Il declino di Piazza Affari, anni ’80 e la nostalgia della fabbrica dei sogni

Chi si ricorda gli anni ’80? Io di certo sì e me li ricordo come un periodo estremamente felice. Erano gli anni della musica disco, dei paninari e di Renzo Arbore in Tv…

Scherzo. Non preoccupatevi. Non sto per scrivere uno di quegli articoli lì, quelli che mitizzano il passato. Se c’è una cosa che non sopporto è l’industria della nostalgia con tutti i suoi professionisti e menestrelli. “Ahi come erano belli quegli anni lì!”. Erano sempre “più” qualcosa: “più” spensierati, “più” genuini, “più” felici. Così oggetti dalla meccanica arcaica e dal design desueto vengono celebrati come i simulacri degli dei dell’antica Roma, reperti archeologici di un’epoca gloriosa. Come se, a saziare tutta questa malinconia, non bastasse il semplice fatto che eravamo più giovani e meno disillusi.

Ecco perché ero felice nel 1986, perché non avevo la patente, portavo i calzoncini corti ed era troppo presto per le “notti magiche”, non avevo nulla per la testa. Mentre adesso sono un signore che molti potrebbero chiamare, con buoni ragioni, di mezza età, con una figlia e un matrimonio alle spalle e passo le mie giornate a tenermi informato su quello che succede nei mercati.

Nel 1986 avevo solo una vaga idea di cosa fosse un’azione ed ero felice, ma l’uomo di oggi sarebbe stato probabilmente esaltato all’idea di partecipare alla più grande euforia finanziaria che il Paese ricordi. Il 1986 è stato l’anno migliore nella storia di Piazza Affari e proprio in quel periodo, per la prima volta, la Borsa è diventata per me qualcosa di più di un luogo geografico di Milano. Sul listino si consumavano i successi delle grandi holding private che reperivano capitali con facilità per provare la sfida internazionale.

Gli anni ruggenti di Piazza Affari

Il boom del mercato, che garantiva risorse a basso costo, incoraggiava i gruppi industriali verso sfide audaci (cui la storia successiva assegnerà sorti alterne), dando l’impressione che fosse possibile fare a meno dei “salotti buoni” e meno buoni del potere politico-finanziario italiano. La riforma dei fondi comuni del 1983, che creò la figura degli investitori istituzionali, fu sicuramente fondamentale per convogliare il risparmio dalle famiglie alle aziende.

Il listino milanese era il posto dove si potevano reperire capitali con più facilità in Europa. La borsa divenne così popolare che molti decisero che volevano essere coinvolti e cominciarono a investire. La “gente”, altro soggetto sociale che fece la sua comparsa proprio in quegli anni, ascoltava la sera le notizie sull’andamento dei titoli, al telegiornale o al televideo.

Chiudiamo gli anni ’80 in un cassetto

Sono passati più di 30 anni. Questa settimana Piazza Affari, spinta dall’euforia per il risultato delle elezioni olandesi, è tornata sopra la soglia psicologica dei 20.000 punti dopo 4 anni. Ma cosa resterà di quegli anni ’80? Molto poco viste le trasformazioni che la piazza di Milano, seguendo le sorti del capitalismo nostrano, ha affrontato in questi anni.

Luxottica (presto), Pirelli, Benetton, Bulgari, Edison, Italcementi, Fideuram: quanti pezzi perde Piazza Affari (giusto per citare alcuni nomi)! Anche per quanto riguarda i rendimenti non c’è nulla da gioire. Dall’inizio degli anni ‘90 a oggi, Milano è in negativo di due punti, unico caso tra le grandi borse europee.

Nel 2000, nel capoluogo lombardo era quotata più del 2,7% della capitalizzazione mondiale nel 2016 solamente lo 0,8% (una tendenza negativa comune a tutte le borse europee). Piazza Affari è scivolata alla periferia del sistema finanziario globale e la notoria difficoltà delle Pmi italiane a quotarsi è solo parte della spiegazione. La piazza è inoltre in balia di problemi specifici, come per esempio quello legato ai titoli bancari che ha segnato il 2016.

Così, a chi mi chiede se vivremo di nuovo gli anni ’80 devo purtroppo rispondere che probabilmente non torneranno mai. È vero; quest’anno investire sull’azionario nostrano potrebbe dare delle soddisfazioni. Ma perché concentrarsi sullo 0,8% dell’equity mondiale quando oggi, sempre a Milano, sono quotati strumenti come gli Etf che ti permettono di ottenere con facilità un’esposizione globale. Siamo già sovraesposti agli starnuti del nostro capitalismo, non fatevi vincere dalla nostalgia, investite diversificato.

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