Negli ultimi dieci anni il mercato degli ETF, i fondi passivi che replicano l’andamento di un un indice, è passato dal gestire 800 a oltre 5500 miliardi di dollari. L’ascesa degli ETF, tuttavia, non ha mancato di generare polemiche e controversie. L’ultima voce illustre ad unirsi alla torma dei critici è quella di Michael Burry. Noto al grande pubblico per l’interpretazione di Christian Bale nel film “The Big Short” tratto dall’omonimo romanzo di Michael Lewis, Burry fu uno dei pochi investitori in grado di prevedere la bolla che dieci anni fa si stava sviluppando intorno al mercato dei mutui americani, magnificata dall’utilizzo sconsiderato di strumenti derivati. Quando si parla di bolle finanziarie, dunque, quella di Burry è una voce da ascoltare con grande attenzione.
In un recente articolo Burry ha descritto gli investimenti passivi, specialmente quando essi investono su compagnie di piccole o medie dimensioni, come una possibile bolla. La critica si basa su alcuni argomenti che vengono utilizzati comunemente dai detrattori degli ETF. Il cuore della tesi di Burry è che gli ETF neutralizzerebbero la dinamica di scoperta del prezzo tipica dei mercati finanziari. Essendo strumenti passivi, gli ETF investono su interi indici (o gruppi di azioni o obbligazioni che condividono le medesime caratteristiche) con l’effetto di non premiare il merito dei singoli titoli, rendendo complessa una corretta valutazione del rischio.
ETF come i derivati del 2008?
Secondo Burry, quando una quantità sproporzionata di investimenti viene riversata su mercati poco liquidi, essa può avere l’effetto di rendere questi mercati più instabili e più esposti al rischio sistemico. Nel caso in cui una buona parte di investitori decidesse di vendere le proprie quote simultaneamente, un mercato poco liquido avrebbe difficoltà a soddisfare l’offerta, con possibile rischio di contagio verso l’intero sistema finanziario.
Anche se l’argomentazione di Burry ha degli spunti interessanti, crediamo che ignori alcune delle innovazioni fondamentali che gli investimenti passivi hanno portato nei mercati finanziari. I fondi passivi hanno contribuito a democratizzare i mercati, rendendo accessibili strategie una volta appannaggio di pochi investitori (si pensi alla semplicità con cui oggi si può avere accesso a una strategia diversificata in azioni e obbligazioni senza incorrere in costi eccessivi). Grazie agli ETF l’investimento diversificato su molte asset class è diventato economico e trasparente.
Burry delinea un parallelismo tra fondi passivi e i CDO (Collateralised Debt Obligations), gli strumenti derivati che sono stati la causa della crisi finanziaria del 2008. Prima dello scoppio della bolla questi strumenti erano considerati piuttosto sicuri persino dalle agenzie di rating (perché garantivano un buon livello di diversificazione). Tuttavia, dinamiche di conflitto di interesse e un ricorso eccessivo alla leva finanziaria, ne fecero la catena di trasmissione che trasformò una serie di crisi del valore immobiliare negli Stati Uniti in un disastro finanziario globale.
Quando veicoli d’investimento “contenitore” (come gli ETF e i CDO) assumono una rilevanza – per asset gestiti e per frequenza degli scambi – di molto maggiore rispetto agli strumenti verso cui veicolano gli investimenti, si crea sicuramente un problema di valutazione del prezzo e del rischio sottostante. Tuttavia, pensiamo che il paragone tra ETF e CDO sia improprio. Gli ETF, anche nelle loro conformazioni più complesse, restano strumenti di gran lunga più semplici e trasparenti dei CDO. In generale non sembra esserci oggi nel mercato degli ETF il livello di leva e di complessità che esisteva in quello dei CDO.
Il ruolo della consulenza finanziaria
In definitiva, crediamo che gli ETF non rappresentino un elemento di instabilità nei mercati finanziari. Al contrario, riteniamo che l’ascesa degli ETF, insieme con la maggiore disponibilità di servizi di consulenza di qualità in grado di orientare le decisioni degli investitori, possano rappresentare un fattore di semplificazione.
Nessuno sostiene che la sola scelta di uno strumento passivo basti a garantire all’investitore trasparenza, efficienza e liquidità. Il panorama investibile attraverso gli ETF è oggi molto più variegato di come lo era solo vent’anni fa, quando si poteva optare quasi solo sugli indici principali. La moltiplicazione delle asset class su cui è possibile puntare, se da una parte garantisce grande flessibilità e sofisticazione alla gestione, dall’altra rischia di creare uno scenario complesso per l’investitore. Operare secondo un solido processo di selezione dei fondi e di valutazione del rischio è oggi importante per gli investimenti passivi come lo è per quelli attivi.
Non possiamo però isolare la funzione degli ETF nelle nostre valutazioni. I mercati finanziari sono in uno stato di costante evoluzione. Quando si parla di rischio di mercato il focus centrale dell’argomento non dovrebbe essere il tipo di strumento quanto la corretta valutazione della soluzione più adeguata a ogni investitore. Il ruolo della consulenza resta dunque centrale, il fatto che essa possa contare su un’ampia gamma di strumenti economici non può che essere un bene.
*Investire in strumenti finanziari comporta rischi inerenti, tra cui perdita di capitale, fluttuazioni del mercato e rischio di liquidità. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. È importante considerare la tua tolleranza al rischio e gli obiettivi d’investimento prima di procedere.