Nero speranza – Report Moneyfarm 1° Trimestre 2020

Qui di seguito includiamo l’editoriale di introduzione ai report trimestrali relativi al primo trimestre 2020. Come emerge dal report, in fasi di grande incertezza avere una strategia ben diversificata e una gestione del rischio dinamica permette di limitare le perdite legate a un frangente negativo di mercato. Nei prossimi mesi ciò sarà ancora più importante perché sarà necessario, al contempo, gestire il rischio e agganciare il recupero dei corsi azionari: navigare questa fase restando investiti in una strategia adeguata al proprio profilo e ai propri obiettivi è dunque cruciale. Come viene spiegato nel documento, le valutazioni sui principali listini sono tornate a essere più vantaggiose, aprendo una finestra per gli investitori lungimiranti che volessero mobilitare liquidità o consolidare i propri investimenti.

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Alle soglie del 1400 l’Europa era una terra di sopravvissuti. Dopo un secolo di stagnazione, carestie e guerra, la popolazione del vecchio continente uscì decimata da quella che può essere considerata la più grave emergenza sanitaria della storia: la peste, il male che si diffuse dall’Asia a partire dalla prima metà del quattordicesimo secolo.

Gli storici stimano che, a causa della “morte nera” (o il “grande morire” come l’epidemia veniva effettivamente chiamata all’epoca), oltre 25 milioni di europei persero la vita, circa metà dell’intera popolazione. Come fu possibile una simile catastrofe? Per quale ragione nella storia, nonostante il diffondersi di decine di altre epidemie spesso anche più letali, non abbiamo più visto accadere una tragedia di simili proporzioni?

La risposta alla prima domanda è da ricercarsi, come nella maggior parte delle tragedie umane, in una combinazione tra il caso, l’ignoranza, l’avidità e l’incuria. La seconda risposta riguarda altre e più nobili caratteristiche della specie umana come la resilienza (termine oggi molto di moda), la creatività e la capacità di adattarsi.

Agli inizi del 1300 l’Europa, grazie a un’improvvisa capacità di creare prodotti agricoli in surplus che venivano venduti dai contadini, riuscì a finanziare un sostenuto processo di urbanizzazione. Questo sviluppo economico aveva tuttavia gambe piuttosto fragili, un cambiamento del clima all’inizio del secolo provocò una crisi agricola che portò a un prolungato periodo di carestia.

I nuovi abitanti delle città, luoghi affollati in cui non si rispettavano le più basilari regole d’igiene, erano costretti a nutrirsi degli animali di compagnia per sopravvivere. In questo contesto, i regni europei erano grandemente impoveriti dalle varie guerre che dilaniavano il continente e la Chiesa – la più potente istituzione dell’epoca – viveva una crisi di autorità, ma nondimeno la popolazione – a livello pratico e morale – era guidata da una fiducia cieca nei precetti sacri e da un approccio fatalista nei confronti dell’esistenza: una delle reazioni prevalenti all’espandersi dell’epidemia fu che si trattasse un castigo divino, da curare con la preghiera. Tutti questi fattori resero la popolazione europea particolarmente mal equipaggiata per affrontare l’epidemia (Ziegler).

La scienza medica allo scoppio della peste navigava negli astri. Quando il Re di Francia, nel 1348, ordinò a una serie di dottori di determinare le ragioni della malattia, i saggi dell’università di Parigi individuarono in una probabile causa l’allineamento di Saturno, Marte e Giove avvenuto all’una del 20 marzo 1337.

In tempi di crisi, tuttavia, siamo in grado di sviluppare risorse straordinarie. In quegli anni la medicina fece dei progressi inaspettati, gettando le basi di quella che sarebbe stata la rivoluzione scientifica del secolo a venire. I testi di Aristotele e Galeno, su cui si basava la teoria medica, cominciarono a essere messi in discussione; sparì la divisione artificiale tra scienza teorica e scienza pratica, portando l’esperienza dei clinici nelle università.

Anche oggi, messi di fronte a una nuova sfida, sarà necessario utilizzare tutta la nostra forza innovativa per uscirne. Sicuramente non è un periodo facile ma, volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, il mondo non è mai stato così ben equipaggiato per far fronte a questa calamità: sia dal punto di vista sanitario, sia dal punto di vista economico e finanziario: si immagini, per esempio, quanto la situazione sarebbe più grave se non avessimo a nostra disposizione l’esperienza e gli strumenti della crisi del 2008.

Le crisi sono sempre uno stimolo a evolversi per la società. L’epidemia della peste e la depressione del 14esimo secolo hanno portato allo sviluppo di norme igieniche fondamentali e a misure di civiltà come le ‘quarantene’ e le ‘autocertificazioni’ che anche in questi giorni utilizziamo: è da quella crisi che è nato il germoglio della rivoluzione scientifica che si sarebbe sviluppata nel secolo successivo.

Quando un nuovo virus si diffonde, il nostro organismo crea gli anticorpi che ci rendono immuni e quello che sta accadendo sui mercati, nella società e nella politica – con innovazioni sanitarie e di policy che vengono proposte di settimana in settimana – non è poi così diverso. Il mondo oggi, nel bene e nel male, si muove a una velocità senza precedenti.

La fine del toro

Senza che neanche avessimo il tempo di rendercene pienamente conto, uno dei mercati toro più forti di sempre è ufficialmente giunto al termine. Anche se i numeri sul Pil devono ancora essere resi pubblici, sono ormai pochissimi gli analisti che ritengono che l’economia globale riuscirà a evitare una recessione. Che ci piaccia o no Covid-19 ha chiuso uno dei più lunghi periodi di espansione dei mercati della storia. E la domanda che ora tutti si pongono è: “quanto lunga e quanto severa sarà questa recessione?”.

La prima domanda è la più difficile da rispondere perché coinvolge, oltre alla finanza, considerazioni che sconfinano in altre discipline quali l’epidemiologia, la scienza, la sociologia, la politica e l’economia comportamentale. La risposta alla seconda domanda purtroppo è piuttosto semplice: la recessione sarà severa. Le analisi degli esperti variano molto ma probabilmente vedremo un calo a due cifre dell’attività economica, della produzione industriale e del Pil nella prima metà dell’anno.

I mercati sembrano aver accettato questa prospettiva, almeno per adesso. Abbiamo visto i principali listini globali far registrare performance negative in tutto il mondo, come è normale in tempi di recessione. Non è tanto la magnitudine della correzione a colpirci, ma piuttosto la velocità. In alcune sedute, i cali giornalieri di certi listini sono stati quasi senza precedenti per la loro intensità. Per trovare nella storia movimenti comparabili dobbiamo andare al 1987 o al 2008 dopo il collasso di Lehman Brothers, oppure alla crisi del 1929.

A questo andamento straordinario possiamo trovare varie spiegazioni: sicuramente, almeno per una settimana (nella prima metà di marzo), i mercati hanno navigato a vista; per alcuni giorni sono stati guidati dalla paura di trovarsi senza rete, non potendo avere la certezza che l’emergenza si potesse controllare in modo efficace in alcun modo.

.La particolarità di questa crisi è il fatto che sia stata causata da un fattore esterno alla dinamica finanziaria, un rischio per giunta sui radar degli investitori da diverse settimane – e ciò ha ancor più dell’incredibile visto che i mercati erano da almeno tre anni alla ricerca di un catalizzatore che fermasse l’espansione.

Ma andiamo a ricostruire l’escalation: lo scoppio dell’epidemia è stato visto almeno all’inizio come una questione locale, ma appena è diventato chiaro che il contagio si sarebbe espanso a livello globale, i mercati hanno fatto registrare alcune delle più pesanti sedute che si ricordino.

Con il senno di poi possiamo dirlo: per qualche giorno i mercati sono stati guidati dalla paura che questa emergenza si sarebbe rivelata completamente impossibile da gestire. Questa convinzione fortunatamente è andata scemando con il tempo. Per un momento il mercato ha smesso di funzionare in modo appropriato e la capacità di diversificare di alcune asset class – come i bond corporate high yield di cui abbiamo completato la rimozione dal portafoglio (iniziata mesi fa) – è diventata molto limitata.

L’inizio di una lenta ripresa

Nella seconda metà di marzo i mercati hanno cominciato a funzionare in modo più normale, a testimonianza della convinzione che l’emergenza, pur tra mille difficoltà, fosse sotto controllo.

La politica è entrata in campo con i carichi pesanti, rompendo tabù e mettendo sul tavolo risorse senza precedenti. L’esperienza della crisi del 2008 è servita in questo caso da benchmark, con la Casa Bianca che ha messo in campo misure di politica, coordinate con la Fed, più imponenti e più veloci di quelle messe in piedi nel 2008. Stiamo parlando di un piano di sostegno che vale oltre duemila miliardi di dollari (circa il 10% del Pil, mentre lo stimulus di Obama si aggirava intorno al 5% del Pil).

A coprire le spalle alle Casa Bianca è stata la Federal Reserve che ha immediatamente tagliato i tassi a zero e annunciato un programma di Quantitative Easing senza limiti. In Europa e in Inghilterra, le banche centrali, nonostante godano di minore flessibilità, sono riuscite a dare un supporto immediato sia in termini di aiuti che di prestiti. Per quanto riguarda la Banca Centrale Europea, essa ha ancora una volta preceduto le istituzioni dell’Eurozona.

Le manovre della politica serviranno nell’immediato a evitare che l’economia finisca in una spirale di contrazione senza uscita, ma costituiscono un buon precedente anche per i mesi a venire, perché mostrano l’attenzione della politica nel provare a invertire uno scenario che sarà probabilmente recessivo.

Nonostante un livello di disoccupazione destinato a crescere, questa iniezione di liquidità può tenere la domanda aggregata parzialmente viva ed evitare il deperimento dell’offerta e quindi il rischio di scatenare una serie di default a catena. Se la politica riuscirà a tenere a galla il sistema produttivo possiamo immaginarci un graduale ritorno alla crescita verso la fine dell’anno, qualora il virus venga controllato e non ci sia la temuta seconda ondata.

In questo senso la Cina, che sta provando un ritorno alla normalità in queste settimane, sarà un benchmark da seguire per stimare il rischio. D’altra parte, anche se una seconda ondata dovesse arrivare, è presumibile che il sistema sia attrezzato meglio per gestire la situazione in maniera più sofisticata della quarantena. Per questo un’altra variabile critica resta il potenziamento dei sistemi sanitari e delle tecnologie a nostra disposizione per discriminare tra chi rischia di essere contagiato e chi no.

Guardando avanti: rischi e opportunità

L’ultimo trimestre è stato caratterizzato da molti bassi e un po’ di alti. All’inizio dell’anno avevamo specificato che quest’anno saremmo andati incontro a ritorni attesi minori rispetto all’inizio del 2019, soprattutto per valutazioni azionarie piuttosto alte.

Una notizia interessante è che questo scenario è radicalmente cambiato. La correzione di mercato ha portato a un riprezzamento veloce delle valutazioni di lungo termine e quindi a un riposizionamento sulle aspettative di crescita nel lungo termine. È sempre complicato avere delle stime precise riguardo l’aspettativa dei mercati sulla crescita dei fondamentali ma possiamo elencare sicuramente alcuni punti chiave:

  • La revisione al ribasso delle aspettative sugli utili ha riguardato oltre l’80% delle aziende sia in Usa che in Europa. Questo vuol dire che, secondo gli analisti, l’80% delle aziende performerà peggio delle aspettative in questo trimestre e nel prossimo. Lo stesso fenomeno è accaduto, in proporzioni minori, nel 2008, nel 2009, nel 2015 e nel 2018 e storicamente questo tipo di movimenti porta i mercati azionari a diventare più economici.
  • In generale i prezzi, rispetto agli utili, sono scesi più che proporzionalmente. Questo vuol dire che l’indicatore prezzo/utili sui principali mercati è tornato ai livelli medi storici dopo un inizio anno su livelli molto cari.
  • Con le valutazioni tornate a livelli più sostenibili, i rendimenti dell’azionario offrono buone prospettive soprattutto se paragonati a quelli dell’obbligazionario.

Oltre l’analisi fondamentale, indicatori più tecnici come i titoli al di sotto della media mobile e le oscillazioni giornaliere sembrano suggerire che durante si sia raggiunto una sorta di fondo. Quest’ ipotesi ovviamente dovrà essere testata nelle prossime settimane, quando capiremo con più chiarezza la portata di una recessione che è già anticipata dai mercati ma che potrebbe determinare altri rischi almeno in certe geografie.

Questa previsione, tutto sommato positiva, si regge inoltre su alcune supposizioni: la principale è che che continueremo a vedere progressi concreti nel controllo del virus, sulla linea di quanto visto nelle ultime settimane. Al di là di queste valutazioni legate al breve termine, per gli investitori in grado di entrare sul mercato con liquidità fresca e un orizzonte temporale abbastanza lungo si aprono prospettive interessanti se confrontate con la storia.

Lo scenario base, dunque, resta quello di una ripresa sufficientemente veloce nella seconda metà dell’anno, ma nessuno può vendere certezze in questo momento, soprattutto con la variabile dell’epidemia ancora non completamente prevedibile.

Ad ogni modo siamo convinti che, proprio come le ultime grandi crisi, questa recessione renderà la nostra economia più solida. È successo nel 2001 con il settore tecnologico, è successo nel 2008 con il sistema finanziario. Queste esperienze hanno reso il nostro sistema più forte e meglio equipaggiato per reggere la crisi: senza l’esperienza delle crisi passate oggi non avremmo gli strumenti per gestire con efficacia la crisi attuale.

Anche da questa situazione delicata riusciremo a imparare qualcosa. Da un punto di vista strettamente finanziario, le prossime questioni in agenda saranno la gestione dei debiti pubblici, la loro monetizzazione e l’inflazione. Il debito pubblico è a un livello senza precedenti in molti paesi, d’altra parte il livello di coordinazione tra politica monetaria e politica fiscale non è ormai altissimo, con le banche centrali che di fatto finanziano da anni nuova liquidità emessa dai governi. Arriverà nei prossimi anni il momento di capire come dovrà essere questa realtà, mettendo alla prova forme innovative di politica fiscale e ristrutturazione dei debiti. Lo avevamo anticipato nelle nostre analisi di inizio anno e ora un nuovo equilibrio finanziario si sta profilando all’orizzonte con grande rapidità.

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