Ad agosto mercati mossi, cosa ci aspetta? – Osservatorio sui mercati globali

Agosto è stato un mese movimentato, con performance negative sia per l’azionario, sia per l’obbligazionario. La Fed ha confermato la linea dura sull’inflazione, smorzando l’ottimismo degli ultimi mesi e rallentando la corsa dei mercati. Inoltre, il mercato immobiliare cinese è tornato al centro dell’attenzione frenando ancora l’economia di Pechino. L’Europa ha continuato a rallentare. Nelle ultime settimane abbiamo visto un significativo rialzo tassi (11 punti base del 10 anni americano a fine mese, con picco a metà agosto di 30 punti base) che ha penalizzato l’azionario, soprattutto per i settori ad “alta duration” (tech su tutti), mentre si stanno normalizzando le aspettative legate all’intelligenza artificiale.
Sul lato positivo, l’economia americana rimane forte e resta poco impattata dai rialzi tassi e dalla situazione in Cina. Sebbene infatti anche il mercato del lavoro abbia sorpreso in negativo questo mese, il soft landing dell’economia Usa rimane il caso base dei mercati.

Insomma, tanti dei rischi che avevamo evidenziato negli ultimi mesi sono venuti al pettine, come si può apprezzare dal grafico che evidenzia una performance nel mese che va da leggermente negativa a negativa per le principali asset class (soprattutto l’azionario dei mercati emergenti ed Europeo). Tuttavia crediamo che ci siano ancora motivi per restare positivi.

Troppo presto per cantar vittoria

Il mese è iniziato male per gli USA, con l’agenzia di credito Fitch che ha ridotto il rating del debito americano, principalmente per via della situazione politica “disfunzionale” e della difficile sostenibilità del debito stesso. Poco dopo, la pubblicazione delle minutes della Fed ha aumentato ancor più la pressione sui tassi americani, mostrando che la maggior parte dei partecipanti alle decisioni di politica monetaria rimangono preoccupati dell’inflazione, e quindi spingendo i mercati monetari a prezzare un altro rialzo per novembre. La determinazione e la necessità di continuare la lotta contro l’inflazione sono state ribadite durante l’incontro annuale dei banchieri a Jackson Hole, rimandando la prospettiva di rialzo dei tassi all’inizio del 2024.

La sensazione è stata confermata dai dati molto solidi dell’economia americana, che continua un 2023 ben al di sopra delle attese più rosee, con una crescita del Pil prevista per il terzo trimeste addirittura del 5.6% (Atlanta Fed). Ciò ha spinto gli utili in positivo, con il 79% delle aziende che hanno battuto le attese.

Insomma, l’economia regge, l’inflazione rimane alta (4.7% core anno-su-anno) e il tasso di disoccupazione è ai minimi storici: potremmo aspettarci tassi più alti, per più a lungo. I segnali di rallentamento dal mondo del lavoro, con i nuovi posti di lavoro JOLTs sotto le attese di quasi 650.000, rimangono troppo deboli per convincere che un soft landing non sia lo scenario base.

Sul lato positivo la curva dei tassi ha aumentato la propria inclinazione, suggerendo che quantomeno le aspettative recessive siano diminuite e lasciando sperare in un nuovo rally se l’inflazione dovesse essere domata.

Utili da far Nvidia

La stagione degli utili è stata complessivamente positiva per l’S&P 500, con il 79% delle aziende che ha superato le aspettative, al di sopra della media degli ultimi 10 anni (73%). Per quanto riguarda i ricavi, il 63% delle aziende ha superato le attese, in linea con la media degli ultimi 10 anni. Il settore tecnologico ha fatto ancora meglio, con il 92% delle aziende che ha battuto le attese sugli utili. Grande protagonista, come da copione, è stata Nvidia che ha infatti sbaragliato le attese, con una crescita anno su anno degli utili del 429%, prevedendo vendite nel terzo trimestre per un valore di 16 miliardi e soprattutto segnalando ai mercati un forte ottimismo con l’annuncio di un programma di buyback da 25 miliardi.

Tuttavia, la reazione dei mercati è stata modesta: il movimento dei prezzi delle aziende che hanno battuto le attese è stato solo del +0,5% in media nei due giorni dopo la pubblicazione delle trimestrali contro una media dell’1% registrata nell’arco di cinque anni. Guardando al settore tech, i numeri sorprendono ancor di più con addirittura una reazione negativa dell’ -1,5% nel caso di sorprese positive. Neppure i dati di Nvidia sono bastati, con il balzo del +3.3% dell’azienda che non si è però trasmesso al resto del NASDAQ.

Insomma, anche se l’ondata di entusiasmo generato dall’intelligenza artificiale sembra essere fondamentalmente giustificata, le valutazioni restano sostenute (il rapporto prezzo/utili di Nvidia è a 244,9 contro una media dell’S&P del 20,7) e ci sarà bisogno di vedere una crescita degli utili sostenuta nel medio termina per sostenere il prezzo.

Oggi i mercati stanno prezzando una crescita degli utili per l’S&P, rispettivamente, dello 0.5% e dell’8.2% nei prossimi due trimestri, e una crescita quintuplicata degli utili di Nvidia nei prossimi 12 mesi. Le probabilità che ciò possa succedere sono a nostro parere sicuramente più elevate rispetto a qualche mese fa, ma riteniamo che ci siano ancora potenziali rischi al ribasso, soprattutto a causa delle misure quantitative e delle restrizioni creditizie e, pertanto, manteniamo un posizionamento leggermente conservativo.

Le fondamenta fragili del sogno cinese

Uno dei fattori di rischio che pesano sulla nostra valutazione è la crisi legata al mancato pagamento di alcune scadenze obbligazionarie da parte di Country Garden e il fallimento di Evergrande, società di costruzioni salita agli onori della cronaca già alla fine del 2021 a causa della gestione stravagante e degli elevati livelli di debito. Sebbene la crisi sia di fatto iniziata due anni fa, con le nuove regolamentazioni governative mirate a ridurre l’esposizione bancaria al settore e quindi di fatto la leva del settore immobiliare, questi nuovi scricchiolii fanno paura, perché sembrano nascondere fragilità maggiori.

Country Garden infatti è considerato un costruttore con un bilancio molto più robusto rispetto a Evergrande e il mancato pagamento sembra riflettere qualcosa in più rispetto a una gestione sconsiderata. I compratori di casa cinese hanno perso la fiducia nella capacità dei costruttori di completare in tempo le proprie case, spesso pagate in anticipo, e il conseguente crollo nelle vendite sta mettendo pressione sulla liquidità dei developer, che contavano appunti su nuovi “anticipi” per pagare debiti e completare progetti già iniziati. Nel complesso, il Guardian ha calcolato che le aziende responsabili per il 40% delle vendite di immobili in Cina hanno riscontrato problemi a onorare i propri debiti dall’introduzione della normativa delle “3 linee rosse”. Secondo Bloomberg, l’ammontare di debito dei gruppi immobiliari a rischio default è addirittura pari al 12% del Pil.

Finora il governo di Pechino sembra disposto a “sacrificare” alcuni costruttori in nome della transizione verso un’economia meno dipendente dal mattone, ma questa tendenza potrebbe invertirsi qualora la crisi assumesse carattere sistemico.

La crisi immobiliare cinese mette in luce in modo inequivocabile alcuni limiti dell’economia del Dragone: problemi demografici, scarsa diversificazione, settore immobiliare ipertrofico e inefficienza della governance locale. A pagare sono stati anche gli asset finanziari, che storicamente faticano a raccogliere i frutti della crescita economica del Paese.

Nel complesso oggi l’economia globale sembra abbastanza forte da resistere, come dimostrato dal continuo rialzo delle attese di crescita globale media raccolte da Bloomberg (grafico sotto). Pensiamo che la Cina ha tutte le risorse per evitare una crisi pesante quantomeno nel breve termine anche se, in nome di obiettivi di lungo termine, sembra pronta a sopportare un costo, economico e politico che potrebbe pesare sugli asset e sulle attese di crescita cinese e in parte anche globale.

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