Inflazione, crisi bancaria e la possibilità di allentare la stretta sulla politica monetaria. Un groviglio difficile da sbrogliare per la Fed, ma che può essere aiutato dagli ultimi dati sull’inflazione di aprile, cresciuta del 4,9% su base annuale (rispetto al 5% previsto), registrando l’aumento più contenuto da aprile 2021.
Qualche settimana fa la Banca Centrale Usa aveva deciso di confermare la sua politica economica alzando il costo del denaro di 25 punti base, portando i tassi tra il 5% e il 5,25%, il livello più alto dal 2007. Nonostante questa mossa la Fed ha però anche sottolineato che potrebbe mettere in pausa il ciclo di rialzi, viste le ultime pressioni sull’economia. Porta che però rimane sempre aperta nel caso in cui l’inflazione dovesse riaccelerare.
I fattori di stress della Fed
- Inflazione: è sempre stato questo il nemico contro cui la Fed nell’ultimo anno ha combattuto. Battaglia che sta proseguendo anche nel 2023, nonostante le ripercussioni, causate da una politica monetaria aggressiva, sull’economia e più in particolare sul settore bancario americano. L’ultimo dato di aprile non è così male. Si è infatti registrata una variazione mensile dello 0,4%, come da attese e l’indice dei prezzi al consumo, su base annuale, ha evidenziato un rialzo del 4,9%. Inflazione che continua comunque a rimanere alta e resiliente agli forzi della Fed per cercare di normalizzarla. Da marzo 2022, la Banca Centrale Usa ha infatti messo in atto 10 aumenti consecutivi dei tassi di interesse, per un totale di 5 punti percentuali, portando, di fatto, i tassi di prestito di riferimento al livello più alto negli ultimi 16 anni.
- Crisi bancaria: marzo è stato il mese delle crisi bancarie negli Usa. La prima a fallire è stata Silicon Valley Bank (SVB), seguita dalla Signature Bank che è stata chiusa dalle autorità. In Europa Credit Suisse, acquistata da Ubs, e Deutsche Bank hanno portato tensione sui mercati. E infine la First Republic Bank, la 14° banca del sistema Usa, ha subito la stessa sorte, per poi essere acquistata da JP Morgan. Crisi che hanno impensierito non poco il sistema bancario statunitense e la Fed.
L’ultima release sembra dunque aver sgombrato i dubbi degli investitori sul fatto che l’inflazione sia ormai storia passata. I dati rimangono alti, ma chi investe vede un trend molto marcato che potrebbe permette alla Fed di rimuovere l’andamento dei prezzi dalle variabili da monitorare per determinare la politica monetaria, per lo meno nei prossimi mesi.
Nonostante quindi il governatore della Banca Centrale Usa, Jerome Powell, abbia più volte ripetuto che la politica monetaria dipenderà dai dati, in realtá i mercati stanno ora puntando sul fatto che la Fed possa tornare a tagliare i tassi qualora lo ritenesse opportuno, per far fronte ad un rallentamento economico o a sviluppi piú severi della crisi bancaria in corso.
Questo tipo di prospettive favorisce indubbiamente l’azionario e le altre asset class rischiose, che tornano a beneficiare di quella cosiddetta Fed put e al contempo mette anche un tetto al possibile livello che i tassi d’interesse possono raggiungere in un contesto di inflazione in calo e politica monetaria alla fine del tunnel.
Scenario che dunque supporta i portafogli Moneyfarm sia per quanto riguarda gli strumenti che beneficiano del contesto, sia per la possibile decorrelazione tra obbligazionario e azionario offerta negli scenari più estremi che, una volta non considerata l’inflazione, potrebbe tornare a favore dei portafogli multi asset.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.