreign Direct Investment) pubblicati da Rhodium Group che evidenziano come gli investimenti cinesi nel nostro Paese sono calati drasticamente negli ultimi anni dai 650 milioni di dollari del 2019 ai 33 milioni di dollari del 2021, dati influenzati anche dalla pandemia di Covid-19.
In ogni caso, a prescindere da se e quanto il BRI abbia avuto un impatto commerciale o meno, le relazioni economiche tra Cina e Italia sono profonde e radicate dato che, nel complesso, la Cina rappresenta il 9% dell’import e il e il 2,7% dell’export italiano. Per questo motivo la partita è delicata ed eventuali ripercussioni dal punto di vista politico della mancata ratifica del memorandum potrebbero avere ripercussioni economiche da monitorare attentamente.
Davide Petrella ricopre il ruolo di Portfolio Manager in Moneyfarm. Ha conseguito un Master in Quantitative Finance presso il Politecnico di Milano e un Master in Fisica all’Università di Roma, La Sapienza. Davide ha iniziato la sua carriera in Anima Sgr nel 2017 come Assistant Portfolio Manager nel team multi-asset per poi passare in Allianz Italia nel team ALM & Strategic Asset Allocation. Da gennaio 2022 a gennaio 2023 ha lavorato come Quantitative Analyst nella Fixed Income Boutique di Vontobel Asset Management a Zurigo, lavorando a stretto contatto con i Portfolio Manager per costruire soluzioni quantitative di front-office per la boutique.
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