A cura di Dario Fabbri, analista geopolitico e direttore della rivista Domino
Di fatto Internet restituisce in campo virtuale i rapporti di forza che esistono sulla terra. È soprattutto controllato dagli Stati Uniti, con l’eccezione dei campi afferenti a Cina e Russia (oltre alle censure estemporanee applicate da altri regimi contrari a Washington).
Nata nella pancia del Pentagono, la rete globale resta anzitutto nella disponibilità di Washington, ma le potenze antagoniste ne limitano la sovranità, sia nel controllo dei cavi che viaggiano sui fondali, sia nel drenaggio dei dati che gli utenti lasciano online.
Proprio questo è il punto strategico della rete, ovvero la capacità per i governi di appropriarsi delle informazioni di miliardi di utenti prelevandole direttamente nei server dei social network. Ragione per cui Washington, Pechino o Mosca consentono di operare sul proprio territorio soltanto a reti sociali “autoctone”, con le quali esiste un rapporto di diretta dipendenza. Le più note negli Stati Uniti; WeChat, Weibo, Tencent, TikTok in Cina; soprattutto VKontakte in Russia.
Drenare dati dai social network rientra nel campo dell’Intelligence, decenni fa un mestiere assai pericoloso e costoso. Adesso invece le informazioni sono offerte spontaneamente e gratuitamente dagli utenti e poi vagliate dall’intelligenza artificiale. Macchine che setacciano una massa immensa di dati, impossibile da analizzare per la mente umana.
Attraverso questi dati, i governi americano, cinese o russo, provano a comprendere la direzione verso cui muove una collettività, ponendosi domande decisive. “Gli abitanti sono inclini a fare figli?”, “Sono pronti a fare la guerra?”, “Come trattano gli stranieri”, “Campano di qualità della vita o di potenza tout court?”.
Peculiare è il caso di TikTok, unico social network cinese diffuso in Occidente, specie negli Stati Uniti, utilizzato dai più giovani. Attraverso i suoi dati il governo comunista pensa di studiare la generazione americana che un giorno potrebbe combattere contro la Repubblica Popolare. Quella che oggi ha 16 o 17 anni. Di qui la ricorrente richiesta a TikTok da parte dell’amministrazione statunitense di cedere il locale ramo d’azienda.
Una mole di informazioni che i vari governi non potrebbero ottenere direttamente neppure se organizzassero centinaia di censimenti. Invece i social network rendono bonario uno scavo molto invadente, cui difficilmente la popolazione acconsentirebbe con consapevolezza.
Le reti sociali appaiono ancora affascinanti, qualcuna più di altre, dotate di una patina attraente, neppure paragonabile alla raccolta di informazioni che potrebbe realizzare uno Stato o una intelligence. Inoltre, i social network si raccontano come culle della libertà di espressione, immuni agli osceni giochi delle potenze. Con la nostra dipendenza dalla condivisione a facilitare un lavoro altrimenti complicatissimo.
I governi delle principali potenze prelevano i dati direttamente dai server dei social network o dalle caselle di posta, sebbene con modalità diverse. In America lo Stato Federale è titolare dell’invenzione. Mentre Mark Zuckerberg, Elon Musk o Bill Gates non hanno escogitato le tecnologie che utilizzano. Lo stesso internet, come Siri. Dunque il grande timore per le Big Tech è d’essere escluse dalla prossima infornata di invenzioni prodotte dal Pentagono.
Inoltre, i capitani dei social network o degli altri Big Tech sono cittadini americani per nascita o per naturalizzazione. E negli Stati Uniti è caratteristica decisiva. Gli americani impongono a sé stessi una notevole autocensura, tipica di un impero.
Sanno bene in quale margine devono stare e cosa rischiano nello sfidare lo Stato. Diversa la situazione in Cina o in Russia, contesti ovviamente estranei allo Stato di diritto in senso occidentale, dove i regimi locali impongono direttamente la propria volontà ai social network anche senza escluderli dalle prossime invenzioni, finora assenti.
Dinamiche apparentemente secondarie, intrinseche al web e alle reti sociali, che informano la competizione tra potenze per l’egemonia planetaria.
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