Una strana recessione?

A partire da questa estate una delle questioni che ha più appassionato investitori, addetti ai lavori e politici è stabilire se l’economia americana sia effettivamente entrata in recessione. 

La questione è di grande importanza per gli investitori, se si guarda oltre la mera disputa semantica interessante solo per gli addetti ai lavori. Ricordiamo che l’America è il primo mercato nel quale si concentrano i nostri investimenti. Ci sono moltissime definizioni di recessione. Stando alla definizione di scuola, un recessione scatta dopo “due trimestri consecutivi nei quali l’economia fa segnare livelli di crescita negativi”. Secondo questa regola, gli Stati Uniti sarebbero entrati in recessione a partire dall’estate del 2023. Ma secondo molti economisti un approccio meramente basato sul dato di crescita del Pil non sarebbe appropriato. Una recessione scatterebbe nel caso di un peggioramento significativo, duraturo e diffuso dell’economia,  e in questo caso difficilmente si potrebbe argomentare che l’economia americana stia chiaramente entrata in una fase di contrazione.

Nonostante le diffuse preoccupazioni, ci sono segnali estremamente positivi che vengono per esempio dal mercato del lavoro, che continua a registrare piena occupazione e crescita nominale dei salari. Il Pil nominale è in crescita, anche se risulta leggermente in calo se si considera l’effetto dell’inflazione. Nell’ultimo trimestre le aziende quotate hanno continuato a registrare utili in crescita (anche se in rallentamento). Il commercio mondiale cresce. Addirittura in Europa, nonostante la crisi energetica, i mercati continuano ad aspettarsi utili in rialzo. I consumi delle famiglie reggono e anche alcuni indicatori di sentiment come l’ISM manufacturing indicator fanno registrare dati tutto sommato positivi.

D’altra parte, la crescita preoccupante dell’inflazione (che sta mettendo in difficoltà moltissimi lavoratori e famiglie) e la prospettiva di un aspro rialzo dei tassi da parte della Fed favoriscono un sentiment pessimista tra gli operatori di mercato, come si può notare dalle stime degli economisti sulle probabilità di una recessione entro il 2023, cresciute in modo chiaro nei prossimi mesi sia negli Stati Uniti, sia in Europa.

Insomma il contesto economico è in chiaroscuro e l’impressione è che gli enormi sbilanciamenti causati dalla pandemia, e dagli interventi dei governi con conseguente esplosione dei prezzi, abbiano creato una situazione del tutto peculiare e di difficile lettura. Si tratta della quiete prima della tempesta, oppure l’economia continuerà a essere resiliente, tornando gradualmente ad assorbire gli sbilanciamenti senza correzioni drammatiche?

Dati hard vs dati soft

Un modo per provare a rispondere a questa domanda è analizzare la discrepanza tra i cosiddetti dati soft e i dati hard, ovvero i dati che misurano il sentiment degli operatori economici (soft), rispetto alle statistiche consolidate sull’andamento dell’economia (hard). Come abbiamo detto  la percezione è quella che il punto di vista dei protagonisti dell’economia e degli esperti (dati soft) descriva uno scenario ben peggiore di quello dipinto dai dati macro, che come abbiamo detto tendono a essere positivi. Anche in questo caso la lettura può essere duplice: sono i dati soft che anticipano il peggioramento del contesto economico o al contrario il contesto economico e finanziario è caratterizzato da un pessimismo ingiustificato?

Cosa si può notare? In passato gli indicatori del sentiment hanno spesso anticipato i dati macro effettivi, deteriorandosi un paio di mesi prima che la crisi si riflettesse nell’economia reale. Tuttavia abbiamo anche visto il contrario. Per esempio nel periodo pre-pandemia c’era un maggiore ottimismo di quanto i dati giustificassero, forse riflettendo una combinazione di bassa inflazione e bassa disoccupazione.

Abbiamo anche cercato di ricollegare queste variabili ai valori azionari. Il primo grafico mostra la relazione tra i dati macro e la variazione degli utili, quindi la perfromance effettiva delle aziende. Il secondo grafico mostra la relazione tra i soft data e la variazione del rapporto Prezzo/Utili. Possiamo notare una relazione tra gli utili e i dati economici reali, mentre le valutazioni tendono a seguire gli indicatori di sentiment. Questo si spiega con il fatto che le valutazioni nel breve termine seguono più la percezione comune piuttosto che i dati fondamentali, anche se sono i dati economici a guidare la performance effettiva delle aziende che è poi la determinante del prezzo delle azioni nel medio termine.

Tenendo conto di tutti i limiti di questo modello. La relazione tra dati hard e soft e azioni suggerisce che, anche se abbiamo assistito a un declassamento, probabilmente non abbiamo visto la fine dei downgrade degli utili. Ciò supporta il mantenimento di una posizione cauta.

Possible un atterraggio morbido?

Ma il quadro non è totalmente a tinte fosche e, spulciando tra i dati a maggiore frequenza, troviamo anche degli indicatori che ci ricordano come la possibilità di evitare una recessione sia ancora possibile negli Stati Uniti. 

Un ruolo fondamentale, probabilmente cruciale, lo avrà  la capacità delle banche centrali di contrastare l’inflazione in modo non traumatico (atterraggio leggero). I tassi di interesse hanno iniziato a salire (e dovrebbero aumentare ulteriormente), ed è ragionevole sostenere che l’economia non ne abbia ancora risentito a pieno.

In primo luogo, come abbiamo spiegato, i dati macro dagli Stati Uniti continuano ad essere decenti. Il grafico seguente mostra le indagini ISM per il settore manifatturiero e dei servizi. La valutazione dei rispondenti al sondaggio si è chiaramente indebolita, ma resta sopra i 50 punti, suggerendo che l’economia è in continua crescita.

Il grafico successivo mostra il PMI manifatturiero e la produzione manifatturiera (dati di indagine soft e dati macro hard effettivi). I dati sulla produzione industriale sembrano più resilienti rispetto al sentiment dei rispondenti al sondaggio, almeno per ora.

In termini di consumi, il grafico sottostante delle vendite al dettaglio (nominali e reali) suggerisce che l’economia sia ancora in una fase espansiva.  

D’altra parte non dobbiamo dimenticare i dati più preoccupanti. Il grafico seguente mostra le vendite di case e i tassi ipotecari. L’aumento dei tassi ha avuto un impatto negativo sulle vendite di nuove case e ciò dovrebbe avere un impatto sull’economia in generale.

È anche ragionevole l’argomentazione di chi sostiene che l’economia stia iniziando a reagire a una politica monetaria più restrittiva. Di solito sono necessari diversi trimestri prima che l’impatto dei tassi più alti si faccia strada nell’economia reale. Ma stiamo iniziando già ad apprezzare l’impatto sulle aspettative di inflazione. 

La linea blu mostra l’inflazione attesa a 12 mesi, che è scesa piuttosto bruscamente negli ultimi due mesi. Le altre due righe esaminano le aspettative di inflazione tra due e tre anni. L’aggiustamento riflette i miglioramenti dal lato dell’offerta (tariffe di trasporto più basse, tempi di consegna più brevi) e un probabile rallentamento della domanda.

I dati macroeconomici resilienti e il miglioramento degli indicatori di inflazione mandano un segnale positivo e suggeriscono che gli Stati Uniti potrebbero essere in una posizione migliore per un atterraggio morbido rispetto ai loro omologhi altrove nel mondo sviluppato. Negli Usa più che in Europa, vediamo dati di fondo forti, inflazione in rallentamento, la banca centrale ben avviata nel percorso di rialzo dei tassi: tutti questi segnali suggeriscono come sia troppo presto per annunciare una recessione (e d’altronde gli esperti valutano questa possibilità solo al 50%).

Staremo a vedere, ma per adesso, nonostante le valutazioni invitanti, restiamo convinti del nostro posizionamento conservativo.

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