La Cina tra la crisi demografica e quella economica

Il peggioramento delle prospettive demografiche, la minore spinta economica e le continue tensioni con gli Stati Uniti sono le principali sfide che la Cina dovrà affrontare nel 2023. Un anno dunque, particolarmente ricco di tensioni interne ed internazionali che metteranno a dura prova il Dragone e la leadership di Xi Jinping, eletto per la terza volta come Segretario del Partito Comunista Cinese e giovedì confermato anche dall’Assemblea nazionale del popolo della Repubblica Popolare Cinese come Presidente del Paese.

Crescita economica traballante

Partiamo dagli ultimi dati. Questa settimana sono usciti i numeri del commercio estero. Da ottobre 2022 l’export dalla Cina è in costante diminuzione. A dicembre si è registrato il calo maggiore dall’inizio della pandemia, quando la Cina era praticamente ferma, facendo segnare un -9,9%. Non migliora la situazione neanche per le importazioni che hanno registrato, secondo i dati della dogana, una frenata nel periodo gennaio-febbraio 2023 (-10,2% su un anno). Calo nettamente più pronunciato se si pensa che a dicembre ci si era fermati ad un -7,5%. Una situazione non così brillante che potrebbe anche peggiorare nei prossimi mesi a causa del rischio disaccoppiamento. Ci sono infatti un numero sempre più crescente di aziende che stanno trasferendo fuori dalla Cina le loro catene di approvvigionamento e produzione a causa, principalmente, delle tensioni sempre più forti con gli Usa.

Gli Usa e il ruolo nell’economia del Dragone

Il nervosismo tra le due superpotenze ha avuto delle serie ripercussione negative sulle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti (calo del 21,8% tra gennaio e febbraio) e delle importazioni cinesi dagli Usa che hanno fatto registrare un -5%. Gli attriti tra Pechino e Washington, in campo economico, riguardano principalmente la produzione dei semiconduttori e dei mini componenti elettronici fondamentali per far funzionare gli smartphone. Negli ultimi mesi gli Usa hanno infatti aumentato le sanzioni contro i produttori di chip cinesi, che attualmente non possono più accedere alle tecnologie americane. Dinamiche che hanno influenzato le previsioni di crescita del Dragone. L’ultimo rapporto presentato al Congresso nazionale del popolo, ha infatti svelato come l’obiettivo del Pil per il 2023 si auspica intorno ad un +5% (cifra lontana dal +5,5% stimato inizialmente). L’Ufficio Nazionale di Statistica cinese ha affermato inoltre che le basi della ripresa “non sono ancora solide”, evidenziando di fatto un contesto internazionale che rimane “complesso e severo”. Ovviamente parliamo di una crescita che farebbe gola a qualunque paese occidentale, ma per la Cina, se si dovesse concretizzare, rappresenta uno dei risultati più bassi degli ultimi 40 anni.

La crisi demografica e il freno all’economia

I trend economici non sono dati che devono essere letti in modo asettico. Questi devono infatti essere inseriti in un contesto più ampio del Paese. Un elemento che nel lungo periodo influenza la spinta di crescita è sicuramente la popolazione e il suo prosperare o meno. Focalizzandoci sulla Cina, nel 2022 il numero degli abitanti è calato per la prima volta in oltre 60 anni. Alla fine dell’anno scorso la popolazione nazionale era di 1.411,75 milioni (-0,85 milioni rispetto a fine 2021). Le nascite cinesi nel 2022 sono state 9,56 milioni a fronte di 10,41 milioni di morti (nel 2021 si erano registrati rispettivamente 10,62 e 10,14 milioni). A questi dati si aggiunge anche il numero dei pensionati in continua crescita. La silver economy rappresenta infatti una buona fetta della popolazione del Dragone. Si pensa inoltre che la quota dei silver arriverà al 25% nel 2030 e al 30% entro il 2040. Dati che non si discostano molto dal mondo occidentale. Basti pensare che in Italia al 1° gennaio 2022 gli over 65 rappresentano il 24% della popolazione totale, contro il 19% del 2002 e secondo le proiezioni Istat arriveranno al 35% nel 2050. L’aumento dei silver in una comunità non è però un trend da sottovalutare. Le autorità cinesi stanno infatti guardando con attenzione i numeri dell’invecchiamento della popolazione dato che questa sta avendo e continuerà ad avere ripercussioni sull’economia nazionale: calo delle entrate fiscali, pressione sul sistema pensionistico e su quello sanitario. Inoltre, l’invecchiamento della popolazione potrebbe avere delle conseguenze anche sulle prospettive future: “dove si vedrà la Cina tra 10 anni? Quali priorità? Che ambizioni? E come verrà visto dall’esterno questo nuovo trend?”.

Situazione di non facile risoluzione. Se infatti lato squisitamente economico, dopo i risultati deludenti del 2022 e il costante malcontento popolare, la Cina ha allentato la sua politica zero Covid, lato demografico le soluzioni sono più complicate. La politica del figlio unico, portata avanti dal 1979 al 2015 ha avuto conseguenze sull’invecchiamento della popolazione e sulla pratica dell’aborto selettivo (si preferivano i bambini alle bambine). In Cina le donne sono infatti nettamente meno numerose degli uomini. Dal 2016 la situazione è cambiata dato che è stato concesso alle coppie di avere due figli e dal 2021 si è alzato a tre o più bambini. Decisioni politiche che però non hanno avuto un forte impatto sulla popolazione e le relative nascite, che come abbiamo visto continuano a rimanere basse.

Tensioni Cina e Usa

Dopo il pallone aerostatico cinese, che Pechino nega essere uno strumento spia del governo, che ha sorvolato il cielo Usa prima di essere abbattuto al largo della costa atlantica su ordine del presidente, Joe Biden, le tensioni tra i due colossi si sono inasprite, tanto da annullare la visita a Pechino del segretario di stato americano, Antony Blinken.

A distanza di un mese lo scontro Cina – Usa torna prepotentemente alla ribalta. Il 6 marzo Xi Jinping, per la prima volta, ha accusato gli Usa e i paesi occidentali di voler impedire lo sviluppo economico della Cina. Xi, stando alla trascrizione del discorso fatto ad un gruppo di imprenditori cinesi, avrebbe detto che i paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, hanno applicato una politica complessiva di contenimento, accerchiamento e oppressione nei confronti cinesi. Ma non solo, il 7 marzo il nuovo ministro degli esteri cinese, Qin Gang, in precedenza ambasciatore cinese a Washington, ha dichiarato come se “gli Stati Uniti non freneranno ma continueranno ad accelerare nella direzione sbagliata, nessun sistema di sicurezza potrà scongiurare un deragliamento, e avremo sicuramente uno scontro”. Dichiarazione che è stata una risposta agli avvertimenti statunitensi arrivati la settimana scorsa a proposito delle eventuali consegne di armi cinesi alla Russia. Nonostante ciò si tratta di comportamenti molto particolari dato che abitualmente i leader cinesi, soprattutto quelli di alto rango, usano una retorica vaga e quando devono criticare un paese straniero solitamente usano l’espressione: “alcuni paesi”, senza mai fare delle critiche esplicite o dirette. Un rapporto che dunque sembra scricchiolare sempre di più e che avrà la sua prova del nove ad aprile quando il presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, arriverà negli Usa. Ovviamente la visita non è affatto gradita al dragone, viste le tensioni tra Cina e Taiwan e le relative idee di sovranità territoriale.

Le tensioni tra Washington e Pechino non devono però essere pensate come una bolla separata dal resto del mondo. La Cina gioca un ruolo molto importante nell’economia globale e pertanto qualsiasi rallentamento cinese ha ripercussioni sulle economie sviluppate. E dunque, se ad una crescita traballante affianchiamo anche considerazioni di carattere geopolitico, con la recente impennata della retorica aggressiva tra le due superpotenze, non può, nella nostra tesa, non scattare un campanello d’allarme. Ma attenzione a farsi prendere dal panico.

Bisogna infatti non sopravvalutare l’effetto di questi cambiamenti che tendono a svolgersi su tempistiche lunghe e che rimangono altamente imprevedibili. Rimanere perennemente all’erta, in attesa di un qualche evento catastrofico, non rappresenta una strategia percorribile né efficace nel lungo termine.

Al momento il posizionamento delle nostre linee di investimento è relativamente conservativo. Il flusso dei dati economici suggerisce di non eccedere nella riduzione del rischio, dato che le valutazioni per il lungo termine rimangono buone e le prospettive di una recessione drammatica sono, salvo imprevisti, sempre più remote.

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