Debt Ceiling USA: come siamo arrivati a questo punto?

“Avremo una catastrofe economica e finanziaria”. Così il segretario del Tesoro americano, Janet L.Yellen ha commentato la situazione del debito Usa, ricordando come sia esplicito compito del Congresso fare in modo che questo non accada, alzando il tetto del debito o debt ceiling, in modo da fornire certezze nel lungo termine e garantire che il governo sia in grado di effettuare i pagamenti. La frase è perentoria e ha il compito di chiamare le parti in causa alla responsabilità, ma esprime con efficacia l’urgenza di queste ore.

Il debt ceiling è sostanzialmente lo strumento di controllo delle finanze pubbliche creato nel 1917, prima di allora, ogni emissione di debito doveva essere autorizzata dal Congresso. Per far fronte alle spese legate all’entrata in guerra il governo americano aveva però bisogno di maggiore flessibilità, pertanto l’iter legislativo fu modificato per poter ricorrere al debito più facilmente, ma nei limiti comunque prestabiliti. Da allora il debt ceiling è lo strumento principale con cui il Parlamento può controllare la spesa pubblica che il governo mette in atto.

Seppure non è la prima volta che la questione viene risolta con trattative all’ultimo minuto, quest’anno la situazione sembra più intricata, anche in virtù della crescente polarizzazione della politica Usa. Se non si dovesse trovare una soluzione, cioè se il governo non dovesse decidere di alzare il tetto del debito, gli Usa potrebbero rischiare il default tecnico su una parte del proprio debito già a inizio giugno. Scadenza su cui non tutti i politici americani del Congresso concordano. Il problema risulta infatti essere politico dato che per i Repubblicani c’è ancora tempo (ipotizzano luglio o agosto) e dunque non vi è la necessità di scendere a compromessi, per il momento. Ostinazione non concepita dal Tesoro, che si è mosso andando a parlare con i membri del consiglio del Bank Policy Institute, un gruppo di pressione il cui consiglio è guidato dal CEO di JPMorgan Chase, Jamie Dimon, e che include il CEO di Citigroup Jane Fraser, per discutere dell’impasse sull’innalzamento del limite di indebitamento del governo. Le parti sono impegnate in una trattativa a oltranza dalla quale cercano di ottenere il maggior numero di concessioni possibili su temi di ampio rilievo. Il buon senso suggerirebbe che un accordo si dovrà in qualche modo trovare, se non altro perché è nell’interesse di tutti scongiurare le conseguenze imprevedibili di un default, ma l’incedere del negoziato caratterizzato da prese di posizione oltranziste non lascia sereni i mercati e merita attenzione.

Come siamo arrivati a questo punto?

Nel corso degli ultimi 30 anni il tetto del debito è stato alzato numerose volte, con maggiore frequenza e intensità durante le crisi, come quella del 2008 e del 2020.

Quello che rende il contesto attuale potenzialmente controverso e pericoloso, è la notevole polarizzazione dell’elettorato e, di conseguenza, della compagine politica al Congresso. Situazione che rende più difficile la mediazione e il trovare un punto di incontro per risolvere la situazione del debito.

Dal punto di vista dei mercati finanziari, stiamo osservando un’interessante divergenza tra quello che il mercato monetario e obbligazionario stanno prezzando riguardo a questo evento e le mosse dell’azionario.

Il mercato monetario e obbligazionario hanno iniziato a includere la possibilità che il governo non sia in grado di ripagare le obbligazioni in scadenza a giugno tramite diversi canali.

  1. Uno, le probabilità di un taglio dei tassi della FED. Per quanto la Banca Centrale sia indipendente, è difficile immaginare che non ci sia una svolta della politica monetaria verso un allentamento nel caso di disordini fiscali. E questo si riflette nel percorso di tagli abbastanza aggressivo prezzato dai mercati in questi giorni.
  2. Secondo, la curva dei tassi d’interesse. Il grafico sottostante mostra chiaramente come nell’ultimo mese il tasso di rendimento richiesto dagli investitori per i titoli di stato americani in scadenza tra un mese sia anormalmente alto rispetto al resto della curva. Questo rialzo si è verificato soprattutto nell’ultimo mese.

I mercati azionari invece, per ora procedono imperterriti, senza dare troppo peso all’evenienza di un possibile default. Questo é in parte razionale, in quanto l’investimento in azioni di solito implica un orizzonte temporale su più anni, ma dall’altro lato suona un campanello di allarme sulla capacità degli investitori di considerare questo tipo di rischi.

Al momento non c’è un consenso univoco sulla “data di scadenza” della solvibilità a stelle e strisce. Il fatto certo è la velocità con cui il governo Usa ha esaurito le sue riserve presso la FED – una specie di conto corrente dello stato – negli ultimi mesi.

Dal maggio 2022, il saldo é sceso di 810 miliardi, esaurendo l’eccesso di liquidità creatosi col Covid. Il livello di per sé non è anomalo rispetto ai dati precedenti alla pandemia, ma se contestualizzato alla spesa pubblica e all’aumento del debito, si capisce che la situazione è più precaria rispetto al passato. Si stima infatti che solo per quest’anno la spesa per ripagare gli interessi sarà pari a circa 900 miliardi di dollari.

Alcuni analisti vedono la prima metà di giugno come il periodo chiave. A metà giugno infatti cade un’importante scadenza fiscale che potrebbe rimpinguare le casse dello stato, ma potrebbe essere già troppo tardi. Al contrario, altri analisti spostano la data di scadenza più in là nell’estate.

Quello che è certo, è che le conseguenze di un potenziale default, anche meramente tecnico, sarebbero molto serie. Per questo motivo il successo del negoziato (che resta il nostro caso base) diventa cruciale e la situazione non deve essere sottovalutata.

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